SEMPRE IN PRIMA LINEA FINO ALLA FINE; STORIA DI GIORGIO MARINCOLA “IL PARTIGIANO NERO” FIGLIO DI UN CALABRESE


 di Maria Lombardo

Il 4 maggio 1945 Mussolini e Hitler erano morti, ma alcuni uomini delle SS che si trovavano in Trentino si rifiutavano di cedere le armi. Al tentativo dei partigiani di disarmarli i nazisti rispondevano aprendo il fuoco e continuando a compiere stragi efferate come nel paese di Stramentizzo. Proprio all’ingresso di quest’ultimo trovarono il partigiano Giorgio Marincola, che aveva insieme ad altri compagni istituito un posto di blocco. Purtroppo Giorgio venne ucciso nei combattimenti e Stramentizzo, insieme a Ziano e Molina di Fiemme, fu teatro dell’ultima strage nazista in Italia. Nei cinque mesi precedenti, dopo essere stato catturato nel corso di un rastrellamento, Marincola era stato sottoposto a ripetute torture e imprigionato a Biella, Torino e Milano, per poi essere deportato al Polizeiliche Durchgangslager di Bolzano, uno dei campi di concentramento nazisti in Italia. Questo speciale trattamento fu anche la conseguenza del colpo beffardo che da prigioniero Giorgio aveva tirato alle forze occupanti. Nel corso infatti di una trasmissione di Radio Baita, situata all’interno di Villa Schneider, sede della polizia tedesca, invece di leggere il testo di propaganda contro la Resistenza che gli avevano sottoposto decise di rinnovare la fedeltà ai propri ideali attaccando il regime fascista.Da lì in poi la sua fine sembrava segnata, ma il 30 aprile 1945 fu liberato dal lager di Bolzano e tornò a combattere nella Resistenza, come aveva fatto fin dal 1943.Nella capitale Giorgio ci era arrivato nel 1933, quando aveva appena dieci anni di età. Era nato a Mahadaay Weyn, un avamposto italiano a nord di Mogadiscio. Figlio di Giuseppe Marincola di Pizzo Calabro, sottufficiale italiano, e Aschirò Hassan, una donna somala, a differenza di quello che spesso avveniva in casi del genere venne riconosciuto, insieme alla sorella, dal padre. Studente di medicina, dopo l’8 settembre entra nelle bande armate del Partito d’Azione, partecipa alla difesa di Roma e poi si aggrega ad un gruppo di Viterbo. In seguito alla liberazione della capitale prosegue la lotta arruolandosi nello Special Operations Executive, l’intelligence britannica. Dopo un rapido addestramento, nell’agosto del ‘44 viene paracadutato in Piemonte, dove all’interno della Missione Banon ha compiti di guerriglia e di collegamento. In questo contesto avviene il suo arresto.Il partigiano nero avrebbe avuto molte occasioni per sottrarsi alla lotta, o per deporre le armi: dopo l’arrivo degli Alleati a Roma o dopo la liberazione dal campo di Bolzano, ma non lo fece. Continuò fino alla fine a stare in prima linea dimostrando che non è certo il colore della pelle a determinare il coraggio o la vigliaccheria di una persona.


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