La segheria certosina di Serra San Bruno.
di Maria Lombardo
Tutte le Certose erano delle vere e proprie
piccole industrie non ne fece eccezione quella di Serra. Esse a livello
lavorativo venivano gestite dai conversi, delle abili figure laiche che
svolgevano i rapporti esterni visto e considerato che i certosini rifiutavano
qualsiasi contatto con la realtà esterna. Erano le cosi dette grange ed erano
gestite da un frater grangerius. Delle industrie del tipo forni, segherie e via
dicendo che costituivano l'economia delle certose e di queste località.
Effettivamente si puntava ad ampliare il concetto delle grange per poter
fungere da attività mono aziendale al fine di garantire così autonomia ai
monaci. Dalla documentazione fornitami dal Caridi apprendo che la lavorazione
del legname era un' affare molto antico:” E' un'area interna, la cui produzione
principale è rappresentata dal legname e dall' allevamento; la terra non
coltivata, presenta rigogliose foreste di faggi, ontari, castagni e prati
preclusi agli usi civici”(1) e siamo solo nel 1089. Ovviamente queste 2
segherie sfruttavano la forza dell'acqua dell'Ancinale e non poteva essere
diversamente e sfruttando la macchia mediterranea che cresceva rigogliosa nelle
Serre facevano giungere a Bivona il materiale da cui partiva per tutta la
Calabria. Una notizia importante prevede anche lo jus piscandi nel fiume
Ancinale per i Certosini, dove sulle rive possedevano 3 mulini una gualchiera,2
segherie industrie importanti per l'economia di Serra(2). Oltre alle notizie del
Caridi la descrizione precisa spetta però al ginevrino Horace De Rilliet che
giunse nelle Serre Calabresi seguendo Ferdinando II nel 1852. Tuttavia dalle
notizie del Caridi a quelle del De Rilliet c'è un lasso di tempo di molti
secoli e così una segheria venne chiusa col tempo e poi riaperta. Il ginevrino
racconta di una segheria che sorgeva sulla riva del ruscello, una casuccia
grossolana e la forza dell'acqua che fa muovere la sega. Ma la storia della
segheria certosina visse il suo momento più importante dopo il terribile sisma
del 1783 che devastò tutta la Calabria Ultra, il Grimaldi infatti citò queste
segherie per aver prodotto il legno necessario a ricostruire tutti i paesi.
Domenico Grimaldi così scrive:”le montagne fanno da corona ad una parte della
pianura, son vestite tutte di abeti dalle quali si ricava ogni anno una
considerevole quantità di tavole per mezzo di tre seghe mosse dall'acqua, (..)
necessarie per la riedificazione della provincia”. Indubbiamente le notizie che
lo storico calabrese mi elargisce su Spadola e Serra sono relative al catasto
onciario di cui il Caridi è perfetto conoscitore egli dice:”che accanto a 6
mulini ed a un battindiere vi erano 2 segherie ad acqua ubicate a Santa Maria
del Bosco ed Archiforo”. Proficue le notizie del Caridi ma da storica attenta
anche l'iconografia è degna di studio di Ilario Tranquillo dove illustra una
segheria ad Archiforo che cadde proprio nel 1783. Esiste per intenderci una
breve descrizione elargita dall'archivista certosino Caminada che dice:”Dentro
i boschi della Serra(...) vi era una sega di Chindili, detta pure di Cici Pupo.
Rovinata gravemente ma conserva i 6 rulli (...) è testimonianza tangibile di
una funzione antica. Oggettivamente si può dichiarare che quest'opificio fosse
l'antica Serra Tavularum dove nell'archivio della certosa si conservano
fotografie della segheria con lo sfondo delle Serre. Queste segherie pur avendo
smesso di produrre da tempo rimasero alla certosa fino al 1962 quello che oggi
rimane dopo secoli di lavoro oggi giace tra sterpaglie ed incuria tendendo a
dimenticare un passato lavorativo di tutto punto! 1) G. Caridi Popolazione e
territorio della Calabria moderna. Reggio Calabria, 1994 pp 49-64. 2) Caridi
G...... opera citata pag 61.
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