Calabria 1848: La battaglia dell’ Angitola i Calabresi si ribellano ai Borbone.



di Maria Lombardo



Il periodo della storia Borbonica in Calabria non è la sola storia della Ferriera Regia di Mongiana, ragion per cui i neomeridionalisti si sono inculcati senza cognizione storica che noi calabresi eravamo ricchi e industrializzatissimi. Bontà loro una sola fabbrichetta con 1500 operai  e che perì perché non accettò mai di modernizzarsi  non poteva assolutamente fare una Regio ne ricca.  Ho deciso  di raccontarvi quello che successe  nel distretto di Monteleone oggi Vibo Valentia nel 1848. Attenzione questo era lo stesso distretto di Mongiana! Il popolo angariato si sollevò più volte nella speranza di avere più libertà e benessere.
Un pellegrinaggio molto faticoso e lungo verso il santuario dell’Unità, fatto su strade piene d’insidie, tracciate su aspri sentieri, attraversando monti, colline, pianure, fiumi, mare, boschi e campi deserti con incontri felici o infelici e scontri che lasciavano morti e feriti. Su queste basi i Calabresi lottarono per la loro libertà, certamente sui libri di storia sono narrati i grandi avvenimenti  la plebe comincia ad essere menzionata solo quando si rivolta  contro le ingiustizie sociali di chi governa o amministra, anche a livello locale; se vogliamo fare la storia delle nostre comunità, dobbiamo conoscere il loro passato di fatti e misfatti, di persone e di luoghi, di usi e costumi. Proprio per queste ragioni scrivo spesso di periodo borbonico e Calabria Borbonica per debellare in modo professionale le velleità portate avanti da neofiti neomeridionalisti. Cosa successe all’Angitola in quel ’48 ecco che la storia locale si amalgama alla storia nazionale e senza tutti gli eventi ed i personaggi calabresi e siciliani  il progetto unitario sarebbe fallito.  Personalità di gran rilievo, personalità note per i loro scritti, il loro pensiero, la loro azione, i loro ruoli, sono un’occasione per ricordare coloro, quasi tutti giovani, che morirono in combattimenti, che riportarono ferite, che furono giustiziati, carcerati, esiliati, che tanto dolore portarono nelle loro famiglie. Sono gli anni in cui su tutto il suolo italico si erano radicati  Carboneria e la Massoneria  con le loro vendite e logge, circoli locali segreti di cittadini per lo più colti e benestanti, ispirati all’idea di fratellanza e libertà, di riscatto sociale, di cambiamento del sistema istituzionale, alcuni preferendo al sistema monarchico quello repubblicano, ideale del Mazzini o di Benedetto Musolino. Personaggi vessati dal Borbone non dimentichiamolo.  La rivolta dell’Angitola fu fatta da benestanti  che si erano addottorati a Napoli  e nei reali licei cominciarono a conoscere queste nuove idee.  Con il Settembrini a Catanzaro e a Monteleone con Onofrio Simonetti, entrambi emeriti professori e amici. Onofrio Simonetti era nato a Francavilla nel 1796 e morì nel 1862 a Monteleone, allievo del dotto canonico Potenza, fu medico, filosofo, letterato, si occupò di materie scientifiche, fu socio di numerose accademie italiane ed europee, fu autorevole e apprezzato educatore. Lasciò numerosi scritti per fare conoscere la cultura calabrese. Famosa la sua opera su ‘La filosofia di Dante nella Divina Commedia’, sulla storia del pensiero filosofico calabrese, da Pitagora a Campanella e Galluppi.
Tra i suoi allievi furono uomini come Benedetto Musolino di Pizzo, Michele Bello di Gerace Severino Serrao di Filadelfia, Francesco Servello di Francavilla. Aveva vinto il concorso in magistratura di ultimo grado, ma gli fu vietato ricoprire la prestigiosa carica e anche di esercitare la professione di avvocato. Fu amico di Stocco, Mazzei, De Nobili e di tanti altri ferventi patrioti. Assieme al farmacista Farina faceva parte della loggia francavillese, ben rappresentata e attiva. La famiglia Servello, dopo l’Unità, si trasferì a Pizzo per il matrimonio del medico Servello Domenico fu Raffaele con una Panella. Discendenti di questa famiglia furono Raffaele, magistrato, Francesco Antonio, professore d’ingegneria navale a Trieste, Manfredi avvocato.  