2 settembre 1847: Reggio Calabria si solleva contro il Re Borbone.



di Maria Lombardo



Quello che successo a Reggio Calabria fu il preludio dei moti rivoluzionari del 1848. Attenzione cari lettori nelle settimane scorse in questo blog vi ho parlato dei fatti di Santo Stefano d’Aspromonte che anticipò il moto reggino. Andiamo per gradi, Reggio veniva considerata da tempo città fedele alla Corona ma apparentemente possiamo ribadire. Operava un Comitato composto da Stefano Romeo, Girolamo Arcovito, Domenico Muratori, Antonino Plutino, Domenico Spanò Bolani, Giovanni Carrozza, Antonio Furnari e Cosimo Repaci. Anche a Reggio erano ancorate la censura, gli arresti, le esecuzioni, cresceva anche in tale parte del Regno una forte richiesta di riforme politiche e diritti costituzionali.Il dibattito politico si sviluppava tramite giornali e riviste di argomento scientifico e letterario come Il Calabrese di Cosenza e la Fata Morgana di Reggio, con le dovute precauzioni per la sempre attiva censura governativa. Fin dal giugno del’ 47 si iniziava a parlare di rivolte e si era arrivato a pensare ad una doppia rivolta di Reggio e Messina. I Calabresi però si mossero diversamente dai siculi si prepararono con dedizione raccoglievano fondi, divise, bandiere e coccarde da distribuire alla popolazione. Intanto l’Intendente Rocco Zerbi aveva avvisato le autorità borboniche ma non scoraggiò i rivoluzionari che continuavano ad agire.Intanto era giunto settembre e la rivolta si accese malgrado i messinesi si sollevarono il giorno prima e vennero repressi. Reggio invece venne conquistata dagli insorti, il cui nucleo principale era costituito dagli allievi della scuola di scherma di Pietro Mileti, nativo di Grimaldi e già soldato murattiano. Talmente ferrea fu la determinazione dei rivoltosi che convinsero la guardia urbana a non tentare di reprimere la rivolta e lo stesso Zerbi si rintanò nella sua casa dove assistette agli eventi cui era intricato anche il figlio. Nasce la Giunta Provvisoria di Governo composta da Domenico Muratori, Casimiro De Lieto, Federico Genoese, Antonio Cimino e Antonio Furnari, alla cui presidenza fu chiamato il sacerdote Paolo Pellicano. Un proclama spiegava poi i motivi della rivolta e si menzionava la mancata costituzione del 1820. Inoltre, si decideva l’occupazione delle fortezze di Scilla, Alta Fiumara e Torre Cavallo, e si dava l’incarico a Pietro Mileti di procedere alla liberazione di tutti i detenuti politici. I Borbone risposero  da Napoli con tremila uomini con due cariche di soldati, Il Ruggiero e Il Guiscardo, che sbarcarono a Pizzo al comando del generale Nunziante. Ed ecco che le cannonate ebbero la meglio su  Gallico e Pellaro e la Giunta scappò sull’Aspromonte per salvare Reggio.Nel distretto di Gerace, dove era stato nominato Sottointendente Antonio Bonafede, ricompensato per la cattura dei fratelli Attilio ed Emilio Bandiera, l’insurrezione aveva avuto ugualmente successo sotto il comando di Domenico Salvadori, di Michele Bello e di Rocco Verducci. Insomma i Martiri di Gerace repressi dal Nunziate poi Reggio fu assediata con un impressionante spiegamento di soldati. Violenze ed incarcerazioni furono parzialmente frenate dall’Arcivescovo di Reggio Calabria, Pietro di Benedetto. Inoltre dichiarati fuorilegge i capi della rivolta, tutti indistintamente! Romeo fu il primo a morire  mentre tentava di raggiungere, il 6 settembre, i boschi del catanzarese. La testa di Domenico Romeo rimase esposta a Reggio Calabria, quale esempio di monito, nel cortile delle prigioni per diversi giorni.
A Gerace una Commissione Militare decretava, il 1° ottobre 1847, la condanna a morte per Michele Bello, 24 anni, di Siderno, Pietro Mazzone, 28 anni, di Roccella, Gaetano Ruffo, 24 anni, di Bovalino, Domenico Salvadori, 24 anni, di Bianco, Rocco Verducci, 23 anni, di Caraffa del Bianco, Stefano Gemelli, 47 anni, di Bianco e di Giovanni Rossetti, 47 anni, di Reggio Calabria. I corpi di questi infelici poi gettati in una fossa comune detta “la lupa”, dove sarebbero stati recuperati solo durante il successivo anno delle rivoluzioni del 1848. A Reggio invece si parlò di carcere duro a Federico Genoese, Paolo Pellicano, Casimiro De Lieto, Stefano Romeo, Gian Andrea Romeo, Gaetano Borruto, Pietro Mileti, Raffaele Travia, Giovanni Carrozza, Domenico Miceli, Gaetano Idone e Antonio Amato.
Condotti a Napoli, furono incatenati due a due sulla piattaforma delle Barsena, mentre il Ministro Del Carretto si proponeva di avviare un ulteriore serie di arresti in Calabria nel tentativo di annientare definitivamente il movimento liberale e costituzionale, che aveva dimostrato di essere molto forte.


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