Drapia ( VV) ed i suoi dolci di Pasqua: i “vrazza” alias i bracci


 di Maria Lombardo

Ingredienti: 2 kg. di farina c.a. 10 uova 1 kg. di zucchero 1/2 lt. di latte, 300 gr. di margarina vegetale, 2 bustine di pane degli angeli.

Versare lo zucchero e la margarina in un recipiente e impastare rigorosamente a mano fino ad ottenere un composto omogeneo. Aggiungere poi le uova amalgamandole bene all’impasto precedente. Versare il latte e la farina un po’ per volta fino ad ottenere un impasto omogeneo. Prima di infornare aggiungere le bustine di lievito per dolci. Versare l’impasto nelle teglie per forno e cuocere per 40 min. c.a. alla temperatura di 180°. Buon appetito.

Durante il periodo di Pasqua anche il Sud Italia fa sfoggio delle sue prelibatezze culinarie. Stiamo parlando dei “Vrazza” (braccia), la cui origine affonda in uno dei periodi più tristi della società italiana all’indomani del devastante terremoto che nel 1908 colpì duramente Reggio Calabria e Messina. Quell’evento che colpì al cuore l’Italia, la rese una famiglia unita. Tutto il Sud fu inondato dalla solidarietà delle genti del Nord che partirono, come angeli, per soccorrere e aiutare a ricostruire quanto andato perduto. E le tracce di questo grande moto di fratellanza sono tutt’ora tangibili nella piccola comunità di Drapia e Gasponi, anche se il tempo ne ha affievolito i ricordi e i più giovani quasi disconoscono questo importante tassello di umanità e il prezioso scambio culturale che letteralmente avvenne all’epoca.Ancora oggi le nonne tramandano il racconto dell’arrivo di un ingegnere bolognese, il quale raggiunse le comunità di Drapia e Gasponi per contribuire alla ricostruzione del centro abitato di quest’ultima. Bisognava rimboccarsi le maniche e rifare quella che tutt’oggi si chiama ancora zona baracche. Quest’ingegnere, un tipo alla mano e bonaccione come i bolognesi doc, legò immediatamente con gli abitanti del posto che, ospitandolo per condividere quel poco che avevano, in segno di accoglienza e profonda gratitudine, iniziarono a conoscerlo sempre più a fondo. E le donne del paese, come segno di grande riconoscenza per quanto stesse facendo per la comunità intera, iniziarono a indagare su quale fosse il suo dolce preferito tra quelli tipici emiliani per tentare di omaggiarlo replicandone uno. Così, carpendo qualche indizio e senza mai farsi scoprire, le donne si riunirono un giorno al forno del paese e senza disporre di alcuno strumento iniziarono laboriosamente ad ingegnarsi. Presero quindi lo strutto, poiché quasi ogni famiglia possedeva e macellava maiali e unendolo allo zucchero, che non venne a mancare nonostante la tragedia, lo lavorarono a mano energicamente per diversi minuti fino a renderlo spumoso. Poi aggiunsero le uova, largamente disponibili, il latte appena munto e la farina anch’essa in abbondanza poiché quella un tempo era zona di mulini. Infine, grattugiarono la scorza di alcuni limoni e, sfruttando il calore emanato dalla bocca del forno a legna, sciolsero in ultimo il cremor tartaro, un composto chimico antesignano del lievito per dolci. Crearono così un composto del tutto nuovo anche per loro. Ma l’amore e la buona volontà furono la chiave di tutto. Presero poi le “lande”, le teglie da forno dell’epoca, srotolarono sopra la carta dei sacchi in cui veniva all’epoca confezionata la pasta e ci adagiarono il composto profumato. Diedero al dolce la forma di due bracci! Esso, infatti, rivisitato nella sua ricetta originale ma mai nel procedimento rappresentò fino a un trentennio fa il dolce delle ricorrenze più importanti. Ogni famiglia in occasione di battesimi, prime comunioni, cresime e matrimoni si adoperava per realizzare questa prelibatezza che, da allora, sulle tavole non è mai mancato. Col tempo è divenuto un dolce tipico pasquale.


Commenti

Post popolari in questo blog

Le paste Gioiosane un dolce tipico di Gioiosa Jonica: venite a gustarle in Calabria!

LIMBADI (VV). MOTTA FILOCASTRO: IL SANTUARIO DELLA SANTA CROCE.

La Riganella è un dolce del rituale pasquale, tipico delle comunità d'origine albanese