Il Marchese Nunziante e la bonifica di Rosarno e San Ferdinando (R.C)
di Maria Lombardo
Rosarno, oggi uno dei centri più popolosi della Piana di
Gioia Tauro, non è sempre stata terra vivibile e salutare fino a poco più di due secoli fa vedeva la
popolazione fuggire nel tentativo di sottrarsi alla malaria. Addirittura
decimata da questa “frevi i friddu” la popolazione sino all'800 scese
drasticamente. Tuttavia il centro vide
la situazione precipitare all'indomani del sisma del 1783. Tutta la pianura che
circonda la cittadina era, infatti, una distesa di malsani acquitrini. Infatti,
nelle statistiche pubblicate nel 1786 dal Protomedico del Regno, Vivenzio
riporta che ben 20.000 persone morirono, nell'arco di poco tempo, per malaria
in tutta la provincia :”le donne erano isterilite e la propagazione della vita
umana era rara e corta”(1). La popolazione di questa area di Calabria Ultra
diminuiva drasticamente di anno in anno decimata da questi calanchi
acquitrinosi che sorsero a seguito del Tremuoto
scriveva così il Vivenzio. Vennero usati
per arginare il problema la corteccia peruviana di cui si fece:” spaccio di
molte libre” aggiunge il Vivenzio. Vani
i tentativi del Comune di Rosarno di salvare la situazione nemmeno il concedere
terre a piccoli privati sanò l'area, dove ben presto consumati i fondi vennero
abbandonati. E vani anche quelli dello Stato di inviare chinino e seguire cure
empiriche tipo semi di lino, purghe e succhi di limone a stomaco
vuoto.L'archivio Nunziante a Napoli mi dà un quadro completo della sagacità del
generale Borbonico. Ma soprattutto di tutte le opere che il Marchese intraprese
nella zona. Importante il documento 11 del faldone che cita:” il Nunziante si
prese l'impegno nel 1835 di inalveare il torrente Mammella nell'agro
Nicoterese”. A Napoli intanto le menti
più illuminate che premevano per un cambiamento della Calabria decisero che la
bonifica del Rosarnese avesse la priorità indiscussa su tutto e che dalle fonti
reperite in loco:” pur riconoscendola necessaria ed urgente, dichiarò che per
le grandi difficoltà finanziarie in cui si trovava, non poteva assumersi
direttamente l'onere dell'impresa”. Conoscendo le tristi condizioni di questo
lembo di terra attanagliata da problemi legati alle troppe acque, si fece viva
la richiesta del Nunziante già noto imprenditore quanto sagace nella vita da
stratega. Secondo gli studi di Afan De
Rivera nel Regno di Napoli tre mila miglia di terre andavano bonificate con
urgenza e la maggior parte erano nelle Calabrie circa 4. 448 ettari erano solo
nel Reggino. Il risultato di secoli di incuria!.Tutto infatti ebbe inizio nel
1817 quando il Generale Borbonico era
stato insignito dal Re, come commissario civile per la Calabria e la
Basilicata, aveva ispezionato la zona e presentato un rapporto a Napoli
proponendone la bonifica. In mancanza di risorse pubbliche e di un’offerta
privata in cambio di un compenso in terreni, si assunse direttamente
l’incarico. Vito infatti occupandosi di ogni cosa ottenne il permesso di
vagliare il buon esito dell'impresa con ogni mezzo. Ottenuto il consenso regio, con atto del
Notaio Paolo Dattola da Reggio Calabria e vidimato dal perito Paolo Elia,
redatto l'11 settembre 1818, egli si impegnava a bonificare una vasta zona
litoranea dell'agro di Rosarno situata alla sinistra del fiume Mesima(2).Si
trattava di lavori imponenti per quell'epoca ed il marchese Nunziante doveva
eseguirli a proprie spese e nel termine di cinque anni; se ciò non fosse
avvenuto, il contratto sarebbe stato considerato nullo e le terre sarebbero
ritornate al comune insieme ad un risarcimento per le rendite perdute. Il
capitolato d'appalto prevedeva: l'arginatura del Mesima per la lunghezza di un
chilometro e trecento metri per impedire che le acque allagassero la pianura
circostante; il prosciugamento di laghi e paludi mediante l'apertura di canali
e riempimenti di terra trasportata da due collinette vicine(3). Fiutati i
grandi vantaggi che ne avrebbe ottenuto il Marchese impugnando la carta
demaniale inizia la sua opera di bonifica,
pur sapendo che avrebbe potuto fallire e
perdere tutto. Ultimata invece la bonifica, il marchese Nunziante come compenso
avrebbe ottenuto tre quarti delle terre demaniali prosciugate, mentre un quarto
sarebbe rimasto al comune. Difficoltà su difficoltà sembravano rallentare il
lavoro del Marchese, il quale mai si fermò. I lavori furono ultimati
nell’estate del 1822, in anticipo sul termine contrattuale e riguardarono
complessivamente 1607 tomolate di terra, pari a oltre 470 ettari. Al Comune
andarono le terre più pregiate, vicine all’abitato e più facilmente
coltivabili, e a Nunziante il resto, oltre 1300 tomolate che si estendevano
nella piana verso il mare fino al confine del Comune di Gioia.
