E Antonio il Calabrese, gridò:”-Terra!!!…Terra!!!”



di Maria Lombardo



Veniva chiamato Anton Calabres ,ossia Antonio Calabrese e, secondo qualche storico, pare fosse originario della zona del Soveratese. Verso la metà di luglio del 1492 si unì all’equipaggio reclutato da Cristoforo Colombo assieme ad altri due italiani: il genovese Giacomo Riccio ed il veneziano Giovanni Vesan. Gli altri imbarcati erano quasi tutti spagnoli. Fu ingaggiato come marinaio esperto, per aver già solcato i mari diverse volte, anche se non per traversate così lunghe. Si presentò al lavoro con la divisa con la quale si distingueva: un lungo berretto conico rosso, e una corta cappa grigia. Accettò quanto gli veniva offerto per dirigersi verso l’ignoto: 12.000 maravedi per un anno con diritto di vitto giornaliero. Questo consisteva in 350 grammi di biscotto, un boccaletto di vino,250 grammi di carne o di pesce ed alcuni sorsi d’acqua potabile, secondo la disponibilità. Tutto ciò in teoria, poiché, poi, in pratica accadeva come su altre navi: il biscotto dopo pochi giorni veniva divorato dai topi, e di esso non rimaneva  che una specie di farinaccio reso puzzolente dalla pipì e dalla cacca dei ratti ,di casa nelle stive. Il vino, di scarsa qualità, diveniva presto aceto, l’acqua da bere imputridiva e, nelle vecchie tinozze si trasformava in un liquido giallognolo tutt’altro che potabile. Quanto alla carne, era una ruvida e secca pelle di bue, appesa alla più alta antenna. Veniva calata, tagliata a grossi tranci, nella quantità sufficiente per tutti; i tranci erano lasciati quattro o cinque giorni ad ammollarsi in mare. Quindi, strizzata alla meglio, e arrostita alla brace. Il resto veniva riportato su per  essere riusato la prossima volta. Così di essa, alla ,fine, non si consumava che una specie di arsa segatura disgustante. Quanto al pesce, se non era possibile pescarne di fresco in mare, la sorte non cambiava di molto. I topi, ammesso che si lasciassero catturare, appartenevano alla ciurma e per averne uno si doveva sborsare un mezzo ducato, cioè una bella somma. La vita di Calabrese perciò non si prospettava facile, mettendo in conto anche il rischio di morire o di non tornare più in dietro. Comunque, per la sua provata esperienza prese posto sulla “Pinta” al diretto comando del Capitano di Mare, Martin Alonso Pinzon. Il viaggio di andata gli andò bene. Egli fu uno dei primi fortunati ad intravedere le coste del nuovo mondo e a gridare”- Terra!!!Terra!!!”. Era il 12 ottobre di quello stesso anno. Fece parte anche del gruppo di 26 uomini che proseguirono il viaggio alla ricerca della misteriosa isola chiamata  “Guanahani” che, a detta degli indigeni locali, nascondeva favolosi tesori. Ma non la trovarono e tornarono indietro. Antonio, aiutò personalmente Colombo a trasportare gli strumenti nautici ed gran parte del carico dalla Santa Maria, che aveva fatto naufragio, sulla Nina nella baia di Cap-Haitien. Partecipò, su quelle rive alla costruzione di un fortino con poche casette di legno molto simili a quelle dei nativi. Nei sotterranei scavati nella terra, furono sistemati viveri per un anno, e varie mercanzie per lo scambio con quelle genti. Ed in quell’avamposto rimase con altri 38 compagni coordinati da Diego de Arana. Tra essi c’era anche il fido Vesan. Era il giorno di Natale quando quel primo insediamento europeo fu, per così dire, inaugurato e cominciò a funzionare. Fu chiamato Navidad,cioè Natività. Ai  suoi abitanti furono lasciati una modesta quantità di attrezzi agricoli e una lancia recuperata dal relitto della Santa Maria con la quale avrebbero potuto esplorare brevi tratti di costa. Trascorsi pochi giorni, Colombo, col resto dell’equipaggio, riprese il mare alla volta della Spagna. Ritornò a Navidad undici mesi dopo. Si aspettava di vedere ingrandito il piccolo villaggio ,quegli uomini vivere in pacifica convivenza con gli indigeni e con il capo Guacanagari visto che un anno prima li  avevano aiutati dimostrando una semplice ma buona amicizia. Invece, ai suoi occhi si presentò uno spettacolo desolante. Le casette e le palizzate tutte bruciate, i depositi vuoti e i 39 uomini dell’accampamento tutti morti. Tra le salme, c’era anche quella di Antonio Calabrese. Questioni di donne, e di tesori ricercati a tutti i costi e, forse mai trovati, avevano scatenato la reazione negativa degli indigeni e quello scempio ne era il risultato finale. A Cristoforo Colombo non rimase che distogliere lo sguardo deluso ed impietosito da quella triste scena, incoraggiare la tumulazione degli estinti tornarsene ancora una volta indietro. Il cadavere di Antonio Calabrese, fu così quello del primo emigrante della nostra regione giunto il America, col merito, ancora quasi sconosciuto, di aver partecipato addirittura alla sua scoperta  ormai più di cinquecento venti  anni fa.

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