La Sicilia dopo l'Unità ...Tutto cambi, perchè nulla cambi.



di Maria Lombardo

 Collocata al centro del Mediterraneo, storicamente facente parte di tutti i processi economici, sociali, politici, culturali e religiosi, la Sicilia si caratterizza lungo tutto il Risorgimento come elemento di instabilità. Il 2 dicembre 1860, a Palermo Vittorio Emanuele II riceveva dalle mani di Antonio Mordini i risultati del plebiscito cita il Renda nelle sue innumerevoli opere:”Con tale atto formale la Sicilia, entrò a far parte del regno d'Italia sotto la monarchia Savoja” (1). Per la Sicilia e la sua gente fu l'inizio di una nuova storia. Al termine di tale processo, nell'isola certamente più travagliato e meno lineare che altrove, la Sicilia risultò cambiata nelle sue istituzioni e nelle sue strutture, e si trovò allineata volente o nolente, con le altre regioni italiane. Il risultato più sorprendente fu dato dal plebiscito del 21 ottobre votarono secondo la formula:” Il popolo italiano vuole l'Italia una e indivisibile con Vittorio Emanuele re costituzionale e i suoi legittimi discendenti” a quel plebiscito il 75% dei siciliani. I SI furono 432.720 mentre i No appena 667. I più decisero così di voltare faccia al passato. Il 2 dicembre inoltre si svolse il passaggio dei poteri ed dal prodittatore Mordini al luogotenente del Re d'Italia Montezemolo. Il nuovo Re presente alla cerimonia assicurò ai Siciliani tali cose:” Il governo che io qui vengo ad instaurare sarà governo di riparazione e di concordia”(2). Ma al di là delle buone intenzioni non ci fu impegno più effimero. In conseguenza di ciò, fin da subito sollevò caratteri e portò problemi. L'Isola al momento dell'impatto con la realtà italiana, era indietro rispetto al Mezzogiorno. La Regione di Sicilia considerata il granaio del Regno delle Due Sicilie, ancora alla vigilia del 1860, possedeva un quarto di superficie agraria e risultava destinata al pascolo brado, mentre tre quarti sono classificati come seminativi. L'82 % del territorio era occupato da pastorizia e cerealicoltura, in tale condizione parlare di grosse novità apportate dall'Unità sarebbe improprio. Inoltre non mancarono sull' isola i tentativi di seguire agricolture più avanzate. Qualche proprietario illuminato come Paolo Balsamo riportò in Patria diverse forme di aratri e macchine agricole, mentre Vincenzo Palmieri diede vita a moderne aziende agricole ma furono oasi nel deserto. Rimasero invariate i rudimentali strumenti di lavoro, niente concimazione chimica niente progresso sbandierato dall'Unità a tal proposito cita il Palmieri:” un grosso proprietario di Naro voleva alzar le vigne sopra pali, ed aggiunse che non voleva introdurre un tale abuso”(3). Dopo il 1860 le colture capitali per l'Europa qui rimasero aliene: patata e mais. Apprezzabile diffusione ebbe invece il ficodindia, tabacco e segale e del pomodoro. Tuttavia, canta ancora il Renda:” Un centro di ricerca e sperimentazione fu l'Orto Botanico di Palermo (…) che rimase impermeabile all'avventura agronomica”(4). La vite inoltre risultava essere la coltura più diffusa e trainante tipico ancora il vino Marsala (nel catasto borbonico la superficie vitata era di 144 mila ettari). Tipico e di rilievo ebbe un posto la famiglia degli agrumi limone e arancio senza dimenticare il mandorlo il melocotogno il melograno ed il nespolo. Il passaggio tra vecchia e nuova agricoltura portò un impoverimento delle varietà culturali a conti fatti. La coltura degli agrumi era avanzata e permetteva ai prodotti di raggiungere i porti di Amburgo, Aversa, Amsterdam, Copenaghen, Danzica e Pietroburgo. L'olivocoltura infine era molto promettente ed aveva dinanzi a sé prospettiva di crescita ed occupava il secondo posto dopo la Puglia per produzione di olio. Tuttavia, per chiosare in merito all'agricoltura Siciliana manca la coltura del cotone, praticata nelle contrade dell'Etna e tra Pachino e Gela annota il De Welz:” la coltura di questo genere, si va rendendo pressochè generale ma la Sicilia saprà ben prevenire i colpi della concorrenza(...)” (5). Naturalmente, va ricordata la Fonderia Orotea che nel 1860 contava 200 operai metalmeccanici, vi era poi il Cotonificio Ruggeri di Messina dava lavoro a 610 addetti dei quali 500 donne. Le realtà aziendali esistevano ed a veleggiare verso altri lidi non era solo il Marsala ma il sale ed inoltre lo zolfo: “ la Sicilia era diventata un'enorme solfatara”(6). Oltre che la conoscenza di come stessero realmente le cose, ciò che soprattutto mancò fu la visione complessiva dei problemi da risolvere. Nel 1860 vi fu nell'isola un'azzeramento di ciò che prima era stato costruito dice il Renda (7). Rilevava ancora Paolo Paternostro:” La rivoluzione in Sicilia distrusse la tirranide, distrusse l'amministrazione, distrusse l'abborrita polizia, distrusse molti abusi”(8). Tuttavia annotava ancora Francesco Ferrara:” In Sicilia tutto è da creare, perchè di tutto si manca”(9). Fatta l'Italia, in Sicilia più che altrove, si pose il problema di fare gli italiani. Per effetto di tale divario, nacquero opposizioni e diffidenze reciproche fra le due parti. La sindrome piemontese si formò, ma trovò la sua storica ragione in un comportamento che in parte fu di conquista e dominio. Il lamento isolano era