Giuseppe Maria Pisani l’ultimo artista di Serra San Bruno
di Maria Lombardo
(Serra San Bruno, 1927 - Soverato, 2016) si è
formato sin da bambino presso le botteghe degli ultimi maestri serresi ed ha
avuto modo di imparare dai pittori Gaetano Barillari (1886 - 1956), e Vincenzo
Minichini (1886 – 1954), dal plasticatore Salvatore Scrivo (1885 - 1953) e
dall’intagliatore Salvatore Tripodi (1892 - 1977) le forme e le tecniche
pittoriche e scultoree che furono patrimonio delle botteghe più attive, nel suo
paese natale, fin dal XVII secolo. L’esempio degli antenati, lo scultore
Giuseppe Tommaso Pisani (1734 – 1806) i pittori Stefano Pisani (1750 – 1843) e
Venanzio Pisani (1800 – 1878) e soprattutto quello del nonno Giuseppe Maria
Pisani (1851 – 1923), allievo di Domenico Morelli all’Accademia di Belle Arti
di Napoli, ha influenzato notevolmente i suoi anni giovanili, anni in cui ha
potuto affinare le tecniche del carboncino, della sanguigna e della matita,
sulla base dei modelli della ritrattistica classica. Negli anni di formazione
ha guardato molto anche a Salvatore Pisani (1859 – 1920) scultore attivo in
Lombardia, dove aveva realizzato, tra le altre cose, le statue per due guglie
del Duomo di Milano, conosciuto attraverso le carte di famiglia e le fotografie
originali delle sue opere conservate nella casa paterna. La sua ricerca
artistica giovanile si indirizzò presto verso lo studio delle tecniche
artigiane più diffuse a Serra San Bruno, dove, sulla base delle conoscenze
acquisite, realizzò, nel 1951, il progetto per la scalinata di Santa Maria del
Bosco, eseguito in pietra granitica locale e, nel 1953, i disegni per
l’artistica cancellata in ferro battuto del monumento ai caduti. Ma gli anni
cinquanta furono scanditi, pure, dalla scoperta dei temi sociali: in moltissimi
disegni, realizzati estemporaneamente, riuscì a raccontare una Calabria
fortemente caratterizzata dall’ethos popolare, dalla semplicità della vita
quotidiana e dal lavoro, con particolare riferimento ad una infanzia
precocemente esposta alle difficoltà della vita.
Si fece notare, nel 1954, per la prima scultura realizzata in bronzo per la
Certosa, una Madonna Immacolata, oggi collocata nel cortile del priorato e,
soprattutto, nel 1958, per un bassorilievo, pure in bronzo, "Calvario di
uomini", oggi collocato nel cimitero monumentale di Brescia, sulla tomba
del cugino Costantino Penna. Il bronzo, giudicato da una commissione artistica,
fu esposto a Bologna, dove fu subito notato.Alla fine degli anni cinquanta, Corrado
Cagli visitò lo studio di Giuseppe Maria Pisani a Serra San Bruno,
rimanendone colpito. La stima di Cagli e la successiva conoscenza di Mirko Basaldella influenzarono la sua
ricerca estetica modificandone il verismo accademico giovanile e trasformandone
la formazione in tono contemporaneo. Affascinato, inoltre, dalla scultura
neorealista, vissuta in chiave classica, di Mazzacurati, Manzù
e Francesco Messina ne seguì le orme
realizzando busti e monumenti in bronzo caratterizzati da una rigorosa ricerca
anatomica, reinterpretando e personalizzando ogni spunto tratto dal reale.
La sua scultura fu tesa, negli anni sessanta, al superamento di un primo
momento classico stemperato nel romanticismo con l’operare una sintesi
modulata, attraverso una sintassi sciolta, da forti scatti plastici
nell’armonia di una meditazione estetica tutta personale. Una ricerca vissuta
senza perdere di vista la tradizione italiana aperta agli sviluppi della
scultura moderna conosciuta attraverso le opere di Vincenzo Gemito, ma soprattutto di Medardo
Rosso, del quale assorbì la scomposizione materica e il flusso della
luce sulle superfici scabre. Una modellazione senza ripensamenti, ma
caratterizzata dalle tante applicazioni di argilla sulla superficie scultorea
gli consentì di giungere a nuova consapevolezza dei valori plastici, ottenuta
attraverso la freschezza e la rapidità di tocco. In alcune opere Giuseppe Maria
Pisani giunse addirittura all’astrazione geometrica, sul piano simbolico, nella
percezione della figura umana, consapevole del valore evocativo della scultura.