Serviva però reperire
una specializzata manodopera per
completare l'impresa che però non fu locale (pochi i rosarnesi), per
ovviare questa situazione ovviò con bandi pubblici a condizioni
vantagiosissime(4).Questo gli permise di reclutare un discreto numero di
"vanghieri" nel cosentino, provenienti soprattutto dai comuni di
Mangone, Malito ed Orsomarso che furono alloggiati in baracche ed in un'antica
torre aragonese che sorgeva nelle vicinanze del fiume Mesima. A questi si
unirono i primi coloni provenienti dai Casali di Tropea e dai villaggi del
monte Poro, nel momento in cui si crearono le premesse per un ulteriore
sviluppo sociale ed economico del territorio; così le terre furono rese adatte
alla coltura(5).Bisognava, a questo punto, costruire comode abitazioni ed il
Nunziante per far ciò scelse una zona salubre sulla riva del mare, venne
finanziato un piano per le piccole case e una chiesa. Il neonato San Ferdinando
zona residenziale del Marchese era sorto anch’esso secondo un preciso disegno
del marchese: una via principale delimitata ai due estremi dal palazzo
padronale e dalla chiesa, e ai suoi lati le fila di casette destinate agli
abitanti, cui si erano aggiunte presto delle più misere ‘pagliare’. Come già,
in parte, era stato fatto a Vulcano, un sacerdote, un medico e un piccolo
numero di artigiani completarono inizialmente i servizi offerti agli abitanti
del villaggio.
Per la loro
costruzione occorreva manodopera specializzata che, sul posto, era impossibile
reclutare per cui egli chiese ed ottenne dal governo borbonico di potersi
servire dell'opera dei cosidetti "servi di pena", condannati per
delitti comuni o politici, che avessero dimostrato buona condotta e ai quali
restassero da espiare meno di quattro anni. Egli si impegnava a corrispondere
loro un salario, un alloggio e garantiva al governo di pagare una penale per
ogni evaso. Ed inoltre interi nuclei familiari si trovarono in queste terre
allettati dalle migliori condizioni di vita.
Nel corso del 1822 e con notevole anticipo rispetto ai tempi previsti
dal contratto di appalto, le opere di bonifica idraulica furono completate ed
il 4 luglio dello stesso anno potè eseguirsi la suddivisione delle terre
bonificate. Dalle parole del Gasparrini
apprendo che il noto Marchese di San Ferdinando non solo bonificò la terra
dagli acquitrini malsani ma si diede a nuove colture(6).Avvalendosi della consulenza
del botanico Guglielmo Gasparrini, introdusse nuove colture come quelle del
"sammaco" da cui si ricava il tannino, della "robbia" le
cui radici sono utilizzate per le loro qualità coloranti ed erano un tempo
assai ricercate. Subito dopo iniziarono i lavori per dissodare e mettere a
coltura la nuova proprietà, di cui si sarebbe occupato fino al 1834 Guglielmo
Gasparrini, un botanico di grande prestigio, già direttore dell’orto botanico
di Palermo e poi professore all’Università di Napoli. E grazie a questa
consulenza San Ferdinando crebbe minuziosamente. Su vasta scala vennero coltivati i gelsi, con
il conseguente allevamento dei bachi da seta ed impiantati vigneti, uliveti ed
agrumeti. Una pianta, inoltre, che ebbe notevole successo fu la robinia, dal
legno durissimo, molto usato in ebanisteria. Il generale aveva familiarità con
gli agricoltori locali, che erano esperti nella coltivazione della canapa,
cereali, lino e l'allevamento dei bachi da seta e propose lo sviluppo di un
paese agricolo, al fine di impiegare le buone pratiche nel settore agricolo. In
virtù di queste caratteristiche innovative di cui il Nunziante si fece
portavoce la popolazione che prima periva nel 1823 contava appena 105 abitanti
nel 1831:” con decreto reale il villaggio prese il nome ufficiale di "San
Ferdinando", ne contava circa 1.000”(7).Mentre la città cresceva in
dimensioni e cittadini prosperavano, la città che era localmente noto come
"Casette", per via delle tipiche abitazioni piccole e basse, venne
ribattezzata San Ferdinando in onore del Re, che ne aveva sponsorizzato lo
sviluppo del territorio. Con decreto reale nº 597 del 28 ottobre 1831 la
borgata di San Ferdinando venne eretta a villaggio del Comune di Rosarno. Tutto
però dopo la bonifica apparteneva al Marchese persino le case date agli
abitanti tutto ciò specifica il Civile e Montroni dava un rapporto di
“padre-padrone” nel senso buono del termine(8). E se da un lato rappresentò il
culmine delle sue attività innovative sul piano economico e sociale, dall’altro
gli conferì nei confronti del territorio e della comunità nascente un potere
che, più di una volta e seppure impropriamente, sarebbe stato definito feudale.
