GALLICIANÒ (RC): l’Acropoli Greca in Calabria
di Maria Lombardo
Gallicianò è un piccolo borgo grecofono della Vallata
dell'Amendolea di circa 60 abitanti, frazione del Comune di Condofuri. Ricade
all’interno del Parco Nazionale dell’Aspromonte ed è definito anche “l’Acropoli
della Magna Grecia in Calabria”, poiché è l'unico borgo tuttora interamente
ellenofono, anche se il greco di Calabria per lo più oggi viene utilizzato in
un ambiente sempre più esclusivamente domestico. Gallicianò è noto in tutta
l'area per l'alta conservatività delle tradizioni grecaniche, non solo in
ambito linguistico ma anche musicale, gastronomico e rituale, grazie
soprattutto al suo isolamento che ha sviluppato nei suoi abitanti un forte
spirito di aggregazione ed ospitalità, caratteristiche peculiari dei Greci di
Calabria. Oggi, attraverso una stretta strada (dromo), composta da curve e strapiombi
che creano una panoramica salita, si arriva alle prime case (vucita), e dopo
qualche chilometro si giunge al paese fino all’unico spiazzo disponibile per
lasciare le auto e proseguire a piedi. Le sue umili e semplici origini sono
certamente antiche. Non sappiamo con esattezza il periodo di fondazione,
probabilmente però fu, dal principio, un villaggio di pastori e contadini. Nel
X secolo d.C., la città Bizantina di Καλλικόν (Callicòn), l’attuale Kilkìs, che
si trova in Macedonia, viene attaccata e saccheggiata dai Bulgari. Diversi suoi
abitanti decidono di trasferirsi in Calabria, che all’epoca era un Tema
Bizantino, fondando così numerose comunità tra cui probabilmente Γαλλικιάνο –
Gaḍḍicianò in greco di Calabria. La più antica attestazione documentaria
infatti la troviamo all'interno del Brebion della Metropoli bizantina di Reggio
Calabria, edito dal bizantinista André Guillou, risalente all'XI sec., dove
indicando i beni che furono donati da Ruggero II al monastero di Hagios-Angelos
Ta Kampa è riportato il toponimo "To Galikianon", che potrebbe
derivare dalla famiglia gentilizia romana Gallicius che aveva dei possedimenti
terrieri (Gallicianum) nell’area. Fino all’età moderna seguì le vicende
storiche della Baronia dell'Amendolea, che aveva tra i suoi possedimenti anche
le terre di Roccaforte (Vunì), Roghudi (Richudi) e, più tardi, Condofuri. Fu
sede municipale a fine ‘700 inizio ‘800, poi la sede fu spostata a Condofuri
Superiore. Gravemente danneggiato dal terremoto del 1783, ha mantenuto la sua
primitiva struttura. Le alluvioni del 1951 e 1971 costrinsero molte persone ad
abbandonare il paese. Oltre al terremoto e alle alluvioni, si susseguirono
epidemie ed incendi, che determinarono il progressivo abbandono delle attività
agricole e pastorali, con conseguenti perdite demografiche. Come per gli altri
paesi della Calabria e Puglia che fanno parte della minoranza linguistica Greca
d'Italia, che un tempo copriva vaste zone di queste regioni e della Sicilia, è
dibattuta tra i linguisti la questione dell'origine di questo idioma, infatti
c’è chi pensa sia sopravvissuta fino a noi dalle colonie della Magna Grecia,
come sembrerebbe da alcuni indizi linguistici e come sostenne Gerhard Rohlfs, e
c’è chi invece sostiene, Comparetti e Morosi, si tratti dei residui di una
reintroduzione del greco durante l'Impero Bizantino, o infine, una via di
mezzo, ovvero la lingua sopravvisse ma fu molto influenzata dal greco
medioevale bizantinoL’emigrazione massiccia e l’incomprensione della cultura
