UN TEMPO IL CONSUMISMO ERA IGNOTO ALLA NOSTRA CULTURA DI CALABRESI: UN ESEMPIO: IL SAPONE FATTO IN CASA.
di Maria Lombardo
IL SAPONE fatto in casa, nel secolo scorso,
era un rito che era celebrato da donne energiche, abituate alla fatica e amanti
della pulizia. Esso era confezionato almeno due volte l’anno. La prima
“partita” di sapone si faceva a fine estate. Dopo aver venduto l’olio prodotto
dalle piante degli uliveti di famiglia si guardava in fondo alle giare o ai
landuni si raccoglieva la murga la morchia, era quello l’ingrediente di base
del sapone. Competenza ed olio di gomito facevano il resto, bisognava saper
dosare bene ‘a putassa( potassina) che consentiva al sapone di solidificare. La
procedura era semplice si metteva sul fuoco il landone , grosso contenitore di
latta, di forma cilindrica, nel quale erano state versate le murghe al primo
bollore si aggiungeva la soda che avviava il processo di solidificazione della
morchia. Era necessario quindi, tenere a portata di mano tanta acqua che
buttata sopra a secchiate, regolava il tutto e calmava il bollore della
potassa. Il segreto era mescolare sempre e controllare il fuoco per regolare il
processo di saponificazione. Mescolando veniva fuori un prodotto molto
particolare: se era bianco latte era perfetto, se di colore più scuro, invece,
di media perfezione, ma il colore non era determinante relativamente allo scopo
per cui era usato. Spesso, comunque il colore non decisamente bianco, non
comprometteva la qualità del sapone. Un pezzo di sapone appena fatto era molto
gradito dalle signore che abitavano vicino alla casa della saponificatrice.
Spesso e volentieri metà di quel prodotto veniva regalato ai meno fortunati del
rione. Lasciandolo riposare per una notte intera serviva a quantificare la resa
di quel prodotto che richiedeva fatica, la tagliatura poi era anche un rito.
Bisognava tagliare “u sapuni i casa” in modo che potesse essere maneggiabile,
poi veniva lasciato a seccare per un mese in modo che divenisse leggero per
essere usato in cucina, per lavare la biancheria e per l’igiene personale.
Erano assenti tutte le allergie, che oggi tormentano anche la nostra gente.
Dopo che le nonne non ebbero più la forza di fare il sapone, il testimone passò
alle nuove generazioni, che, più tardi, però, preferirono rivolgersi al negozio
vicino casa che vendeva il prodotto confezionato dall’industria. Allora, le
giovani donne amavano anche sperimentare, infatti si impegnavano a cercare le
fragranze da usare: lavanda, camomilla, rosmarino, rosa e persino menta
piperita. Quando non riuscivano a trovare le essenze, le preparavano in casa
bollendo in acqua gli ingredienti trovati e versati nel contenitore della
morchia in ebollizione. Oggi, sembrano cose di tempi molto remoti, ma nel
nostro Mezzogiorno questo antico rito era praticato dalla notte dei tempi e la
metodologia era stata tramandata di madre in figlia. Oggi l’industria ci
propone saponette profumate con oli essenziali, con fiori secchi, aromi ecc.
Esse sono avvolte in accattivanti confezioni che inducono all’acquisto. Le
madri di famiglia oggi sono obbligate a barcamenarsi tra detersivi per piatti,
per bucato, per i delicati, per la lana, per i colorati, i bianchi, gli
additivi, gli ammorbidenti, gli sbiancanti ecc. . Magie del progresso che ci
sta presentando, però, un alto conto da pagare, tra inquinamento dell’ambiente
e malattie varie causate da ingredienti non sempre sicuri per la salute.
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