Mastru Bruno Pelaggi e la sua “Littira o Patreternu.







di Maria Lombardo


Mastranza di la Serra Bumbajiuoli di Mungiana Rugnusi di li Prunari Suca ventu d’Arena Hiannaccari di Dasà Mastazzolari di Surianu Cordari di Polia Mangiagargi di lu Pizzu Jestimaturi di Parmi Frischiottari di Siminara Latri di Pellegrina Janchi e russi di Bagnara Jetta càntari di Scilla Nigozianti di Villa Pistazucchi di Catona Puttani di Riggiu. Sharo Gambino. Non conoscevo la figura di Mastru Brunu come era conosciuto nella zona di Serra San Bruno dove visse ed operò all'indomani dell'Unità d' Italia. Ma deve essere considerato come uno dei poeti naif calabresi! Rappresenta però assieme all'abate Martino anch'esso calabrese la massima espressione di poesia e prosa di protesta contro il nuovo Stato Italiano e non solo. Iniziò a “scrivere”su consiglio del Ministro Chimirri suo mecenate che da sconosciuto avvocato di provincia si trovò Ministro nelle fila della Destra.Durante il ‘900 postbellico, molti eminenti rappresentanti della letteratura italiana si sono interessati della figura e della poetica dello scalpellino di Serra San Bruno. Tra i tanti, Umberto Bosco che scrive: “Nei primi decenni del secolo, quando ero a Catanzaro, la figura di Mastro Bruno aveva i contorni incerti del mito. Se ne vantava l’arguzia che era addotta a esempio della causticità comunemente attribuita ai compaesani del mastro, gli abitanti di Serra San Bruno”. Una vita molto particolare quella di Bruno dopo un periodo di praticantato nella sua Serra San Bruno dove nacque nel '37. Effettivamente quando nacque Mastru Brunu la zona delle Serre pullulava di artigiani che erano il vanto delle Due Sicilie, e Brunu crebbe con la passione che la sua posizione gli avrebbe concesso. Ben presto anche Bruno sarebbe andato in bottega ad imparare un mestiere, quello dello scalpellino, perché allora la “mastranza” era consapevole del suo ruolo nella società borbonica. I mestieri in Serra erano svariati, tutti legati comunque alla lavorazione del ferro e subuto dopo della carta,ma le eccellenze riportano sempre alle costruzioni e all’arte ecclesiastica. Lavorazione del ferro (complici le ferriere) e dunque del carbone da legna ancora oggi prodotto nelle Serre; e delle pietre dure, che le pendici di Monte Pecoraro, di origine granitica, offrono in superficie con facilità di utilizzo. E' il Gambino che descrive la vita di Serra e la posizione di Brunu:”La scala sociale era ripartita anche in base ai mestieri. All’apice pittori, scultori, scalpellini, ebanisti; in fondo, i carbonai, ultimi per il loro lavoro umile e poco redditizio. Mastro Bruno era scalpellino, non un’eccellenza ma pur sempre scalpellino. Partecipò ai lavori di ricostruzione della Certosa avvenuta dopo il terremoto del 1783”. Ma mentre da un lato il Pelaggi contava si fare una vita dedita al lavoro di bottega, dovette partire nella fanteria del Borbone e vi rimase fino alla caduta del Regno. Non vi sono testimonianze di attribuizioni di opere granitiche ma invece ebbe notorietà dopo la morte con la scoperta di numerose poesie scritte in Serrese. La sua storia ha attraversato tre periodi ben distinti il periodo Borbonico, l'Unità D'Italia ed i primi anni del 900. Ed è proprio così spesso Mastru Brunu nelle sue poesie racconta il momento di fervore artistico di Serra San Bruno prima dell'avvento Savoiardo:”Vuoi per la presenza della Certosa di Bruno di Colonia, centro di potere religioso ed economico, vuoi per le vicine Reali Ferriere di Mongiana”. Parole queste cronicizzate da Sharo Gambino nella sua opera Sull' Ancinale. Mastru Brunu però dalla sua bottega di rione Zaccanu osserva sotto i colpi dei suoi arnesi la situazione che muta come un battibaleno con l'Unità d'Italia. L’Unità d’Italia e il governo dei Savoia avrebbero addirittura peggiorato la situazione, avviando il progressivo e inesorabile impoverimento socio-economico