Olivocoltura calabrese dai Borbone fino ai giorni nostri.




di Maria Lombardo



 La presenza dell’ulivo questa pianta secolare che tinge di verde le campagne calabresi pugliesi e campane per dirla tutta rappresenta da secoli la peculiarità delle terre calabre e dell’intero Mezzogiorno. È cosi forte la loro presenza nei nostri territori, che ci si immagina che si tratti di vegetazione spontanea,nulla di più errato! L’ ulivo da secoli e secoli necessita di cure affinchè cresca rigoglioso e produca il suo frutto. Da millenni infatti il lavoro della piantumazione degli olivi ed inoltre dell’annesso raccolto coinvolge intere famiglie calabresi effettivamente la raccolta delle olive era una festa. Le infinite distese di terreni ulivetati sono il risultato di secoli di trasformazioni del territorio e del come i calabresi siano legati a questa pianta. Il territorio calabrese è stato, almeno sotto l’aspetto botanico, plasmato dalle sapienti mani dei contadini i quali con abnegazione si dedicano a questa millenaria attività. Quanto fin qui detto, rappresenta la dimostrazione concreta, che i frutti di questi monumenti naturali, dessero la possibilità alla Regione Calabria sin dalla seconda metà del XVII secolo, di inserirsi nelle logiche commerciali europee, intercettando gli sviluppi e le trasformazioni del mercato internazionale. Partendo dal gelso e dalla rinomata produzione serica, si arrivò alla coltura degli ulivi e, infine, degli agrumi. A differenza di quanto avveniva per la produzione di cereali, la coltura di alberi di ulivo giovò al territorio, per garantire maggiore stabilità ai terreni vessati dalle fragili condizioni idrogeologiche (tipiche in Calabria le alluvioni). In Calabria, o meglio nelle Calabrie, l’espansione olivicola si diffuse rapidamente, creando delle zone ad alta specializzazione, come le aree di Gioia Tauro e Rosarno, giungendo, poi, fino alle pendici dell’Aspromonte. Nel territorio di Seminara i coltivatori avevamo più alternative. Anche sul versante Ionico, a Rossano e Cirò, si è assistito ad una prepotente ascesa di questa pianta. La produzione di olio si accrebbe così notevolmente che, già a fine ‘700, si giunse, in qualche caso, a sorpassare il tradizionale e secolare primato pugliese effettivamente il Grimaldi ebbe spesso a dire che quando la Puglia riposa la Calabria produce. A partire dal 1735 si registrano i primi forti segnali del rifiorire dell’olivicoltura calabrese. Artefice di questo rinnovamento fu il re Carlo III di Borbone, che coadiuvato dal ministro Tanucci, attuò una serie di riforme che rinnovarono il Regno di Napoli. Lo studioso Giuseppe Maria Galanti, nella sua opera “Scritti sulla Calabria, una minuziosa indagine sulle condizioni socio – economiche del Sud Italia fra l’ultimo decennio del Settecento e i primi dell’Ottocento, descrive la notevole cura che in quel periodo veniva dedicata alla conduzione degli uliveti e alla conservazione dell’olio: “Generalmente gli uliveti si zappano e s’ingrassano, e l’uso è che ogni proprietario suole tenere o adoperare picciole mandre di pecore per concimare. Dove mancano le pecore si supplisce co’ concimi de’ lupini. In Catanzaro e sua contrada continua l’uso dell’antico trappeto. L’olio si conserva o in vasi di creta o in cisterne fatte di pietra di Genova”. Evidenza della notevolissima diffusione dell’olivo sono una serie di documenti dell’epoca come, in particolare, atti notarili riguardanti affitti o restituzioni di oliveti o di trappeti (ovvero torchi per olive). Tra i tanti riportiamo quello relativo al fondo di Cannavà, uno dei più fertili ed estesi del comune di Catanzaro, dove il duca di Cardinale, Luciano Serra, aveva impiantato un uliveto di 2000 botti di olio (hl. 10.460) i cui ulivi, di notevole dimensioni, avevano una resa pari a circa 14 ettolitri di olive (24 tomoli): “l’orizzonte chiuso del cupo oliveto e l’aria tetra della immensa pianura è ravvivata alquanto dalla fragranza di un riquadrato giardino di circa 15 ettari.. I trappiti sono nel villaggio, ma la sansa si porta al vecchio trappitto a lavatoio, che è edificio occupante 72 are di terreno con macine 10 e torchi 24”. Secondo alcune fonti, a quell’epoca, la produzione olearia calabrese, arrivò da sola a rappresentare il valore pari a un terzo di tutta la produzione olearia del Regno. L’enorme produzione olearia delle Calabrie, viene analizzata da uno studioso, il Grimaldi, nei suoi “Studi statistici sull’industria agricola e manifatturiera della Calabria Ultra