'a docazioni”la pratica che si usava in Calabria per educare


 di Maria Lombardo

Nella storia Calabrese l’educazione della prole seguiva regole antiche.
Il padre ebbe un ruolo principale ed unico.
Per secoli punto fermo ed inderogabile fu l’ubbidienza al genitore, un muro impenetrabile anche alla madre che neppure nella veste di sposa riusciva a trovarne l’accesso.La figura del padre nella storia Calabrese ebbe diversi modi di porsi riguardo alla prole.
A volte Tàta incuteva un marcato timor reverentialis.
Si lu sa tàta!.. Mò vèni tàta!... “U dìcu a tàta mèju e po' ti fà bìdi!!.. Non dì nnènti a tàta tòj si ḍḍa nò àja sènti!!
Le famiglie erano numerose: a volte erano composte da sette, otto o più figli cui si aggiungevano genitori, nonni, zii scapoli e zie zitelle.
Parlando dei figli si notava e credo si nota anche oggi, una più benevola accettazione dei maschi che rappresentavano, come connaturato, la sicura continuazione della specie.Ad essi era riservato l’impegno di accompagnare e curare la vecchiaia dei genitori.
Le figlie venivano istruite, educate, sostenute e accompagnate al matrimonio che rappresentava anche il momento in cui la responsabilità del genitore passava al marito.
A du ci su fìgghj Dìu ci vìgghja.
Fìgghj fèmmini e vùtti ‘i vìnu, spìcciali quàntu prìma, diceva un adagio con tanto sapore di opportunismo.
L’istruzione dei figli era un’aspirazione generale. Chi poteva ricorreva a precettori privati. I più poveri si accontentavano di affidarli a chi sapeva leggere e scrivere ed impartiva solo semplici rudimenti. Per inciso ricordo che la maggior parte della popolazione era analfabeta e solo verso la fine del’800 la scuola fu obbligatoria.Torniamo alla famiglia. La schiera dei figli intraprendeva due strade di vita. Tra i maschi il maggiore di solito proseguiva l’attività del padre. Gli altri cercavano un lavoro reperibile più facilmente in agricoltura o un mestiere. Molti tentavano l’avventura dell’emigrazione con scarso successo soprattutto se si spostavano in alcuni stati nell’America del sud, Argentina, Venezuela, che avevano carenze amministrative, scarse industrie, una agricoltura povera.
Le ragazze, destinate a diventare spose e madri, venivano addestrate ai lavori domestici. Tra tutti primeggiava il cucito e il ricamo soprattutto in vista della preparazione del corredo nunziale che era la dotazione più consistente che la sposa portava alla sua costituenda famiglia. Tale currèdu (dal latino cum redere cioè venire insieme) era formato da:
1. prodotti di teleria: lenzuola, federe, materassi, cuscini, asciugamani, fazzoletti, indumenti quali camiciole, corpetti, mutande, calze, gonne e sottogonne, vestiti per la filandìva, cioè per tutti giorni, abiti per la festa, pannicèḍḍi di lana e di sìta, che sostituivano gli odierni cappotti, asciugamani di diverse pezzature, fazzoletti, scarpe, chjappìli, ciabatte;
2. attrezzatura da cucina: paioli, casseruole, tegami di creta, di ràma rùssa, rame lavorata a sbalzo, di latta, servizi di bicchieri di vetro, bottiglie, fiaschi, piatti fondi e piani, varlìri e altro.
Tale dotazione era generalmente composta da 6 pezzi per ogni categoria.
Chi portava in dote corredi da 12 o 18 pezzi erano i più ricchi del paese.
A volte i corredi venivano esposti con gioia delle esecutrici.
Oi mà, oi tà sacciu cùsi e ricamà
sàcciu fa li cosi bèlli…
Si cantava!!
Torniamo alle ragazze.
Prima di cominciare a ricamare dovevano, per non sbagliare e rendere inutilizzabile la maggior parte delle tele che erano tessute a mano nei telai caserecci, fare molti esercizi di cucito consistenti nell’imbastitura, il doppio punto, il punto filza, i punti invisibili, i punti nascosti o sottopunti, i punti ad occhiello ed altre impunture.
Venivano adoperati fili di lana, seta, fili normali. Tra essi primeggiavano, ricordo, rocchetti di legno della ditta Cucirini Cantoni Coats.
Mi sovviene pure che noi ragazzi usavamo tali rocchetti per fare ù làzzu.
Le ragazze frequentavano ateliers diretti da sarte che avevano appresso l’arte direttamente in botteghe napoletane o tramite compaesani a loro volta istruitisi presso tali botteghe.
Queste ultime si specializzavano in confezione di abiti femminili e generalmente aprivano dei laboratori frequentati solo da ragazze.
Ritorniamo ora alla preparazione del corredo in famiglia da parte delle ragazze da marito.
Il maggiore impegno consisteva nell’imparare a ricamare l’amizèta, cioè le lettere dell’alfabeto.Tutti i caratteri tra i quali il maiuscolo, il minuscolo, il corsivo, il rotondo, il gotico, lo stampatello, venivano eseguiti usando la tecnica del punto a croce.


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