Ecco che a Gerace scoppiò una rivoluzione che ho narrato in questo blog ed in molti altri,  promossa da alcuni giovani carbonari, alcuni amici e compagni di scuola di Benedetto Musolino come Michele Bello. Chiedevano la Costituzione e alcune rivendicazioni come l’uso dell’acqua marina, vi era il divieto di usarla per scopo alimentare. Fu mandato a sedare la rivolta il generale Ferdinando Nunziante. Furono catturati i principali promotori ossia Michele Bello, Pietro Mazzone, Gaetano Ruffo, Domenico Salvadori, Rocco Verduci che furono giustiziati, il generale aveva la potestà di salvare loro la vita imprigionandoli, ma non lo fece, erano giovani studenti in giurisprudenza a Napoli, dove avevano stretto amicizia con altri patrioti calabresi. Erano giovani romantici, poeti e sognatori di un’Italia unita. Queste morti suscitarono davvero sdegno non solo nelle Due Sicilie dove fioccarono le commemorazioni ma la stampa ne parlò ovunque in Europa. A Milano le dame adottarono la moda di indossare il cappello alla calabrese in segno di solidarietà. Il 1847 reggino fu, a tutti gli effetti, il preludio del 1848 e della battaglia sul fiume Angitola. Ecco che Ferdinando concede la costituzione ennesima che violerà comunque , alle elezioni di quell’anno Musolino viene eletto deputato per la Calabria Ultra, il Re inizia a giustificarsi con gli austriaci di aver concesso quella Costituzione poiché il popolo era sempre in armi.
 Scoppiarono le rivolte e Ferdinando II, chiamato re bomba per l’uso delle armi nel sedare qualsiasi tumulto, sciolse di fatto- il parlamento. Deputati e e rivoluzionari protestarono energicamente, ma invano e e si decise di organizzare militarmente i vari gruppi d’insorti nelle province del regno. Benedetto Musolino fu uno dei più attivi e assieme ad altri si portò a Cosenza per organizzare la rivolta calabrese. Fu eletto in Cosenza un Governo Provvisorio, composto di cinque membri con poteri dittatoriali, sino alla convocazione del nuovo Parlamento . II Musolino fu uno dei Cinque : esercitò le funzioni di Ministro della Guerra.
Per la Calabria si affidò l’incarico di comandante al generale Francesco Stocco, un barone nativo di Adami di Decollatura, furono mobilitati in pochi giorni quasi 4.000 rivoluzionari. La metà di quel contingente rivoluzionario si portò nel Monteleonese, all’Angitola poi si decise di unirsi in massa ai rivoltosi. Gruppi di rivoluzionari, sotto la guida di Fabiani di Maida, risalirono le sponde tortuose del fiume Angitola e si diressero alle Ferriere di Mongiana, dove riuscirono a prendere 24 barili di polvere e ben due cannoni. Da Napoli nuovamente fu inviato il Nunziante , i regi sbarcarono al Pizzo ma avevano sottovalutato la gravità della situazione. I giovani di Calabria furono molto audaci ricordiamo Paolo Vacatello di Pizzo, che nella rada di Santa Venere assalirono un veliero per impossessarsi di 25 barili di polvere sabotando l’intero carico destinato alle truppe borboniche. Nuovamente Nunziante risponde ferocemente con un grave eccidio  dopo avere saccheggiato, razziato Pizzo si accani contro la famiglia di B. Musolino. Fu bruciato il palazzo, il vecchio genitore fu sgozzato a punta di baionetta ; il fratello primogenito Saverio, illustre Avvocato, fucilato ; la madre, un altro fratello e la cognata Rosina Scaglione, morti pochi mesi dopo di crepacuore; tutte le altre proprietà urbane e rurali messe a ruba e devastate. si sentirono delusi e ingannati dai loro superiori, sfiduciati infierirono contro la popolazione, perpetrando violenze di ogni genere. Nunziante fu costretto a dimorare a Pizzo !  All’Angitola il campo liberale fu male organizzato , si dormiva sulle strade, i mezzi di sussistenza erano scarsi, era insomma, come qualche cronista ed ebbe a dire, una Babele. Erano arrivati i più prestigiosi e influenti rivoluzionari da Catanzaro, Sambiase, Nicastro, Maida, Cortale e da quasi tutti i comuni del bacino dell’Angitola. Palazzo Serrao a Filadelfia accolse numerose personalità come il Griffo, generale delegato da Stocco come comandate del campo. Palazzo Mannacio a Francavilla ospitò il maggiore D’Olio, D’Ippolito e Mazzei di Nicastro, De Nobili e De Riso di Catanzaro con altri nobili. I fratelli Vincenzo, Fabrizio e Annibale Mannacio parteciparono alla battaglia dell’Angitola. Il ponte sul fiume Angitola ancora non era stato costruito, quello esistente era provvisorio e di legno. Quello che oggi possiamo ammirare, anche se non percorribile, fu