Rossella Casini la Medaglia d’Oro alla Memoria.
di Maria Lombardo
A
molti questa storia non dirà nulla ma io intendo ricordarla. La
giovane studentessa toscana convinse il fidanzato, figlio di un boss
calabrese, a denunciare le cosche. Rimasta sola, il suo corpo venne
fatto sparire nel 1981.Ecco la sua storia, quasi dimenticata, nel
ricordo della giornalista Andreana Illiano.
“Stuprata, fatta a
pezzi, buttata via, come immondizia, dispersa in mare. Senza spoglie.
Senza memoria. Aveva poco più di vent’anni Rossella Casini quando
morì, ammazzata dalla ‘ndrangheta. Sparì il 22 febbraio del 1981.
Si dissolse invece nel nulla, senza mai più dare notizie di sé,
fino a quando un pentito, Vincenzo Lo Vecchio, raccontò agli
inquirenti che cosa fu di lei. Punita per aver svelato le trame della
cosca.
Rossella, emancipata, universitaria, fiorentina, non sapeva
cosa fosse una faida, lo scoprì quando conobbe e si innamorò di
Francesco Frisina, suo coetaneo, studente. In Toscana studiavano
insieme, lui si presentò come un ragazzo pulito, innocente. Non lo
era. Il loro amore crebbe fino all’estate del 1979 quando Rossella
arrivò a Palmi, in Calabria, in vacanza. Era piena di sole. Poi vide
il sangue, la violenza, il padre di Francesco, Domenico Frisina, fu
ammazzato. Non capiva Rossella quell’odio. Provò a farlo. Forse fu
lei che portò le armi al clan, perché quelle vendette
continuassero, così raccontò un pentito, anni dopo. Ebbe giorni
difficili, provò ad entrare nella famiglia, quella fatta di
‘sangue’, di interessi, mascherati dalla parola onore. Non ci
riuscì. I suoi genitori la convinsero a tornare a casa, a Firenze
dopo mesi. A dicembre del 1979 ripartì per la Toscana. A Roma tra un
cambio di treno, un caffè, una pausa più lunga telefonò ai Frisina
e le dissero che, in un conflitto a fuoco, il suo fidanzato era
rimasto ferito gravemente. Come impazzita, Rossella decise di tornare
indietro. Fu mesi al suo capezzale. Francesco aveva un proiettile
conficcato in testa. Era in coma. Trascorse mesi perché lui
rimettesse a posto ogni tassello della sua memoria e infine riuscì a
portarlo a Firenze. Era il febbraio del 1980. E lì, lontano dal mare
di Calabria, dal sangue, dall’odio, convinse il suo giovane amore a
pentirsi. Piano. Sottovoce, con l’aiuto di un maresciallo. Non
sapeva Rossella a che cosa si potesse arrivare per “difendere” la
famiglia, quella che mescola il sangue con un presunto onore. Lo capì
quando la minacciarono. Accadde dopo gli arresti che avvennero a
Palmi, alle cinque del mattino, come un fulmine, perché mai alcuno,
specie in quegli anni, aveva osato “pentirsi”, svelare i segreti,
gli affari della ‘ndrangheta di Reggio Calabria. La magistratura,
grazie ai suoi racconti e a quelli del fidanzato riuscì a tracciare
il filo di commerci di droga e soprattutto della faida in corso, che
trasformò la città in un campo da guerra. Dopo poco fu presa dal
terrore Rossella, mentre suo padre e sua madre si consumavano nel
dolore. Così ritrattò. Il suo fidanzato lo aveva fatto prima,
dicendo che era fuori di testa, che non sapeva neanche che fosse un
maresciallo quell’uomo che Rossella le presentava come amico. A lei
il cuore si frantumò. Voleva cancellare tutto. Aveva paura. Raccontò
agli inquirenti che era stata rapita dal clan avversario dei Frisina,
affinché confermasse le dichiarazioni contro la famiglia del suo
fidanzato. Scrisse una lettera a sua cognata perché controllasse che
le “nuove” ricostruzioni dei fatti, le andassero a genio. Le
stavano tessendo una trappola. La gabbia stava per chiudersi. Le
ultime dichiarazioni della Casini erano state indotte dai Frisina. Lo
scriveranno i giudici, dopo anni, in una sentenza del tribunale di
Palmi. La giovane nel febbraio del 1981 infatti, pochi giorni prima
della sua scomparsa, telefonò a suo padre, facendogli capire che era
alla Tonnara di Palmi, da amici. Non gli disse chiaramente dove, ma è
come se ammettesse che era presso i Condello, altro clan, avversario
dei Gallico-Frisina. Dopo pochi giorni sparì, era il 22 febbraio del
1981. L’obiettivo della famiglia di Francesco Frisina era
annullarla. La fecero tacere per sempre. Muta. Fatta a pezzi. E non
solo. Tentarono di mascherare tutto col tradimento, provando ad
incolpare di quella sparizione la cosca avversaria. Un depistaggio
vero e proprio. Era quella la cesoia che avevano costruito attorno
alla ragazza. La trappola scattò. Lei sparì. Nel maggio del 2006,
più di vent’anni dopo, il tribunale di Palmi ricostruisce la
storia di Rossella Casini, la sentenza condanna gli affiliati del
clan e anche il fidanzato, la cognata, la suocera. Grazie ad un
pentito si ipotizza che la giovane donna sia morta, dopo che il suo
corpo fu violato e l’anima tradita.
Lei non ha ancora una tomba.
Non l’avrà mai. Sfidò la ‘ndrangheta. E ne morì. I suoi
genitori, prima ancora del processo, si spensero in Toscana,
consumati dal dolore, certi che la loro figlia fosse morta, perché
voleva una giustizia fatta non di vendette sanguinarie. Non ebbero
mai il sollievo, lieve, di portarle dei fiori. La ‘ndrangheta aveva
buttato via Rossella e disperso le sue membra in mare, come un sacco
di letame. Lei, stuprata, fatta a pezzi, dimenticata. Pronta a
risorgere in chi ricorda la sua storia”.
(Nella sentenza emessa dalla Corte d’Assise di Palmi tutti e quattro gli imputati furono assolti per non aver commesso il fatto; gli elementi probatori non furono infatti reputati sufficienti per stabilire le personali responsabilità degli imputati. ndr)
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