Un fenomeno emigrativo poco conosciuto: Le calabrotte delle Langhe


di Maria Lombardo



 L’emigrazione che tanto fa discutere le “menti eccelse” dei neomeridionalisti che tanto si lambiccano ad addebbitare colpe agli eventi storici del Risorgimento ad immaginare becere congiutture, inutilissime collusioni con la massoneria non riescono a capacitarsi che in alcuni casi è stata un’ ancora di salvezza. A loro risultano sconosciuti non solo gli eventi storici ma l’opportunità di crescita e di arricchimento culturale per le regioni che sono state maggiormente interessate dai flussi migratori. Sono gli anni ’50 l’Italia vive il “boom economico”, infatti, milioni di meridionali si trasferirono verso i centri produttivi del “triangolo industriale” e contribuirono in maniera rilevante allo sviluppo economico del Belpaese; condizione che tuttavia accentuò ancor più il divario esistente tra Nord e Sud. Anche i meridionali non volevano più lavorare le terre! Il benessere aveva cambiato le abitudini socio economiche e sopratutto erano mutate le esigenze culturali il livello di alfabetizzazione era cresciuto e lo “gnuri” del paese destava poco timore. I nostri emigrati in primis inviavano “l’aiuto” a casa una volta sistemati non fecero più ritorno nelle terre di Calabria. Per onestà intellettuale c’è da dire che la nostra gente non fu accolta con tolleranza e simpatia dalla popolazione locale, venendo spesso ghettizzati nei quartieri periferici delle città industriali e costretti ad abitare fatiscenti “case di ringhiera”, dove oggi continuano a vivere i lavoratori extracomunitari, in condizioni economiche e igienico-sanitarie assai precarie. Insomma è un modus facendi che ci portiamo dietro da sempre allora come oggi e non affonda di certo le radici “nell’invidia” piemontese. Anche le campagne piemontesi si spopolarono per il lavoro in fabbrica che faceva gola a molti. Inoltre spesso e volentieri si emigrava nei luoghi dove già vi erano amici e parenti per avere il famoso “appoggio”.Negli anni ’60 accadde in Calabria un fenomeno legato all’emigrazione che interessò un gran numero di ragazze calabresi, donne che lasciarono i paesi Calabresi per andare a vivere e popolare le Langhe. I contadini delle Langhe rimasero senza manodopera e senza mogli per ripolare quelle terre. Ecco che si pensò di unire due problemi che risultarono efficienti. Le calabrotte delle Langhe contraevano matrimoni con alcuni contadini locali, conosciuti tramite improvvisate agenzie matrimoniali gestite dai bacialè, i sensali langaroli. E si trovavano spose di sconosciuti ricchi proprietari terrieri nel giro di pochi giorni. Uomini a volte molto più grandi delle giovani calabresi che avevano scelto di spontanea volontà questa situazione! Le immigrate calabresi contribuirono alla crescita demografica ed economica del Piemonte negli anni Sessanta e favorirono l’integrazione culturale tra il Nord e il Sud della penisola italiana: due realtà geografiche rimaste a lungo estranee e contrapposte. Eppure nessuno costrinse queste donne all’emigrazione, fecero scelte personali e meditate. Fu però «un’emigrazione invisibile e silente, di cui si preferiva non parlare», che risultò comunque salutare per le Langhe, poiché arrestò lo spopolamento di questa terra e ne favorì il successivo sviluppo produttivo. La vita delle Calabrotte non fu rose e fiori donne calabresi obbedienti e senza grilli per la testa col loro sudore resero ricche le Langhe! Guardate con diffidenza dalle suocere che gestivano gli affari e loro lavoro e figli, discorsi in dialetti incomprensibili nelle famiglie patriarcali. Tra queste donne vi erano anche le ribelli travolte da un tragico destino e ancorate a questi bacialè che promettevano la salvezza anche di onorabilità a ribelli calabresi.



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