ultimato dopo il 1848, vera opera dì ingegneria. Era stato costruito per unire la strada che portava a Reggio e anche alle Serre per arrivare a Soverato, dazio si seconda classe mentre quello di Pizzo era di prima classe. L’unica strada che da Napoli arrivava a Reggio era la Via Grande, l’ex Popilia dei romani che all’Angitola si tagliava in due. La battaglia dell’Angitola fu cruenta, si combattè con armi da fuoco e all’arma bianca. I rivoltosi non superavano le 300 unità, mentre i soldati regi erano di gran numero superiore e protetti anche da due navi con cannoni, che stanziavano tra la foce del fiume Angitola e il Turrina. Dal campo di Filadelfia non arrivarono rinforzi e il Griffo, delegato da Stocco come comandante di quel campo, fu lento o riluttante a intervenire ad accerchiare i regi posizionandosi tra il Trevio e il Fondaco Apostoliti. Un suo intervento poteva avere altro esito. Gli insorti si ritirarono riparando nei boschi o fuggendo verso Curinga, inseguiti dal Nunziante. Al ponte delle Grazie i regi furono sorpresi da un nutrito gruppo d’insorti, molti provenienti da Sambiase e Nicastro, tra i quali spiccano i nomi di Giovanni Maria Cataldi e del nipote Giovanni Nicotera, anche nipote di Benedetto Musolino. Il curinghese Francescantonio Bevilacqua, simpatizzante dei nazionali, vedendo bruciare il suo casino, mobilitò i suoi dipendenti a unirsi ai rivoltosi. Fu teso un vero e proprio agguato alle truppe del Nunziante, che atterrito ripiegò verso il mare protetto dalla nave Archimede. Ricevuti i rinforzi, via mare e via terra, costrinse i rivoltosi a ripararsi fuggendo tra i boschi delle alture di Curinga. Le perdite dei regi furono consistenti, quelle dei nazionali pochissime. Alle Grazie furono fatti fucilare dal Nunziante : Angelo Morelli, Ferdinando Barone De Nobili, Giuseppe Mazzei, Andrea De Summa, Giuseppe De Fazio, Giovambattista Alessio, Antonio Scaramuzzino, Ferdinando Miscimarra, Felice Saltalamacchia e altri due giovani siciliani dal nome rimasto sconosciuto. Finì nel sangue la battaglia sull’Angitola, gli insorti furono sconfitti e messi in fuga. Se ci fosse stato maggiore collegamento tra loro e, il campo di Filadelfia, secondo alcuni esperti, l’esito della battaglia poteva essere diverso. Alcuni, come B. Musolino e il nipote Giovanni Nicotera, ripararono all’estero, Corfù, Malta e Francia, altri subirono processi e carcere a Ventotene, come il Castaldi, altri ritornarono ai loro patri lari, senza subire carcere per le raccomandazioni avute da parenti molto influenti nell’amministrazione borbonica, altri, come i contadini e dipendenti dei vari proprietari terrieri, ritornarono ai loro tuguri, alcuni restarono patrioti e seguirono sia Giovanni Nicotera a Sapri sia Garibaldi a Napoli.
Giovanni De Fiore di Maida, assieme al Fabiani, protagonista rivoluzionario, partecipando all’incursione di Mongiana e alla battaglia dell’Angitola, in una sua monografia afferma:‘Soffocata nel sangue la rivoluzione calabrese, come doveva accadere, perché abbandonata alle sole sue forze dalle altre province, la reazione si scatenò in un modo strano contro il paese. Onorato lo spionaggio, la dottrina e la civiltà sospette; Amministrazioni, leggi, istruzioni in mano di gente abbietta, e solo alla causa regia devota. Esilio, carceri, galera ad uomini non colpevoli di altro di avere amato la costituzione, che lo stesso sovrano aveva largito.”
Fu l’epoca del romanticismo, poeti e scrittori non mancarono tra i rivoluzionari insorti. Vi fu un patriota prete poeta, Giuseppe Monaldo (Filadelfia 1820-ivi 1911). Fu parroco della chiesa di San Giorgio a Pizzo, spirito rivoluzionario e veramente laico. Le sue poesie si tramandavano oralmente nei paesi angitolani. Trovati gli scritti, sono stati pubblicati a cura del nipote Servello.

Notizie tratte da E.Borrello, op.cit., cap. IX, "La rivoluzione calabrese del 1848",pp.176-177-178 ,II^ edizione 1998, Temesa Editrice- Roma.


Notizie tratte da "Il contributo lametino alla causa dell'Unità d'Italia" di Gaetano Boca,pubblicato su "Storicittà rivista d'altri tempi" p.9,annoVII,n°70, mese di agosto-sett.1998, Edito da Rodolfo Calfa dal 1992 al 2004 - dal 2005-2007 Massimo Iannicelli Editore - Lamezia Terme (Cz).

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