Calabria ancestrale: U monacu jancu dell'Aspromonte.
di Maria Lombardo
Questa Calabria mi sorprende sempre ha molto e dico molto da dire basta ascoltarla, basta essere sicuri che queste terra vuole essere scoperta. La storia che intendo raccontarvi potrebbe essere la sceneggiatura di un film che vede come location l'acroco aspromontano. In contrada Crocefisso, vicino a Bianco esisteva un vecchio cimitero, contiguo ai ruderi del Convento di S. Maria della Vittoria, è interamente scomparso, coperto dalla vegetazione circostante. La storia che voglio raccontare si svolge in questo Convento che risale al 1622 e già dal 1678 era rinomato per le due “Fiere della Croce” che si svolgevano a maggio. Indubbiamente era tappa sicura per chi viaggiava per la Regione. Sempre in questo luogo partivano ed arrivavano le lettere fra Padre Bonaventura e Maria Cristina di Savoia, regina delle Due Sicilie, la quale, prima di sposare Ferdinando II, aveva scelto di farsi monaca. Perché predilesse come suo confessore questo monaco calabrese rimane un mistero. Il complesso conventuale finì i suoi giorni quando subì le violenze dei soldati piemontesi che, arrivati qui per unificare l’Italia, lo incendiarono e fucilarono i religiosi. U monacu Jancu ossia Giuseppe Lucà chiamato così perchè di pelle candida fu inviato proprio in questo convento. Si innamorò perdutamente di una donna del luogo e le offriva un’accoglienza non proprio religiosa. Innamorato di Ciccilla Macrì, che lui nella sua parlata di Polistena chiamava Ciccira. I frati che vivevano con lui si scandalizzarono di questo comportamento e più volte lo invitarono a placarsi. Oltre a ciò, si narra che il monaco, era considerato una sorta di stregone. Proprio per questo motivo non fu cacciato dal suo posto il suo essere albino lo faceva tacciare di atti di magia. E rimase così unico ospite del convento. Vi sono molte storie legate a questa figura nel 1859 moriva a Bianco il prete Giulio Medici. Dopo la messa funebre la salma venne condotta al Convento sopra citato, il giorno della sepoltura trovarono la salma sfregiata e con le gambe rotte. Era stato il monaco Jancu a ridurre in tale stato il corpo esanime del sacerdote Medici per vendicarsi di un’offesa ricevuta da quegli, anni prima. Tutti si domandarono attoniti ed inorriditi che cosa fosse successo durante la notte. Era infatti successo questo: il monaco Jancu s’era recato un giorno a Bianco, dove per caso incontrò il sacerdote Giulio Medici, il quale, appena lo vide, lo chiamò a sé e, quando gli fu a tiro di bastone, alzò il suo, sul quale si appoggiava nei suoi movimenti, e gliene diede più che poté. Motivo di questa sfuriata del Medici era stato il fatto che alcuni giorni prima un suo colono aveva portato al monaco Jancu, anziché a lui che ne era il proprietario, le primizie di un frutteto quale disobbligo per averlo il monaco Jancu liberato dagli effetti malefici di una magia, ed il sacerdote Medici se n’era risentito. Il monaco Jancu ingoiò per il momento il rospo, cioè incassò le botte senza reagire, in attesa, però, dell’ora della vendetta. Anche i suoi eredi vennero colpiti dalla sventura ed ogni volta che si tentava di aggiustare casa moriva un componente. Il monaco Jancu avrà lasciato il suo regno terreno – il Convento del Crocefisso – per quello dell’aldilà qualche tempo dopo il febbraio del 1908. Con la sua scomparsa il convento fu chiuso al culto divino e trasformato in cimitero, un cimitero monumentale per i paesi di Caraffa, S. Agata e Casignana. Poiché dopo la morte e poco prima di essere seppellito si svegliò. Così un prete di Bianco, per non consentirgli di “resuscitare”, colpì Monacu Jancu con una grossa croce di legno.
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