LA SIBILLA E L’ASPROMONTE. 


 di Maria Lombardo

Una delle leggende calabresi è attestata da numerose fonti nella zona dell’Aspromonte: la leggenda della Sibilla e della Madonna.La leggenda è apparsa per la prima volta in forma scritta fra le novelle calabresi raccolte nella zona Palmi e pubblicate dal Di Francia, ma è molto probabile che essa abbia origini molto, molto antiche, origini che si perdono nella notte dei tempi, dato che la figura della Sibilla assume già nella tradizione classica greco-romana contorni di misteriosi e inquietanti. Molti luoghi d'Italia sostengono il privilegio di essere la dimora della celebre indovina, che alcuni hanno localizzato perfino nei dintorni di Norcia (RC).
La tradizione della Sibilla aspromontana è antica e complessa, ben radicata nelle tradizioni popolari della Calabria, soprattutto della zona aspromontana che affaccia sul versante tirrenico.
In una di esse, si legge che la Sibilla abitava in un palazzo incantato all'interno dell’Aspromonte (dove ancora ella vive). Questo palazzo, situato nelle profondità ctonie, aveva una caratteristica molto particolare, una forma “originalissima” di accoglienza: il portone invitava ad entrare e la sedia a sedersi “ed il letto diceva: coricatevi, e chi entrava non usciva più”; in esso “ella insegnava alle fanciulle. Diventata sospettosa (per cosa, la leggenda non l’ha tramandato), la Maga, che voleva essere la madre di Dio, domandava spesso alle piccole discepole che cosa avessero sognato . E la Madonnina rispose che aveva sognato che un raggio di sole l'aveva traversata da destra a sinistra. Allora la Sibilla, improvvisamente adirata, costrinse le discepole a gettare nel fuoco i loro lavori, in modo che si perdesse ogni scienza. La Madonna nascose il suo sotto l'ascella!In questo modo, Maria divenne madre di Cristo e la mamma Sibilla, con tutta la sua scienza, fu condannata ad abitare sull'Aspromonte, dove ancora continua a stregare la povera gente. Fin qui la leggenda raccolta dal Di Francia. Altri ricercatori hanno raccolto versioni differenti; una di esse è stata raccolta a Cosoleto in provincia di Reggio Calabria. La struttura del racconto presenta molti punti in comune con la versione del Di Francia, ma approfondisce alcuni punti oscuri: 
“Nel tempo dei tempi, - così inizia la storia, quasi come una fiaba - fra le aspre rocce dell'Aspromonte, in una valle dolcemente boschiva, s'ergeva un castello. Neglì antri misteriosi, che si prolungavano nelle viscere dei monti, si eternavano gli echi fragorosi delle acque precipitanti nella notte degli abissi. In questo castello viveva un bellissima donna, la donna più sapiente dei tempi, detta Síbílla Cumana. Era con lei suo fratello, a nome Marco. Dalla Sibilla le famiglie più illustri mandavano le figlie ad apprendere le arti e le scienze. Era come un giardino, ove i fiori più belli sbocciavano sorridenti al sole, ammiccante tra le vette. Accadde un giorno che una delle fanciulle, stufa del sapore del pane, che allora era privo di lievito, domandasse alla Sibilla cosa ci sarebbe voluto per renderlo più gradito al palato. E la donna rìspose: "Metti l'acido". Fu così che nacque il pane fermentato dal lievito. Essendo la Sibilla la donna più sapiente del tempo, a lei sola era dato conoscere la scrittura. Ella scrisse dei libri e li diede alle alunne onde tramandarne ed eternarne l'uso. Certa della sua bellezza e forte della sua sapienza, non dubitava che il cielo avrebbe eletta lei a madre del Cristo. Allora tra le fanciulle si usava narrare i sogni della notte. Un giorno una bimba a nome Maria narrò d'aver sognato che un raggio di sole, entratole nell'orecchio destro, le era uscìto per il sinistro. La Sibilla divinò il sogno: ella capì che quella dolce creatura era destinata ad essere la madre del figlio di Dio e, presa da un impeto d’ira, volle distruggere il mezzo di tramandare l'arte, le scienze e le dottrine. Accese un gran fuoco ed ordinò alle timide bimbe di buttare nelle fiamme i loro libri. Ora la piccola Maria, alla quale faceva gran pena privarsene, nascose il librettino tra le vesti. La Sibilla prese ad interrogare le fanciulle, per vedere se avessero eseguito il suo volere. Giunta presso Maria così le disse: E tu? E la fanciulla le rispose: "l'ho". La Sibilla interpretò quella risposta come affermativa, nel senso che Maria avesse dato il libretto alle fiamme, e passò oltre. Fu così, secondo questa leggenda, che si salvò la scrittura! Passarono gli anni e la Sibilla diventò cattiva, sicchè le fanciulle non andarono più da lei. Un dì ella seppe che il Cristo era nato da Maria, e pianse, e disse il suo dolore al