italiana, indussero i Greci di Calabria a rinunziare alla loro tradizione, ma
per fortuna, grazie ad un gruppo di studiosi, si riuscì a conservare i costumi
e la parlata greca. Il borgo è magnifico lo sguardo è rapito dal fascino di
questo borgo.Il borgo di Gallicianò oggi è distinto in due nuclei fondamentali:
Catuchorìo la parte bassa del borgo, e Anuchorìo, la parte alta. Catuchorìo
presenta la piazza principale, Platia Alimos, sulla quale si affaccia la chiesa
di San Giovanni Battista dove sono custodite due interessantissime
acquasantiere e due campane datate 1508 e 1683. La facciata, col suo campanile
a torre ha l’aspetto di un tempio greco: un sacello sacro, protetto e tenuto
sott’occhio da tutti i residenti. Per accedervi si sale una gradinata che porta
al sagrato sopraelevato, chiamato Prepiglio, dove ogni fine dell’anno, si
accende un falò propiziatorio, allietando l’attesa dell’alba con musica e
balli, così fin dalla notte dei tempi. All’interno della chiesa, in fondo alla
navata, si staglia, al centro dell’altare ligneo d’età barocca la statua in
marmo del Santo che alcuni ritengono della scuola del Gagini. Altri studi
ricordano come la statua che regge sul Vangelo l’Agnello, simbolo che
identifica immediatamente il Santo protettore di Gallicianò, presenti Il
simbolo araldico del vescovo di Bova, Giovanni Camerota, che permette una
datazione approssimativa dell’opera tra il 1592 e il 1620, mancano tuttavia le
dovute certezze sulla paternità dell’opera. Interessante è anche la statua
lignea del Santo Bambino, recentemente restaurata, che nei giorni di festa (29
di agosto) viene portata in processione. Di recente, proprio nei pressi della
Chiesa di San Giovanni, gli abitanti del borgo hanno avviato una virtuosa
operazione di bonifica dell’area dei frantoi del paese provando così a far
diventare quello spazio, che era divenuto non più vivibile, un’area attrattiva
che parla delle attività lavorative che il borgo doveva possedere per gestire
la vita quotidiana. Sulla piazza è situato anche l’ex palazzo comunale,
l’edificio più grande del centro, che presenta interessanti decorazioni in
facciata. Caratteristiche anche le maschere apotropaiche e un marmo
raffigurante Pitagora con l’incisione “Gnoti se autòn”, dono proveniente da
Salonicco. La Biblioteca Grecofona è una realtà che risale all’inizio degli
anni ’90. È provvista di una sala lettura, possiede libri antichi e testi
realizzati negli ultimi anni a cura dei rappresentanti della cultura e della
linguistica locale, nonché numerosi testi in greco moderno. La parte alta del
paese è caratterizzata dalla presenza di un ricco Museo Etnografico, ripartito
in due ambienti, che meriterebbe ulteriori spazi per la ricchezza del suo
contenuto. Dedicato a Anzel Bogasar-Merianoù, la filosofa greca giunta a
Gallicianò negli anni ’70 alla scoperta di questa piccola comunità con cui
condivideva le origini, la struttura museale è stata realizzata con materiali
donati dagli stessi paesani, convinti che fosse l’unico modo per mantenere viva
la memoria di un borgo che piano piano sta scomparendo. Nella prima sala sono
ospitati oggetti da lavoro che venivano usati nei campi e per le attività
domestiche, strumenti musicali e della tradizione come le “Musulupare”, che
servivano a realizzare particolari tipi di formaggio dalle forme particolari.
