E' il Reggino Calabrese il produttore di vini antichi
di Maria Lombardo
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In vino veritas! E' questa la frase di romana memoria che maggiormente
conosciamo, ma è pur vero che la Calabria è quella terra che si affaccia sul
Mediterraneo che da secoli e secoli coltiva ed apprezza l'arte del vino. Bere
un bicchiere di vino con amici è senza dubbio l'attività aggregativa che i
nostri nonni amavano fare. Ed ogni buon calabrese ha questa forma innata di
saper produrre questo nettare. E' proprio così il vino del Reggino calabrese è
proprio nettare! Non vi è stampa antica o ritrovamento romano che ci spieghi il
ruolo che il vino ha ricoperto nella nostra cultura.Un ruolo importante lo ha
rivestito in occasione dei simposi, dove il piacere del bere era coniugato alla
cultura, un connubio particolarmente interessante: il simposiarca sceglieva una
tematica da trattare e ognuno dei conviviali esponeva il suo punto di vista. Le
mie letture mi portano mi portano ad Esiodo nelle Opere e i giorni VIII secolo
a. C. già il noto autore greco scriveva di quanto la vite e poi il commercio di
Calabria fosse diffusa in tutta Europa. Dipinge con i suoi versi i pithoi vasi
di terracotta in cui si conservava il nettare, la pigiatura, la fermentazione
ed infine i vini resinati interrati con pece. Il nettare degli dei veniva filtrato
e riposto in anfore in attesa di essere consumato Il clima secco e influenzato
dall’aria marittima per la vicinanza col Mar Mediterraneo, creò le condizioni
favorevoli per realizzare degli ottimi vini dalle forti gradazioni alcoliche
che avevano ottenuto l’apice della sua fama tra il XVIII ed il XIX d.C., dopo
un breve periodo di decadenza, quest’area vinicola risorse negli anni Novanta
del secolo scorso, grazie a viticoltori consci dell’opulento potenziale a
disposizione. Ecco che utilizzano la tecnica portata dagli etruschi la vite
maritata ossia la vite che si avvinghia all'albero. Una leggenda Calcidese
prima della fondazione di Rhegion: profetizzava che un maschio (un fico) si
univa ad una femmina (una vite) e lì era il luogo della fondazione. Altre viti
e relative tipologie di coltivazione sono introdotte prima dai Greci e poi dai
Romani. Plinio il Vecchio nella sua Historia Naturalis sostiene che ai suoi
tempi esistevano 195 varietà di vini, e solo la metà erano prodotti in Italia.
Un lungo elenco può essere stilato circa i vini più prestigiosi, che non cito
tutti, per motivi di opportunità, e consumati del passato in cui sono inclusi
tre vini del territorio italico che possiamo tranquillamente etichettare come
“principi”: Sorrentino, Priverno ed il Reggino. Quest’ultimo è stato osannato
niente poco di meno che dallo storico Ateneo di Naucrati nella sua opera,
collocata nel II secolo d.C., “I Sofisti a banchetto”. Il Reggino è un vino
dolce e liquoroso altre caratteristiche sono riscontrabili nel carattere e
nella sua longevità avendo una grande capacità di conservazione (quindici anni)
garantita dalla pece aspromontana con cui veniva cosparso l’interno delle
anfore vinarie. Reggio riuscì a distinguersi anche per delle anfore le KEAY LII
prodotte nelle fornaci locali. L’attestazione archeologica diventa così un
valido aiuto nel dimostrare il carattere cosmopolita del vino reggino, partendo
dal presupposto che i frammenti di KEAY LII sono emersi dalle campagne di scavo
di vari siti occidentali e orientali, aventi una significativa distanza
geografica, l’uno dall’altro: da Lazzaro al Nord Africa, dalla Spagna alle
isole britanniche. Persino gli ebrei degustavano i nostri vini. Naturalmente,
il vino reggino che era prodotto e venduto anche dai mercanti cristiani ha
dato, dall’antichità al post-medioevo, vanto e lustro alla città in riva allo
Stretto che cambia progressivamente nome (“Ρήγιον" in età greca; in
neogreco "Ρήγιο"; "Rhegium" in epoca romana; coi saraceni
diventa "Rivah"; ricordata anche in francese medievale come
"Risa";"Ríjoles", in castigliano (spagnolo) medievale e
rinascimentale come ricordano la "Primera Crónica General" (detta
anche "Estoria de España") - testo redatto su iniziativa del re di
Castiglia e León Alfonso X il Saggio (r.1252-1284) -, ma anche in "Los
treinta libros de la monarquía eclesiástica" opera del XVI secolo di Juan
de Pineda; mentre in spagnolo moderno è semplice "Regio de
Calabria"). La sua fama inizia a cadere solo dopo la caduta dei Borbone e
si frantuma con l'Unità. La vendita del vino prodotto a Reggio continua a
perdurare anche in età spagnola, quando i rapporti economici Spagna-Sud Italia
si intensificarono. Con la speranza che il vino reggino possa ritornare e,
perché no, superare il livello dei suoi antichi fasti. Brindiamo!
Abbiamo tante viti e uve in calabria sconosciute. La calabria era anche chiamata enotria terra del vino.
RispondiEliminaAnche il nero davola viene chiamato calabrese.
Se solo i calabresi sfruttassero le loro uve autoctone. Come il palizzi, cerasuolo, il greco di gerace, favagreca, arghilla, limbadi, mantonico, pollino, lento, malvasia, zibbibo, savuto e tante altre eccc