La tradizione della corajisima in Calabria
di Maria Lombardo
È una bambola di pezza creata con vecchie stoffe. La bocca, il naso e gli occhi venivano cuciti con un filo, il corpo era creato con un bastoncino rivestito con un vestito bianco e nero, i colori che evocavano il lutto, oppure con il vestito nuziale. Il bastoncino veniva conficcato in un frutto (limone, arancia o fico secco). In mano teneva un fuso o in alcuni casi la lana, questi simboli, tendevano a simboleggiare lo scorrere del tempo.Al frutto su cui poggiava la Corajisima venivano conficcate 7 penne di gallina in senso circolare che rappresentavano le 7 domeniche che dalla morte di Re Carnevale si concludevano nella domenica di Pasqua.Le 7 penne rappresentavano le 7 settimane di quaresima nelle quali non si poteva mangiare carne, soprattutto quella di maiale, cucinare in modo laborioso, mangiare dolci e le donne dovevano anche astenersi dall’avere rapporti intimi.Oltre alla bambola veniva realizzata una collana di uva passita e fichi secchi oppure straccetti di guanciale, peperoncino e aglio, in relazione ai giorni dell’astinenza dai piaceri carnali e non solo del periodo quaresimale.Ogni domenica di Quaresima, dopo la Santa Messa, le donne estirpavano una penna dalla bambola e toglievano un chicco di uvetta, o un fico secco dalle collane.Subito dopo la domenica delle Palme, la Corajisima, veniva tolta fino alla domenica di Pasqua, quando, dopo aver tolto l’ultima penna, veniva bruciata nel fuoco. Si racconta che fosse un rito simbolico per scacciare gli spiriti maligni.
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