Le forme triangolari, che spesso costituiscono il leitmotiv oggettivo di molte
opere, rappresentano, infatti, il sottile diaframma che separa la percezione
astratta della figurazione dalla sua consistenza tipologica che ha spesso
l’immediatezza del bozzetto. E’ del 1961 la porta di bronzo della Chiesa
dell’Addolorata di Serra San Bruno, la prima realizzata in Calabria,
in cui i temi iconografici classici dei Sette dolori di Maria appaiono
rivisitati in chiave moderna senza collidere con le linee tardobarocche della
chiesa che, come ebbe a scrivere il pioniere dei critici d’arte calabresi, Alfonso
Frangipane, appare, anzi, completata: “A Serra San Bruno: La porta
bronzea della chiesa dell'Addolorata. ..La porta è stata collocata dopo molti
anni, opera di un altro artista serrese, che risiede nel paese nativo. Le due
valve decorativamente armonizzano con le linee della facciata, in ridondanza di
stile, con fitte composizioni nei bassorilievi della Passione di Cristo
ispirati al pittoricismo rinascimentale. Giuseppe Maria Pisani è del ramo
genuino della famiglia, che ha modellato ed intarsiato in marmi pregiati e in
granito, ma questa volta ha fuso il suo lavoro di grandi dimensioni a Napoli,
nella fonderia Laganà. La sua cultura artistica, la grande passione ha
dimostrato in patria, recentemente nella indagine sulla presenza in Calabria
del Renoir, di cui scoprì l'affresco a Capistrano, restaurandolo e salvandolo,
per come era possibile, con le sue mani. Nello studio di G. M. Pisani si è
rinnovata, e con un bronzo, opera egregia, una valida tradizione calabrese”
(2). Ma è anche attraverso le parole dello scrittore Sharo
Gambino che si scorge l’attenzione verso quest’opera di scultura:
“Il portale alto tre metri e ottanta e largo due e cinque, reca scolpiti i
sette episodi più significativi della vita della Vergine: la presentazione al
Tempio, la fuga in Egitto, la disputa coi dottori, il viaggio al Calvario, la
crocifissione, la deposizione e la sepoltura. Nei singoli pannelli Giuseppe
Maria Pisani ci dà un saggio della sua bravura e della sua preparazione fatta
sui classici. Nella scena della sepoltura ci mostra una prospettiva assai
difficile, ma brillantemente risolta nel corpo di Gesù adagiato per terra;
piena di Pathos la scena dell'incontro con le pie donne lungo la via del
Calvario; assai suggestiva la fuga in Egitto; ben costruita per la sapiente
distribuzione delle figure, la scena della disputa coi dottori ed altrettanto
equilibrata la presentazione al Tempio. Il pannello della crocifissione merita
più attenzione; è indubitabile che l'artista abbia in esso raggiunto
contemporaneamente due scopi: l'intensa drammaticità ed una modernità assai
fresca; un lampo, tra la densa nuvolaglia, illumina il Cristo pendente senza
più vita dalla croce alla quale due figure sono disperatamente abbarbicate, quasi
vogliano contenderla al vento che la piega fino a terra nell'intento di
sradicarla e portarla via da quell'indegno luogo di deicidi; un morto
risuscitato si ripara il viso dalla folgore, un cavallo è colto nell'atto in
cui stramazza a terra con il suo cavaliere. Tutto il dramma, dunque, della
morte di Cristo e gli sconvolgimenti che la seguirono, descritti con
un'essenzialità davvero rara” (3).
Altre importanti realizzazioni di questi anni sono il busto del musicista
Riccardo Zandonai (1960) per il Convento del Beato Sante di Pesaro in cui, al
di là di ogni verismo descrittivo, se ne percepisce l’ispirazione per il
fremere del modellato; la scultura "Ut unum sint", esposta nel 1963,
in occasione della morte di papa Giovanni XXIII, presso la galleria d'arte
"Lo sprone" di Firenze e il bassorilievo raffigurante
"L’evoluzione della tecnica nel campo geodetico", con il quale
risultò vincitore di un concorso nazionale di scultura, nel 1967. Il
bassorilievo, che raffigura un uomo anatomico, proteso verso l’alto, a ricevere
il mandato divino, ricco di simboli-icone della moderna tecnologia, campeggia
in bronzo nella piazza del Municipio a Vibo Valentia, sulla facciata
dell’Istituto Tecnico Commerciale "Galileo Galilei".