L'attività del Nunziante fu comunque sempre in ascesa in queste zone non a caso
Vito scelse per l'edificazione del villaggio delle”casette”( ancora oggi
definito così) i materiali più innovativi per il periodo e per i tempi. Per la
costruzione di abitazione fece arrivare grossi quantitativi di pietra lavica e
di tufo da Lipari, Stromboli e Vulcano avvalendosi di padroni di barche eoliani
e molti marinai delle isole decisero di rimanere a San Ferdinando vivendo di
agricoltura e di pesca (9). Non a caso il legame con la Calabria ed i Nunziante
divenne proprio San Ferdinando, Nunziante fu a lungo presente sul campo,
partecipò personalmente alla progettazione e alla realizzazione dei lavori, vi
coinvolse esperti di fama, come Gasparrini o il geologo Leopoldo Pilla, spinto
anche da una evidente curiosità culturale.La mirabile attività del marchese
Vito Nunziante fu interrotta dalla morte il 22 settembre 1836, ma la sua opera
a San Ferdinando fu continuata dai figli Ferdinando, Alessandro, Salvatore,
Francesco, Antonio, Leopoldo e dal nipote Vito (1836-1905) al quale va il
merito di aver portato a compimento la bonifica agraria e di aver notevolmente
ingrandito San Ferdinando(10).
Maria Lombardo
(1). Medici
G., Principi P. (1939). Le Bonifiche di
San Eufemia e di Rosarno. Ed. Nuova Zanichelli, Bologna.
(2). Nunziante
F. La Bonifica di Rosarno ed il Villaggio
di San Ferdinando. Ed. Vallecchi, Firenze
(3). Verzà
Borgese U. (1985). La Bonifica del
Marchese Vito Nunziante a Rosarno e San Ferdinando. Ed. Centro Studi
Medmei, Rosarno (Reggio Calabria)
(4). B. Polimeni, San Ferdinando e i Nunziante.: cronistoria, Soveria
Mannelli 1988; G. Civile
(5). Ivi
…....opera citata pag 45;Lacquaniti G. (1980). Storia di Rosarno da Medma ai Giorni Nostri. Ed. Barbaro, Oppido
Mamertina (Reggio Calabria)
(6). G.
Gasparrini, Discorso intorno
l’origine del villaggio di San Ferdinando e sopra le principali cose che quivi
si coltivano s.d. s.l
(7). Palermo F. (Firenze 1839). Vita
e fatti di Vito Nunziante. Dai Tipi della Galileiana
(8). G.Civile G.Montroni .L'azienda agraria di
Nunziante di San Ferdinando nella seconda metà
del XIX
secolo in Società e storia, II (1979),pp
141-156
(9). B. Polimeni, Rapporti sociali ed economici
tra Sanferdinandesi ed Eoliani, in “Messina e Calabria “, atti del I convegno
calabro-siculo del novembre 1988, pp. 627 e ss.G. Civile - G. Montroni,
L’archivio privato del N. di San Ferdinando e la storia dell’economia del
Mezzogiorno in età contemporanea, 604;
10)G.
Montroni, Gli uomini del re. La nobiltà napoletana nell’800, Catanzaro 1996,
capp. I-III, pp. 3-93. R. Liberatore, Elogio funebre del marchese V. N., Napoli
1836
Commenti
Posta un commento
Dimmi cosa ne pensi!