La vera storia di Ferdinando Mittiga. L'unico brigante dell'Aspromonte.
di Maria Lombardo
Ormai
non c'è più limite all'indecenza di dipingere tutti i briganti come salvatori
della Patria! E' vero molti di loro lo furono hanno lottato fino alla fine per
difendere il Re Borbone e riportarlo alla “restaurazione”. Ma dipingere alcuni
come onesti e buoni personaggi ammantati di vittimismo per le scelte fatte, è
storicamente sbagliato! Tanto per la cronaca storica e probabilmente le menti
più “fervide” del meridionalismo storceranno il naso, in Calabria il
brigantaggio faticò ad attecchire. Tanto meno si sviluppò nel Reggino dove si è
enumerato un solo brigante: Ferdinando Mittiga. E certo o meglio lo spero che
questo sia chiaro ai meridionalisti. La reazione dei calabresi fu durissima
poiché a loro interessava solo la spartizione delle terre, un Re poi valeva
altro! Torniamo al Mittiga la mia lettura di libri meridionalisti molto recenti
lo ha descritto come una sorta di Robin Hood, rubare ai ricchi per dare ai
poveri. Poi, usando le competenze conferitemi dagli studi e non da una lettura
su internet indago nei posti deputati alla ricerca. In principio questi libri
omettono vistosamente di dire che Don Mittiga si era schierato contro i Borbone
a favore di poveri ed oppressi, cambiato il Re, anche lui voltò pagina e creò
una banda di 250 uomini contro il Savoia. Andiamo per gradi e capiamo chi era
veramente questo strano personaggio, nella storia delle Due Sicilie Ferdinando
si incontra per la prima volta nel 1848 sulla costa jonica di Bovalino-Ardore.
Scrive infatti il Regio giudice Gualtieri al Procuratore Generale del Re in
data 10 settembre 1848: «Gli insorti, prima di partire da Ardore,obbligarono il
custode ad aprire le prigioni e liberarono al grido « Viva l’Italia; viva Pio IX
i carcerati Ferdinando Mittiga e Domenico Carbone di Platì, condannati per
ferite con coltello». La storia parla chiaro e bisogna capirla bene attraverso
competenze adeguate. Operava sulle alture Aspromontane tra Platì e Gerace una
volta in libertà, divenne persino la guida del Borjès. E' chiaro che il
Generale Clary, capo del comitato borbonico di Marsiglia, fa partire dalla
Calabria l’impresa insurrezionale per una restaurazione legittimistica.La
fierezza dei calabresi giocò un ruolo determinante se si suggerì al generale
spagnolo José Borjés di rinnovare l’impresa del cardinale Ruffo di sessant’anni
prima, sfruttando la presenza nel reggino del bandito Ferdinando Mittiga di
Platì, soprannominato «Caci». In Calabria dalla notte dei tempi le persone
vengono distinte con i sopranomi cosa che si verificò anche col brigante. Il
soprannome «Caci» attribuito al Mittiga è di chiara origine greca (katia =
cattiva fama, cattiveria) e non è il solo grecismo presente nell’abitato di
Platì.Innanzi tutto è il nome stesso del paese che a nostro avviso deriva dal
greco «Platùs» (luogo ampio largo ed in greco ionico luogo dal sapore
maleodorante, salato).In effetti la valle’ di Plati, si legge nelle Memorie di
Don Vincenzo Tedesco del 1856, «la quale rende ora malagevole la comunicazione
con dietro marina, si formò posteriormente per effetto del terremoto che il
1638, mentre prima la montagna scendeva con piano inclinato in modo che in tre
ore si andava da Bovalino a S. Cristina». Tra l’attuale abitato di Nati e
quello di Cirella esisteva prima del terremoto un ampio lago (località Lauro)
di acqua salata, con intorno zone paludose. A questo punto è necessario
riprendere i fili della storia! Ecco che quando lo spagnolo sbarcò a Marinella
di Bruzzano fu portato al suo cospetto. I due assaltano Platì in cerca di armi
e Mittiga uccide per vendetta personale Ciminà ed Oliva. Il Mittiga definito
«delinquente per private inimicizie» si atteggiava come il bandito Crocco che
operava nel territorio vicino no di Melfi, a difensore del legittimo sovrano,
ed era favorito ed eccitato dai reazionari del suo paese e di quelli vicini. La
sua banda crebbe a dismisura ed era composta da ex detenuti, ex coloni mandati
lì dalle prigioni di Reggio sature per bonificare l'area.Si rifugiano in conventi
del luogo ma il 30 settembre il Mittiga cade in un'imboscata tradito da uno dei
suoi alla guardia Nazionale. Nulla da stupirsi tra loro accadevano spesso
questi omicidi o imboscate per incassare i denari italiani. Siamo andati a
trovare tra i registri degli atti di morte di Natile ed al numero 12 del foglio
N. 6 l’ufficiale d’anagrafe del tempo Francesco Strangio, annotava che i
testimoni Antonio e Francesco Callipari dichiaravano che «il Trenta del mese di
settembre alle ore undici era morto Ferdinando Mittiga, di anni trentatrè da
Platì, di Francesco e di Dorotea Brui».Ad avallare il mio racconto ci sono
consultabili per tutti niente di meno che le Memorie di Borjès, che, nelle sue
Memorie, narra dapprima della diffidenza con cui era stato accolto dal brigante
platiese, e, poi, di come era stato abbandonato in mezzo all’Aspromonte, vicino
a Giffone, dai “valorosi” combattenti di Mittiga. Il Generale ancora al momento
della cattura dice ai piemontesi nella persona del Tenente Staderini: «Iba a
decir al Rey Francisco II que no hai mas que malvados y miserables para
defenderlo» (Stavo andando dal re Francesco II a dirgli che non ci sono che
malvagi e miserabili a difenderlo). Mittiga fu così il solo brigante del
Reggino infatti dalla legge Pica venne escluso questo lembo di terra di
Calabria. Le guardie portarono la testa mozza del Mittiga conficcata ad un palo
in giro per il paese di Platì e poco dopo il Generale De Gori diede l’immediato
ordine di sepoltura, arrabbiandosi non poco per la sceneggiata. Qualche anno
più tardi sulle Rocce dell’Agonia un massaro di Platì trovò un forziere e a
sera si preoccupa di consegnarlo all’arciprete del tempo, Don Oliva. Era
ripieno di marenghi d’oro di cui, nella concitazione della fuga, il generale
spagnolo Borjés fu costretto a disfarsene per alleggerirsi e scampare agli
ufficiali piemontesi. Consentirà l’acquisto all’asta di sterminate proprietà e
darà un’impronta latifondista all’Aspromonte Orientale. C’è chi ricorda
l’episodio e con sarcasmo - ridacchia esclamando:«Sordi i stola, comu veni
vola»!I tempi dell’immaginario romantico e brigantesco appaiono ormai scalzati
dai recenti eventi: ai vecchi briganti sono subentrati i nuovi briganti della
società borghese.
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