II”, Stabilimento Librario-Tipografico di Borel e Bompard, Napoli 1845. E’ per gli scettici del settore e per gli inesperti in campo storico che pubblico per intero un breve passo del Grimaldi tratto da Questione meridionale studi e testi del Borzomati:”Coltivazione estesa ed utile alla Provincia è quella degli ulivi: fu essa derelitta durante il decennio dal 1806 al 1815 talché gli uliveti, in parte, furono distrutti, e, in parte, vennero altrettanti boschi. Dopo quell’epoca, rianimato il commercio, si cominciò ad aver cura degli antichi uliveti, si fecero piantagioni novelle, ed attualmente pressocché in ogni sito sono progresso. Menonché in 14 comuni, da per tutto nella Provincia vien coltivato l’ulivo, del quale abbondano maggiormente le qualità dette ogliarole e rotondelle, che danno abbondante olio, e le celline, di cui se ne ottiene meno, ma di migliore qualità […]. In generale, di esse non si ha molta cura e si abbandonano alla propria forza di vegetazione […]. La concimazione negli uliveti non si pratica da per tutto, e si esegue o facendovi dimorare le mandrie o mettendo letame in fosse fatte ai piedi degli alberi o soesciandovi il lupino. Perloppiù i terreni olivetati essendo seminati, non si fanno pegli alberi che quei lavori d’aratro o di zappa necessari al sottoposto terreno; e gli altri in cui si semina, si zappano in inverno, ogni 3 a 6 anni […]. La potatura si fa inverno, in taluni siti non si esegue, in altri si fa male […].La raccolta delle olive si fa generalmente quando queste son perfettamente mature, eccetto pochissimi proprietari che la eseguono pria di giungere a tal punto. Il frutto in parte si raccoglie da terra ed il rimasto sull’albero si fa cadere perticando i rami.Oltre il danno che dal sistema di abbattere e di raccogliere mature olive ne viene, vi è l’altro che deriva di tenerle pria della raccolta per circa un mese ammonticchiate e premute in luoghi sovente umidi e bassi […]. I molini e i frantoi da olive, detti, volgarmente, trappeti, son difettosi. In fatti, la mola è larga un palmo e mezzo e con taglio poco aguzzo, per cui oltre ad essere pesante e di lento moto, richiede molta fatica per essere mossa e la triturazione delle olive non è ben fatta. Il prodotto dell’olio è di 19.523 botti, cioè cantaja 107.287 e rotoli 57 e 1/3, ed è poco men che raddoppiato nell’ultimo decennio, poiché, pria del 1835, il medio prodotto era di 10.623 botti; il prezzo di ducati 55 la botte. Finalmente gli uliveti può ritenersi che occupano 312.368 moggia del territorio della provincia, e sono nella maggior parte nel distretto di Catanzaro e nella minore, in quel di Crotone». E’ chiaro che il Grimaldi mente rinomata calabrese conoscesse a fondo la situazione delle campagne di Calabria Ultra. Vi fu una fase di blocco sotto i Napoleonidi, ma la crescita riprese negli anni a venire. La Calabria iniziò ad esportare sempre più olio, non solo nelle altre province del Regno, ma anche e soprattutto nei principali paesi europei. L’ olio delle Calabrie era ricercatissimo dalle industrie del Nord Europa, specialmente dai saponifici di Marsiglia e dalle industrie tessili inglesi. Il cloth oil, l’olio per i panni, come veniva chiamato nelle lande anglosassoni, era destinato non al consumo alimentare, bensì utilizzato per la lavorazione dei tessuti nelle fabbriche e per la lubrificazione dei macchinari. Ragion per cui ai latifondisti calabri non interessava il progresso o la miglioria del prodotto finito. Oggi l’olivicoltura è il comparto fondamentale dell’agricoltura della Regione. In termini di reddito rappresenta il 25% della produzione lorda vendibile. Le imprese olivicole calabresi sono più di 160.000. Rilevante il loro apporto sul piano dell’occupazione diretta ed indotta. Lo sviluppo della coltura è legato essenzialmente alla risoluzione di problemi di natura tecnica ed economica di seguito sintetizzati. Ristrutturazione degli oliveti – Conservazione di una parte degli impianti per rispondere ad esigenze di tipo ambientale e paesaggistico. Svellimento di vecchi impianti non più remunerativi e reimpianto di nuove cultivar. Riequilibrio della produzione mediante il contenimento del fenomeno dell’alternanza del ciclo produttivo e la lotta antiparassitaria. Riduzione dei costi di produzione con particolare riferimento a quello della raccolta. Produzione di olio di bassa acidità e con buone caratteristiche organolettiche, cioè direttamente commestibile.

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