fratello. Questi, per appagare la brama di vendetta della Sibìlla Cumana, andò in cerca di Cristo, lo vide e lo colpì con la destra sulla guancia. Il Cielo la dannò a vivere eternamente tra gli antri del suo castello ed a battere continuamente i sinistri cancelli delle cene, con la mano sacrilega che aveva colpito il Cristo mutata in mazza di ferro, ululando nel tormento del proprio cuore: "Oh! Che feci! Oh! Che feci!". Come lui anche la Sibílla Cumana fu condannata a vivere eternamente, rosa dall’ira. Passarono i secoli, il castello scomparve tra fitte boscaglie e cumuli di spine ed il sole spostò il suo corso onde lasciare nella notte eterna quel luogo maledetto. Più giù, nella valle di Polsi, sorse un Santuario dedicato alla Madonna e la gente va a salutare Maria con pellegrinaggi infiniti a piedi ed a ridosso dei muli. Ognuno Le porta il dono che per voto Le ha promesso. Tra i piccoli ed aspri sentieri il popolo porta in trionfo il simulacro di Maria, ma allorchè la statua dovrebbe essere rivolta verso levante, in direzione del luogo ove un tempo fu il castello della Sibilla, con rapido giro voltano la "bara", in modo che l'immagine volti il tergo alla grotta. Lassù, mentre fra lo scoppio dei mortaretti, lo sparo dei fucili e l'esultanza della folla la statua, così rivolta, entra nel Santuario, corruschi cirri coprono le cime. Sembra, tra il fragore delle acque, di udire il lamento di Marco e l'eterna imprecazione della Sibilla Cumana. Solo un cancello di ferro tra gli sterpi secolari attesta il passato. Così la leggenda”.
Del tutto simile è la versione corrente in Delianuova (RC), paese anch'esso dell'Aspromonte occidentale. Anche qui “quando il vento soffia fra le forre e risuona entrando negli anfratti della caverna, i pastori dicono che è il rumore della mano ferrata dì Marco che batte sulle inferriate del castello”. A S. Stefano d'Aspromonte credono che la maga viva ancora, ma sia condannata “a segare nel seno del monte una colonna sulla quale poggia il mondo, in pena alla sua superba aspirazione di essera la madre di Dio”. Gli abitanti di San Luca, villaggio celebre per aver dato i natali a Corrado Alvaro, sarebbero "gli eredi della maga ed i continuatori tradizionali dei suoi riti, fra quella gente che nei suoi bisogni ricorreva dalla sapiente" (nota1).
Nel sogno della Vergine presente in un’altra versione palmese, raccolta da Antonino Basile, è aggiunto il particolare della salutazione dell'angelo a Maria, che manca, invece, nelle altre. Uguale, al contrario, la credenza nella fecondazione auricolare, per mezzo del raggio di sole. Altro divario tra la versione di Cosoleto la seconda versione di Palmi sta nel fatto che, alla domanda della Sibilla se avesse gettato nel fuoco il suo libro, Maria non risponde a parole (io l'ho) ma soltanto col gesto, aprendo le braccia, mentre tiene nascosto il libro sotto l'ascella. Manca nella novella palmese ogni accento a Marco ed alla sua terribile condanna in seguito al fatto dello schiaffo sacrilego dato al Cristo. Ma anche qui, nella II^ versione palmese, la Sibilla ha un fratello, Simone, il quale (novello Prometeo), con la sua furberia riesce a estorcerle il segreto della tecnica della navigazione: il timone ed il varo della nave, l'armatura della struttura ed il sego sulle falanghe (da notare come le rivelazioni della Sibilla siano in queso caso più direttamente connesse con le soluzioni economiche del paese, dato che Palmi è paese che viveva di pesca).
La leggenda di Cosoleto, così come la versione palmese raccolta dal Basile, è ben più vasta di quella di Palmi pubblicata nelle "Novelle Calabresi" del Di Francia. Molti sono gli elementi comuni, ma anche molti elementi nuovi che gettano qualche barlume sulla leggenda, ma aprono nuovi interrogativi. 
La Sibilla in queste leggende acquisisce il carattere di una vera e propria divinità, una dea della fecondità e della natura: possiede infatti tutta la sapienza e la potenza ed è ella stessa a donare la conoscenza agli uomini. Come Demetra antica, la Sibilla aspromontana insegna a confezionare il pane rendendolo sapido col lievito. Dona anche i segreti della navigazione ai pescatori di Palmi (sebbene in questo caso intervenga il fratello con un gioco d’astuzia). Appare addirittura come inventrice della scrittura: scrive che affida alle sue discepole perché ne abbiano cura e li trasmettano (con il loro bagaglio di conoscenze) agli uomini. Ella, infine, è apòsis: vive, infatti, con il fratello (Marco o Simone che sia) e non con uno sposo. La Sibilla ha inoltre il carattere degli dei greci: è irascibile, crudele e capricciosa, superba della sua sapienza: ha la