questo:” ci è doloroso di vederci piemontesizzati, il vederci riguardati come pecore conquistate e comprate”(10). I “piemontesi” non furono solo prosaici e poco comunicativi, e perciò poco inclini a suscitare simpatie o a stabilire amicizie. La Sicilia perciò non era “ il Piemonte o la Lombardia, (…) credettero perciò di essere sbarcati non a Trapani o Girgenti ma allo Zambesi” (11). Il Regime unitario fu liberale di nome, ma non di fatto canta ancora il Renda :” il governo di Torino vagliò l'idea della dittatura militare” (12). In complesso sotto la macchina sabauda il popolo risultò più sfruttato ed oppresso, che sotto il giogo dei Borbone. Gli eccessi furono tali che lo stesso Crispi giunse persino a sostenere che la Sicilia sotto i Savoia somigliava ad uno Stato di polizia, più che al tempo dei Borboni. In tale anomalo stato di cose, si svilupparono due processi degenerativi: brigantaggio e mafia. A parte l'acquisizione del nome, dopo il 1860 ebbe rapida diffusione. I mafiosi divennero migliaia non vi fu paese che non fu coperto come reticolo, divenne una scorciatoia per giungere prima alla ricchezza. Secondo l'analisi fatta dalla prefettura di Palermo 1874, la mafia invadeva ogni ambito della società(13). Il bruco era ormai divenuto farfalla ed il fenomeno si radicò in società, perfino lo Stato si servì della mafia come forza ausiliaria alla lotta alla delinquenza. A dare il via al connubio dice il Renda:” fu il marchese di Rudinì per primo, poi il generale Medici che divenne alleato della Mafia Siciliana”(14). Il brigantaggio da non confondere con la mafia, fu un fenomeno di classi subalterne. Esso , ebbe connotazioni complesse, in parte riconducibili alla rivoluzione garibaldina ed in parte perchè è sempre esistito. Le associazioni di briganti costituite avvolte in occasione di colpi delittuosi, misero a soqquadro le campagne compirono delitti atrocissimi e diedero anelito ad una guerra sociale, tra Stato e popolazione. Tuttavia questo tipo di banditismo in Sicilia cessò di essere un fenomeno diffuso a cominciare dal 1877. Naturalmente, fra i banditi non mancò la coloritura politica. Effettivamente il brigantaggio isolano fu minore, seppur da non sottovalutare. Fu Angelo Pugliese il più temibile capobrigante di origine Calabrese, fuggì a Palermo nel 1861. Arrestato nel 1865 ebbe molti seguaci i fratelli Valvo, Randazzo, Alberto Riggio che agì tra Sciacca e Palermo. Ma nessuno di loro raggiunse la fama del Pugliese ebbero rilievo locale. I briganti isolani furono soprattutto ribelli, portatori di un malessere sociale, espressione di una protesta disperata. Il loro reclutamento avvenne agli albori tra i soldati sbandati dell'esercito borbonico, ma il vivaio più fertile fu la retinenza alla leva miltitare. Nel 1863, si parlò di circa 26.225 retinenti, le autorità risposero con piglio duro e cominciarono ad infierire non solo sui” colpevoli” ma sui familiari ed i paesi di origine. I Sabaudi non tenendo conto delle differenze tra il banditismo siculo e quello meridionale, organizzò veri e propri reparti militari promulgando anche qui la legge Pica. Le truppe italiane in assetto di guerra:” arrestavano tutti quanti si incontrano nelle campagne dell'età apparente del retinente o col viso dell'assassino, circondando i paesi e facendo perquisizioni di massa”( 15). La legge marziale permise in 5 mesi di circondare 154 comuni, catturati 400 retinenti, arrestati 1200 malavitosi. Terribili rastrellamenti misero in una morsa d'acciaio mezza Sicilia. La mobilitazione popolare fu accusata di fare il gioco della reazione clericale e di fatto fu sconfitta. Occorre al fine aggiungere, tuttavia, che in quelle condizioni date, il brigantaggio fu la sola via d'uscita di quanti non intesero ammainare la bandiera e sottostare ai potenti. (1).Francesco Renda. Storia della Sicilia dal 1860 al 1970. VolI Sellerio editore Palermo pag13. (2) Proclama del Re del I dicembre 1860, in raccolta degli atti del Governo della Luogotenenza generale della Sicilia,Palermo 1862. (3)Nicolò Palmieri Osservazione sulle colture di alcune campagne di Sicilia. In opere edite ed inedite di Nicolò Palmieri raccolte pubblicate da Carlo Somma Palermo Passante 1883 pag 193. (4) Francesco Renda Storia della Sicilia......opera citata pag 96. (5)Giuseppe De Welz Saggio sui i mezzi da moltiplicare prontamente della Sicilia a cura di Francesco Renda, Caltanisetta-Roma, Sciascia 1964,pag 96. (6)Francesco Renda Storia della Sicilia, …..ivi pag 111. (7) Ibidem …..opera citata pag 184. (8) Atti del Governo Italiano, Discussione della camera dei Deputati 4 aprile 1861, pag 368. (9) Francesco Ferrara,Cenni sul giusto modo di intendere l'annessione della Sicilia all'Italia. Palermo 1860, pag 37. (10) La Campana della Gancia, Palermo 5 marzo 1861. (11) Francesco Renda..... opera citata pag 187. (12) Francesco Renda ….ivi pag 189. (13) Rapporto sulla mafia del prefetto di Palermo, Cotta Ramusino, Palermo 31 luglio 1874. (14) Francesco Renda ..opera citata pag 203. (15) Il Regio Commissario Straordinario per la Provincia di Palermo al Presidente del Consiglio dei Ministri Palermo 24 settembre 1866, in Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia 28 settembre 1866.




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