che si sarebbe infine cristallizzato nella mai risolta Questione Meridionale. Questa situazione infatti viene descritta nelle righe della Littira o Patreternu: Non bidi, o Patreternu, lu mundu mu sdarrupi, ch'è abitatu di lupi e piscicani?E qui, nell’uso delle parole, questa volta sì che mastro Bruno era un’eccellenza. Brunu infatti usava con dimestichezza l'arte dello sfottò “cacciari li stuori” era il suo secondo lavoro( comporre sonetti, ballate,canti che schernivano qualcuno di cui si era subito torto). Lettera accorata ne quale si nota tutta la caduta di una zona che in passato fu importante per le sue mastranze, la drammaticità del periodo si nota nella strofa in cui il Pelaggi chiedi di farci tutti uguali: fa uguali lu distinu, ca 'guali ndi criasti, e 'guali hai undi guasti comu è giustu. Mastru Bruno fa una descrizione chiara del periodo che né seguì l'Unità anche usando parole forti chiedendo a Dio la grazia di liberarci da questi uomini: hai mu cacci sintienzi mu trema cielu e terra, hai mu li fai cunzerva, a st'assassini!. E' attraverso la tradizione orale sicuramente che vennero trasmessi gli stuorni del Pelaggi, effettivamente dagli studi del Gambino che così cronicizza ci fanno vedere un Bruno analfabeta:” Il poeta era iscritto al registro comunale degli analfabeti, e come vuole la tradizione e il racconto popolare, dettava i componimenti alla figlia Maria Stella. I suoi versi furono pubblicati per la prima volta in un libro curato da Angelo Pelaia, nipote del poeta, pubblicato nel 1965”. Sostengono il Gambino ed il Pelaia sui Quaderni Calabresi tra gli anni '60 ed '80' che probabilmente il Pelaggi imparò almeno a scrivere la sua firma come ricompensa di una dura giornata di lavoro. I due studiosi Serresi però nei Quaderni Calabresi annotano:”Nonostante la sua condizione sociale, però, nelle sue poesie vi sono dei rimandi, delle citazioni, che lasciano pensare che possedesse una certa cultura, forse anche solo popolare e derivata dalla tradizione orale”.Della quasi totalità dell’opera del “Poeta scalpellino” fu consegnato alla penna del giovane Sharo Gambino che le ha riportate a noi. Tuttavia una voce così originale ed autoritaria che descrisse la fame e la povertà dopo l'Unità non è possibile non raccontarla anche in questo breve articolo. Bruno Pelaggi rappresenta dunque una delle massime espressioni della poesia di protesta calabrese, e i suoi versi, per una serie di motivi non imputabili alla lungimiranza del poeta, ma ad una serie contingenze che hanno portato la Calabria ad avvitarsi su se stessa a distanza di due secoli, sono ancora paradossalmente e drammaticamente attuali. L’attendibilità della fonte, e il ricordo diretto della figlia, non possono che essere considerate prove dell’inconfutabile appartenenza dei versi al poeta serrese. Sue queste parole però:” “Sempi, ‘ndi cugghjiunijia a tutti sti paisi,ca sgravanu li spisi e fannu strati, e ‘mbeci cchjiù gravati li spisi e strati nenti, e nui povar’aggenti li cridimu” (“Sempre siamo presi in giro, nei nostri paesi, dicendoci che verranno abbassate le tasse, e che faranno le strade, invece, tasse più “salate” e nessuna strada, e noi povera gente, gli crediamo”).Gli occhi affilati di Bruno Pelaggi si chiusero per l’ultima volta il 6 gennaio 1912 e contenevano ancora tutto il peso e il pianto di due secoli di storia. Sempre sue le struggenti parole di chiusura:”“…..e pue quando vidimu, smurzata la lanterna, cu ‘nà “recumeterna” “Addio Calabria!”. Maria Lombardo Note bibiografiche: Mastru Bruno Pelaggi, tutte le poesie a cura di Pelaia Biagio, Serra San Bruno Tipografia Mele 1976. Cesare Mule Un originale cantore popolare, la poesia di Mastru Bruno, in il Grido della Calabria Catanzaro maggio 1966. Sharo Gambino “Mastru Brunu Pelaggi”in “Quaderni calabresi”Vibo Valentia anno IV marzo n I 1968


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