I Filandari di Mesiano antica arte della filanda della seta nel vibonese.
di Maria Lombardo
Tra
i tanti gruppi di antichi immigrati in Calabria vi furono i Mesi che, pur
discendendo dall’omonima stirpe Daco-Tracia del basso Danubio, nella Provincia
detta appunto Moesia, o Mesia, erano poi stati accorpati ai greci del Ponto e,
una volta integrati, con essi, giunsero nelle aree interne della nostra
regione, nei pressi di Nicotera. Ma essendo stati oppressi dai lucani Bruzi e
da altri popoli loro alleati, diedero sfogo alla loro ribellione prima andando
a vivere nei campi e compiendo scorrerie e quando ebbero la sufficiente
esperienza nelle pratiche della guerra si gettarono nel combattimento col
sostegno della popolazione locale, facendosi rispettare. Così fondarono una
citta che dal loro sfogo si chiamò Moesianum da cui Mesiano. La città sorse
alle falde di un monte che, forse, in omaggio al loro idolo sportivo, si chiamò
monte Poro. A poca distanza dal luogo dove sorgevano le fortificazioni della
città di Mesiano, sulle falde orientali del monte Poro, verso l' 850 a.C., al
tempo delle incursioni saracene dell’Ixe, che misero a ferro e fuoco il vicino
sito di Nicotera , giunse un artigiano di origine ellenica, probabilmente
soprannominato in forma dialettale “u filandaru”,nomignolo derivato dal vecchio
filatoio di sua proprietà e attrezzo principale del suo lavoro. Costui impiantò
una piccola filanda di fibre vegetali e di seta sul fiume Mesima che scorreva
nella valle. La piccola Filanda, o Filandaru, fu trasferita da lui, ai suoi
discendenti che ingrandirono l’attività che. diede sicuramente origine, in
quella zona, ad altre filande. Successivamente, per favorire la residenza in
loco dei molti addetti, soprattutto donne, sorse una specie di villaggio
gestito dagli impresari della Filanda. Con questo termine erano indicati gli
stabilimenti di lavorazione e filatura dapprima della seta e poi anche del
cotone. Era un grande edificio a due più piani, coi soffitti alti e dotati di
finestroni per garantire l'illuminazione. Costruiti vicino al corso d'acqua, la
utilizzavano sia per la forza motrice che per le vasche di trattura. Quella
prima filanda era a fuoco diretto: cioè, l'acqua, nelle vasche di trattura, era
riscaldata direttamente con fuoco di legna, con uno scarso controllo della
temperatura dell'acqua stessa e, di conseguenza, di una qualità del prodotto
non ottimale ma, comunque molto buona. L'allevamento dei bachi da seta era
affidato ai contadini e ai piccoli mezzadri per la formazione dei bozzoli. I
bozzoli erano poi raccolti nella filanda, essiccati in un forno adatto in modo
che il calore uccidesse il baco per evitare il foramento del bozzolo con
conseguente rottura del filo della bava, e trasformati in filato attraverso
dieci fasi di lavorazione. Questo lavoro nella filanda era svolto
principalmente da giovani donne, alcune poco più che bambine, che venivano
chiamate filerine, o filandere. I turni erano pesanti, potevano arrivare da 12
a 16 ore al giorno con durissimi controlli sulla quantità e qualità del
prodotto. Le lavoratrici venivano multate se non rispettavano tali turni o
rovinavano il prodotto. Il lavoro era faticoso e malsano, per via dei vapori
delle vasche, per le mani tenute a lungo nell'acqua calda ad 80 gradi, per la
polvere appiccicosa che finiva nelle narici ed in gola dai bossoli essiccati. E
tutto per una paga da fame. Vi erano certamente anche uomini per le fatiche più
pesanti come i carichi di legna o la pulitura dei calderoni. Per questo tipo di
lavoro il villaggio era detto il paese dei filandari e così, da essi, prese il
nome. E Filandari, già casale di Mesiano unitamente ad Arzona, Pizzinni e
Scaliti, fu nel corso dei secoli sottoposto a molteplici feudatari. Tra i primi
spicca Ruggero il normanno che a Mileto fissò la sua dimora col titolo di
conte. Gli succedette il suo terzogenito, anch'egli di nome Ruggero, che nel
1130 fu incoronato Re di Sicilia. Successivamente passò alla famiglia dei
signori Roberto, certamente di stirpe reale. Passò quindi all'Imperatore Federico
secondo che con la sua illuminata autorità cercò di mettere un certo ordine nei
Feudi meridionali emanando delle apposite leggi, secondo i dettami scaturiti
dalle famose costituzione di Melfi del 1231 tra gli altri il paese fu ceduto a
Seringo che governò con saggezza Filandari, grazie anche alla laboriosità dei
sudditi. Tra le famiglie che ressero il borgo si ricorda quella dei San
Saverino. In quel periodo infatti, ci fu per lungo tempo pace e giustizia. La
dinastia del San Saverino perseguì con Orrigo Ruggero secondo e si estinse con
Luigi San Saverino nell'anno 1404.Per contrasti scaturiti con la casa reale di
Ladislao, Filandari fu ceduto quindi ai conti di Arena nota stirpe di valorosi
condottieri al servizio della Reggina Giovanna seconda. Passò poi, nel 1501, a
Giacomo dei Principi di Bisignano, che fu però presto deposto per ribellione,
per cui il feudo finì a Diego di Mendoza. Rul Gomez la silvan l'ebbe in dote
dal padre, e poi fu a lungo governato da Marzono e dai Pignatelli, Duchi di
Monteleone, che lo tennero sino al 1806 anno in cui fu dichiarato libero comune
in quanto decaduta la feudalità. La legge Francese elevò Filandari ad
"università" ovvero a comune autonomo con giurisdizione sui Casali di
Arzona, Mesiano, decaduto, però, dal passato splendore, Pizzinni e Scaliti.
Tale assetto amministrativo fu riconfermato anche con legge del 19-1-1807.Il
terremoto del 5 febbraio 1783 rovinò molti palazzi gentilizi e varie chiese,
alcune non più riedificate. A Filandari con quel terremoto vi furono sei morti
e sessanta ducati di danni; ad Arzona nessun morto, ma l'abitato fu in parte
sconvolto e in parte reso inabitabile; a Pizzinni non vi furono morti, ma il
villaggio fu totalmente disastrato. Filandari invece sopravvisse e divenne
punto di riferimento per gli abitanti di quelle frazioni.
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