CALABRIA : L'ESERCITO BORBONICO SI ARRENDE IN MASSA AI GARIBALDINI.



di Maria Lombardo



Tutto ebbe inizio con una missiva che Garibaldi ricevette il 27 agosto 1860 e portante firma di Francesco II,al tempo Re delle Due Sicilie. Nella lettera il sovrano delle Due Sicilie palesava l'intenzione di voler lasciare libera la sola Sicilia, affinché con un suffragio universale la popolazione decidesse, se restare disunita dal resto d'Italia o meno. La proposta era chiaramente un tentativo di corruzione! Inoltre il Borbone era disposto a lasciare libero il passaggio ai Garibaldini per tutto il Regno, doveva rimanere in mano ai Borbone solo Napoli, ed in più la corona di Napoli avrebbe versato una cospicua somma di denaro. Ovviamente Garibaldi declinò l'offerta senza neppure degnare di risposta il sovrano borbonico. In quelle ore si decideva l'esito della spedizione. L'avanzata in Sicilia s'era dimostrata alquanto facile, in quanto il terreno era stato variamente preparato prima e dopo la discesa di Garibaldi, il quale fu ovunque acclamato come un autentico liberatore. E’ chiaro che quello che sto raccontando non è una fantasia ma attingo all’articolo di "Storicittà", (mensile illustrato diretto dall'Editore e Resp. M.Iannicelli) ,pag.4-7 anno XIX, n°184 Agosto 2010,Tip. Stampa Sud - Lamezia Terme. Dal punto di vista storico la “conquista” della Calabria da parte dei garibaldini fu davvero un gioco da ragazzi. Dopo la conquista dell’area reggina l’unico momento bellico se così vogliamo definirlo fu il disarmo di Soveria Mannelli. Un disarmo che indusse la conclusione della “campagna” borbonica nelle Calabrie. Le quali, al comando di Giambattista Ghio, «unico generale rimasto fedele alla causa regia», potevano ancora contare su qualcosa come diecimila uomini. Purtroppo per i neomeridionalisti che intavolano discorsi poco scientifici si trattava di complotto. Per loro sicuramente ma non per la storia! Da Generale borbonico il Ghio guidava l'esercito borbonico che, forte di oltre diecimila uomini e dodici cannoni, senza combattere, il 30 agosto 1860 si arrese a Soveria Mannelli ai volontari garibaldini calabresi guidati da Stocco. E fu nei pressi del lametino che Garibaldi ottenne la definitiva certezza della riuscita della sua missione - grazie al suo luogotenente La Cecilia. Dati alla mano nei pressi di Cosenza vi era la guarnigione di Cardarelli che avrebbe potuto combattere a Campotenese e puntare su Napoli, invece optò con un marchiano malinteso un salvacondotto che lo portò diritto diritto a Tiriolo. Il Nizzardo accolse tra le sue fila il Ghio e con un dispaccio avvisò che la truppa borbonica si unì ai patrioti italiani. Profetica la frase di Garibaldi pertanto «tutte le forze passeranno di costà e dovrai farle trattare come persone appartenenti a noi». Messaggio che fece infuriare Morelli che, insieme al fratello Vincenzo, costituiva il gruppo dirigente del campo insurrezionale di Acrifoglio, a circa sette chilometri da Soveria Mannelli, forte di quattromila insorti e guidato da Saverio Altimari. Chiara l’opera del Visalli (I calabresi nel Risorgimento italiano) dopo aver attraversato la Calabria Ultra a San Pietro Apostolo, il 29 agosto 1860, fu messo a parte dell’inganno, «arse di fiera collera». E da Tiriolo spedì un contrordine a Morelli che chiariva ogni dubbio: «Le forze regie che marciano su Cosenza devono capitolare alle stesse condizioni di quelle capitolate a Punta di Pizzo…». Nello stesso giorno da Maida esortò le altre guarnigioni borboniche ad accorrere «nella valle di Soveria» dove «diecimila uomini ci aspettano ancora». Era chiaro che il suo intento era castrare i borbonici poiché se Ghio fosse sceso nel bosco dell’Acrifoglio avrebbe messo a dura prova i volontari e si sarebbe provocato uno spargimento di sangue. Fu forse in considerazione di ciò che si decise di inviare il maggiore ed “ex prete” Ferdinando Bianchi a raggiungere a Soveria Mannelli, renderlo edotto della capitolazione di Cardarelli a Cosenza e convincerlo alla resa. A Cosenza l’incontro col Cardarelli avvenne al municipio il discorso durò ore «non s’era venuti ad alcuna conclusione – dichiarò molti anni dopo Eugenio Tano che in quella circostanza accompagnava Bianchi come aiutante – quando una fucileria né scarsa né molto nutrita, e dei gridi confusi, ci fece tutti scattare in piedi». Erano grida di giubilo a favore di Garibaldi e dell’Italia i borbonici deposero le armi diventarono diecimila miserabili, imploranti vita e pane». Era il 30 agosto 1860, e lo scenario che apparve a Garibaldi al suo sopraggiungere a Soveria Mannelli, il giorno successivo, non dovette essere dissimile da come lo tratteggiò il disegnatore americano Thomas Nast, inviato del periodico The Illustrated London News. Tanto per citare i cronisti presenti. Non venne firmata nessuna resa! Ghio si imbarcò da Pizzo per Napoli, il Morelli venne chiamato da Garibaldi con un telegramma passato alla storia: «Dite al mondo, che ieri coi miei prodi calabresi feci abbassare le armi a diecimila soldati comandati dal generale Ghio. Il trofeo della resa fu dodici cannoni da campo, diecimila fucili, 300 cavalli, un numero poco minore di muli e immenso materiale da guerra. Trasmettete in Napoli ed ovunque la lieta novella». Nel mese di settembre dopo la resa di Soveria Mannelli, Giuseppe Garibaldi nominò Ghio comandante di Sant'Elmo, la piazza di Napoli. A causa delle modalità della resa di Soveria Mannelli e del successivo ingresso nell'esercito piemontese, Giuseppe Ghio venne accusato di tradimento dai fautori della monarchia borbonica. Morì di morte violenta in località "Ponti Rossi", a Napoli. E’ questo che accade in Calabria in una provincia al margine dello Stato!


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