convinzione (chissà perché) che il cielo la sceglierà come madre di Cristo e così, quando la piccola Maria narra il suo sogno (cioè che un raggio di sole entratole per l'orecchio destro è uscito dal sinistro), ed lei capisce che il Verbo s'incarnerà nella fanciulla, la sua furia e la sua rabbia si scatena contro gli uomini, cercando di distruggere i libri (cioè la scrittura, il mezzo di tramandare le conoscenze). E’ notevole, poi, l'accenno in questa leggenda al sogno della Vergine, la quale sogna che un raggio, di sole penetri nel suo orecchio destro per uscire dal sinistro. La Sibilla ha ragione di allarmarsi e di reagire, poichè, attraverso il sogno, è espressa l'idea della fecondazione auricolare per mezzo del raggio di sole. A questa concezione si ispirano spesso le pitture sacre nelle quali si vede l'orecchio della Vergine colpito da un raggio di sole. Tertulliano nell'Apologia (cap. XXI) aveva affermato che il Signore fu concepito da un 'raggio di sole caduto sulla Vergine'.
La concezione che il sole potesse fecondare è antica, molto più antica della età paleocristiana. Il mito di Danae, la quale venne rinchiusa dal padre in una stanza sotterranea o in una torre con una breve finestrella, e venne fecondata da Giove, che l'amava e la raggiunse sotto forma di pioggia d'oro, dipende da questa concezione, così come una leggenda dei Kirghisi della Siberia ne attestano sia l’antichità, sia la massiccia diffusione. L'idea che le donne possano essere ingravidate da un raggio di sole ha lasciato notevole traccia anche nella novellistica. L'inizio della favola La figlia del sole, pubblicata per la prima volta dal Comparetti sotto il titolo di Sole, raccolta a Pisa dalla viva voce di una vecchia popolana e ripubblicata da Italo Calvino, contiene i motivi che si ritrovano nel mito di Danae, salvo alcune varianti. Lo stesso motivo ricorre nelle favola calabrese di Violina (nota2). 
Molto interessante è anche la natura “singolare” del palazzo (o castello) della Sibilla: le porte, le sedie sono animate e trattengono l’ospite che vi si reca. Il palazzo-castello acquisisce dunque quella natura che Propp (nota3) attribuisce alla “casa della strega” delle fiabe di magia russe: la natura di porta verso l’altro regno, il regno dei morti (non a caso, il castello-palazzo giace nel cuore dell’Aspromonte, in un posto inaccessibile o quasi, circondato dalle montagne, quasi fosse una delle entrate al regno ctonio degli Inferi), il regno da cui non si può fare ritorno (ed infatti gli oggetti “animati” della leggenda della Sibilla aspromontana trattengono il malcapitato visitatore e la Sibilla tormenta i malcapitati finiti nelle sue grinfie). 
Ma da dove deriva questa leggenda? Antonino Basile si spinge fino a suggerire la possibilità di un vero e proprio ciclo della Sibilla in Aspromonte. Di certo, le caratteristiche evidenziate nelle sue varie stesure evidenziano la natura “mitica” e molto antica della struttura profonda del racconto. E’, inoltre, evidente il sostrato da “mito delle origini”, mascherato appena di venature cristiane (la presenza della Madonna e l’annunciazione) che si nasconde al di sotto della storia. La Sibilla si è ammantata di poteri divini, essa è l’origine delle conoscenze umane, rivelate agli uomini da aiutanti (il fratello Simone, la Madonna) che trasmettono la conoscenza attraverso un gioco d’astuzia, la furia della Sibilla sono tutte caratteristiche presenti sia nei miti classici, sia nelle fiabe tradizionali, così come la reclusione della Sibilla nelle profondità della Terra (dove riposano i morti nella cultura folklorica, come rilevato da Luigi M. Lombardi Satriani (nota 4)) ovvero nel suo castello-palazzo incantato (che, come si è detto sopra, è una dimora ctonia ed infera anch’essa). Pertanto, la leggenda sembra essere molto, molto antica e soprattutto molto radicata nella cultura tradizionale dell’area aspromontana, troppo radicata per essere semplicemente una storia. Una domanda sorge dunque spontanea: una leggenda molto antica ha anche un fondo di verità? (Raoul Elia – Centro Studi Bruttium).

NOTE:
1 - D. Corso, Un viaggio sull'Aspromonte, in “La zagara”, RC, 21 febbraio 1874, amo VI, n. 7, pag. 52. Bello ha qui, grecamente, il sìgnificato di buono.
2 - R . Lombardi Satriani, Racconti popolari calabresi, vol. I, n. XXVI (Biblioteca delle Tradizioni Popolari Calabresi, vol. VIII), Napoli, De Simone, 1953.
3 - V. Propp, Le radici storiche dei racconti di magia, Newton, 1972, p. 
4 - L.M. Lombardi Satriani – M. Melagrana, Il Ponte di S. Giacomo, Palermo, Sellerio, 1996

( ricerche dal web)

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