Marco Berardi la vita di un brigante innamorato cantata da menestrelli è giunta fino a noi




 

di Maria Lombardo 


La storia di Marco Berardi è considerata da sempre molto affascinante. Risuonò attraverso i boschi della Sila, tramandata da padre in figlio.“Giovane popolano, ma dall’ingegno eletto e di cuore caldo di amore patrio, ei non amò in vita che la libertà, l’indipendenza, la grandezza vera della Calabria; non odiò che gli Spagnuoli, i Baroni, gl’Inquisitori”( E. Arnoni ). Inoltre, “Marco aprì il suo cuore ad una giovane valdese di San Sisto, figlia di Valdesi forse residenti nella località “Guardia” o nei suoi pressi” , e come vedremo poi, “ Fu proprio l’amore per questa fanciulla a spingerlo a essere consigliere e guida di questi Valdesi della contrada “Guardia” che, per primi si ribellarono alle imposizioni dell’Inquisizione e che uccisero, persuasi e diretti da Marco Berardi, il Governatore di Montalto il “Barone de Castagnedo”(A.Perrotta).La rivolta di questo gruppo di Valdesi determinò la reazione della regia Corte e della Santa Inquisizione, che culminò con la cosiddetta “Crociata del Querceto” e l’eccidio dei Valdesi di San Sisto. Marco Berardi viene rappresentato nella storiografia come un uomo forte e coraggioso, difensore dei deboli. Egli era diventato un brigante non per avidità, ma per sete di giustizia. Dopo l’assassinio del Barone de Castagnedo, Marco Berardi fu fatto prigioniero, torturato e condannato ad essere arso al rogo. Con modalità ancora non note, Berardi riuscì ad evadere dalla prigionia ed a fuggire nei boschi con l’aiuto di alcuni abitanti di San Sisto e si diede alla macchia per i boschi della Sila dove radunò un esercito sempre più numeroso. Nel 1562 assunto il nome di Re Marcone riuscì a liberare tutti i paesi della Presila dal dominio Spagnolo. Egli sognava di fondare una Repubblica Calabrese, con capitale Crotone, libera dal dominio spagnolo e dalla Santa Inquisizione, che avevano oppresso e causato lutti tra la sua gente. Nel 1563 tentò di conquistare la città di Crotone, combattendo contro l’esercito del Marchese di Cerchiara e, nonostante il suo esercito fosse numericamente inferiore, riuscì a sconfiggerlo per tre volte. Fu scomunicato e sulla sua testa fu posta una taglia per fare in modo che venisse abbandonato dai suoi seguaci. La strategia dei suoi nemici risultò vincente, sfuggito al tradimento del suo migliore amico, con un numero di fedelissimi sempre più esiguo, si perde nella leggenda la vicenda della sua morte. Si narra che i corpi di Marco e Giuditta siano stati ritrovati abbracciati in una grotta della Sila ed il corpo del Re della Sila sia stato portato a Cosenza e issato sul campanile della Chiesa di San Francesco di Assisi per fare da monito a quanti volessero provare nuovamente la via della ribellione.Le sue idee però non sono state fermate e la sua leggenda aleggia ancora oggi nei vicoli di San Sisto e sull’altopiano della Sila.

 

(fonte web)

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