Molte opere realizzate negli anni Settanta e Ottanta sono caratterizzate dalla
freschezza della modellazione, impetuosa e frantumata, e dal gusto plastico
della materia con cui ottiene espressività nell’interpretazione della figura
umana. Altre importanti sculture sono il San Bruno, realizzato nel 1979 per
l’altare maggiore della chiesa di Santa Chiara a Toronto, commissionato dalla
comunità italiana in Canada e due bassorilievi in marmo raffiguranti "San
Girolamo" e "Giovanni XXIII" scolpiti nel 1978 per la chiesa
dell'Assunta di Serra San Bruno. E’ del 1983, un altorilievo, oggi
posto nel cimitero di Soverato, sulla facciata della cappella del dirigente
della nazionale italiana di calcio Luigi Peronace, in cui ogni frammento vibra,
nei piani larghi e distesi, per effetto della luce che rende le immagini mobili
e mutevoli, facendo esplodere uno stadio affollato di tifosi. Nel 1991 realizzò
per il IX centenario della fondazione della Certosa calabrese, un bronzo alto
quasi due metri, il monumento a San Bruno, oggi collocato nella piazza del
municipio a Serra. Durante le fasi della realizzazione, presso la fonderia
Battaglia di Milano, ammirò l’opera Francesco Messina, definendola
"capolavoro di sintesi". Ancora nel 1993, scolpì per la tomba
Calabretta del Cimitero di Serra San Bruno, una “Pietà” dalla concezione nuova:
non l’iconografia tradizionale del Cristo tra le braccia della Madre, ma la Madonna
che si fa Croce, prendendo su di sé i destini di una umanità sofferente, e
avvolgendo, nel contempo, con il suo corpo etereo, il Figlio, come in un
sudario. Successivamente sarà il busto di bronzo di Mattia Preti, collocato
nella sala dedicata al “Cavaliere Calabrese” del Museum of Fine Arts di Valletta, a Malta,
ad inaugurare una nuova serie di ritratti che marcano la sua intensa vocazione
figurativa mai disgiunta dalla ricerca psicologica. Seguì il busto di Antonello
Gagini, ancora in attesa di collocazione, realizzato per la città di Soverato,
che conserva una celebre "Pietà" firmata dall’artista siciliano nel
1520, e quello del poeta vernacolare "mastro Bruno Pelaggi" collocato
nel cortile del Palazzo Chimirri di Serra San Bruno. Nelle sculture di
quest’ultimo periodo si accentua ancora di più il gioco dei piani nella
dialettica luce – ombra, dialettica risolta, sul piano dei rapporti spaziali,
con una spiccata corposità materica. Ed è, appunto, con la forte concretezza
plastica che lo scultore riesce a cogliere l’universale attraverso il
particolare, permettendo così l’appropriazione delle sottili trame
psicologiche, filtrate attraverso la sensibilità sociale, che governano le sue
figure. Le immagini istantanee, tradotte spesso in un bronzo mai rinettato, con
forte assorbimento luminoso, offrono alla percezione visiva la scomposizione di
piani chiaroscurati che si estrinsecano in un linguaggio formale mai portato
all’indeterminatezza. La scelta delle patine, dalle tonalità tenui, permette di
specificare una cromìa mai scontata, ma sempre aderente ai piani della plastica
che consentono ampie lumeggiature e forti chiaroscuri.
La continua ricerca della sintesi gli consente di esprimere appieno quel pathos
di cui sono pervase le sculture e che filtra, al di là del fenomenico,
attraverso le applicazioni dell’argilla nei passaggi spezzati della luce, dalle
espressioni dei volti e dalla consistenza dei corpi. E’ così che lo scultore
afferma la sua visione del mondo che lo spinge a meditare attraverso l’onda del
ricordo quella tensione ideale che porta al progresso sociale, all’evoluzione
che non deve mai prescindere dalle radici culturali della propria terra.
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