“Non tutti i giorni si può andare a Mendicino”: storia di una magara!
di Maria Lombardo
Tra i tanti libri che consulto quotidianamente per studio mi è venuta sotto mano una storia che ha forse dell’assurdo. Siamo a Mendicino in provincia di Cosenza a quel tempo Calabria Citeriore, nel 1888 giunge per una questione di studio l’antropologa torinese Caterina Pigorini Beri poiché sapeva che il centro era indicato come paese famoso “pei fichi, pei briganti e per le streghe”. Caterina arriva in carrozza scende nella piazza del paese e si fa indicare la casa di Minicheddra la magara del paese. E’ chiaro che la Beri giunse qui per studiare queste donne e per chiarire al suo mondo come vide queste donne. La letterattura del tempo le dipingeva come donne libere, capaci di girovagare di notte, di far paura anche ai principi e ai re. In realtà le streghe erano il frutto di ignoranza, paura e superstizione. Come diceva Voltaire: “Le streghe hanno smesso di esistere quando noi abbiamo smesso di bruciarle”. La Beri osserva molto il paese e la gente nota che su botteghe e case campeggiavano ferri di cavallo, forbici arrugginite e maschere antropomorfe. Ovviamente queste erano usanze calabresi doveva solo capirlo la giovane torinese. Giunta dalla magara si presenta a lei una donna anziana magra e vestita miseramente, ma molto altera e con una enorme autostima. Alla notizia che la studiosa fosse in paese la gente accorse a gustarsi il duello tra scienza e tradizioni popolari. Appena la vede in una sala gremita di gente, dice sbadigliando: “E’ adocchiata”, cioè è oggetto di malocchio, con uno sguardo di complicità verso la folla. Il fatto di sbadigliare era il sintomo del malocchio su Caterina. L’ anziana esclama per tranquillizzare la studiosa:” ora ti sdocchio”, e comincia con uno strano rituale con dei borbottii e delle formule, per liberare la Beri. La giovane assiste al rito rapita convinta che avrebbe ricavato un buon trattato di studio. Il rito ha successo, e la nostra Caterina forse suggestionata, si sente meglio! Caterina affascinata maggiormente dall’anziana donna inizia a proporre alla gente domande per poterla conoscere meglio. Le raccontano che conosce i segreti delle erbe medicinali, e prepara pozioni e filtri. Una soluzione per tutti i problemi. Le indicano anche che conosce i segreti dell’erba di San Giovanni che si credeva avesse il potere di allontanare i demoni, ma anche di evocarli, e nei villaggi rurali le donne pratiche di magia venivano trattate con timore e con rispetto, chiamate con l’appellativo di zia o comare. Però come tutte le magare aveva il potere di ammaliare le persone con formule e filtri, eccitare l’odio o l’amore, produrre malattie, gettare il malocchio su uomini e animali. La sua vicinanza alle forze della notte, al potere misterioso della luna, la rendeva capace di trasformare gli uomini in lupi e questi disgraziati passavano le notti di luna piena urlando e camminando carponi per le strade intorno ai villaggi.Del resto alcune famiglie di Mendicino erano famose in tutta la provincia perché conoscevano i segreti delle erbe ad uso terapeutico. Le dona dei soldi la studiosa quasi a voler ringraziare per il gesto subito ( o per paura). La Beri dopo aver assistito ad una spettacolare tarantella, dal titolo “Quannu nascisti tu Rosa bastanti”cantata e danzata da affascinanti donne mendicinesi, se ne va a malincuore dal piccolo paese cosentino, concludendo il suo racconto con la frase: “
Non tutti i giorni si può andare a Mendicino”.
Commenti
Posta un commento
Dimmi cosa ne pensi!