Il secondo ambiente invece riproduce l’ambito domestico delle semplici dimore di
Gallicianò e di buona parte delle abitazioni delle aree limitrofe. Sempre nella
parte alta del borgo, insiste l’antica fonte che prende il nome di “Fontana
dell’amore” (cànnalo tis agàpi), in quanto, in un passato non molto lontano,
quando il borgo non era fornito di acqua nelle abitazioni, questa era l’unico
posto dove le donne venivano a raccogliere l’acqua divenendo così un punto per
il corteggiamento per i giovani di Gallicianò. Proseguendo oltre si arriva in
quello che è il piccolo teatro all’aperto del borgo intitolato a Bartolomeo I,
patriarca di Costantinopoli, inaugurato in occasione della sua visita al paese
nel 2001, da cui ammirare dall'alto il borgo e un magnifico paesaggio
sull'intera bovesìa. Le gradinate (cavea) sono di forma semicircolare mentre
manca la scena, in quanto il progettista ha ritenuto che le montagne antistanti
e il piccolo borgo fossero uno scenario più che sufficiente a qualsiasi
rappresentazione. La Casa della Musica conserva degli strumenti tipici
realizzati in loco come le zampogne, le lire, i tamburelli e gli organetti.
Nonostante sia scarsamente popolato, Gallicianò è un borgo in fermento,
riconosciuto come “capitale della musica”, che assieme al canto e alle danze
costituisce per gli abitanti un’autentica arte, coltivata e tramandata di padre
in figlio fin dai tempi più antichi. Di grande importanza per il patrimonio
storico-culturale è stata l’apertura al culto, nel 1999, della piccola chiesa
ortodossa di Panaghìa tis Elladas (Madonna dei Greci) celebrata in rito
greco-ortodosso la sera del 14 agosto con la processione funebre della
Dormizione di Maria. La chiesa, di impianto contadino, insiste sui resti di
un’antica abitazione che fu donata ai monaci del Monte Athos e rappresenta la
testimonianza, in un rinnovato clima ecumenico, di un ritorno da pellegrini
degli ortodossi in siti di culto greco. L’interno è ricco di icone donate da
ogni angolo del mondo di ispirazione bizantina e di ornamenti caratteristici
della tradizione greco-ortodossa. Inoltre sono custoditi una statua di San
Giovanni (XVI° sec.), l’icona (cm 21 x 30) che rappresenta la Madonna della Grecia,
un fonte battesimale, due campane del 1508 e del 1683 ed alcune lucernette
fittili. Al suo esterno emerge un semplice campanile circondato da antiche
abitazioni abbandonate, ora in via di restauro. L’edificio è dedicato alla
Madonna di Grecia, chiaro rimando, dicono al borgo, a quel monastero che un
tempo sul monte Sofia, poco più su dell’odierno abitato, era intitolato alla Vergine
in una località con il toponimo “Grecia”, che decisamente lascia tante
suggestioni. Ancora oggi sono visibili alcuni ruderi dell’edificio sacro, che
meriterebbero ulteriori analisi e studi. Quest’area, la Grecia, fu affidata dal
comune di Condofuri ai monaci di San Giovanni Therestis di Bivongi per 99 anni,
con la finalità di rinvigorire i legami antichi che questa terra ha con
l’ascetismo ortodossoTra gli stretti vicoli del paese ancora si sente parlare
in grecanico e anche le vie del paese sono scritte sia in italiano che in Greco
di Calabria. Chi percorre le stradine di Gallicianò, resterà affascinato dagli
odori e dai panorami mozzafiato verso la vallata e la montagna, sia per la
particolarità che assumono i colori all’alba e al tramonto, sia per l’ospitalità
profusa dai suoi abitanti che spesso, intrattengono il turista con canti tipici
suonati da strumenti musicali costruiti proprio da loro come le ciaramelle e il
tamburello. Sopravvive ancora oggi l’artigianato tessile, infatti secondo le
antiche tradizioni, vengono lavorate la ginestra e la lana con i motivi
ornamentali dei rombi e delle croci, spesso contornate da rettangoli e
quadrati. Ma anche la lavorazione del legno e dell’intaglio, col quale si
fabbricano cucchiai, bastoni per la lavorazione della ricotta, stampi per dolci
e per formaggi, testimonianze dell’importanza culturale dei gallicianesi. Il
borgo, vissuto oramai da soli pochi ceppi familiari, li rende tutti parenti,
distinguibili solo grazie ai soprannomi, ‘ngiurie, che ovviamente hanno nomi
greci.
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