La Strega Tarsia… la strega di Reggio Calabria



di Maria Lombardo


La citano come Tarsia di Cardito, la strega di Reggio Calabria ma, molto probabilmente in quei luoghi giunse solo la sua triste nomea. Tarsia Malipiero nacque, infatti, a Venezia, tra il 1602 e il 1603, da Isabella Malipiero e Teodorin da Rodi; fu chiamata Tarsia, ma in seguito adottò il nome di Laura. La madre, veneziana, era figlia naturale di Gianpaolo Malipiero, un nobile della parrocchia di S. Gregorio Veneto, ed era infilatrice di perle; il padre era un marinaio greco. Uno dei circa 4000 greci concentrati nei sestieri di Castello e di S. Marco. I genitori - probabilmente a causa della povertà in cui versavano - abbandonarono Tarsia, quando aveva appena 18 mesi, nel monastero dei Greci, dove crebbe fino all'età di 12 o 13 anni, allorché sposò il marinaio greco Teodorin da Andro. La dote di 20 ducati le fu però poco tempo dopo restituita perché dell'uomo, una volta fatto prigioniero dai Turchi, non si ebbero più notizie. Tarsia,all'età di 20 anni, a un ballo di carnevale cui partecipava mascherata da diavolo, incontrò Francesco Bonomin, un mercante di seta vedovo con quattro figli, che sposò il 23 marzo 1623. Dal matrimonio nacquero due figli, Luigi e Malipiera. Ben presto iniziarono le difficoltà, dovute soprattutto alla malattia del marito, probabilmente epilettico, che la picchiava,la tradiva con altre donne e infine la cacciò di casa.Nel 1630 Bonomin denunciò Tarsia al S. Uffizio la accusandola di operare sortilegi, insieme con la madre Isabella, e di poligamia.Alle malie delle due donne Bonomin attribuiva il suo malessere, e i suoi figli di primo letto confermarono le accuse, sostenendo di aver visto la donna e sua madre operare con il piombo fuso in una scodella d'acqua, mettere nella minestra ostie e polveri, segnare il padre con un coltello dal manico nero, gettare la cordella, procurarsi la protezione di amuleti e e di avvalersi della "carta del ben volere"; si trattava di pratiche e scongiuri usati anche da altre guaritrici, che Isabella Malipiero conosceva bene - come dimostrarono le testimonianze del processo - e che essa aveva insegnato certamente alla figlia per difendersi dalle aggressioni del marito o per tentare di guarire il piccolo Luigi che aveva ereditato dal padre l'epilessia. In una seconda lettera indirizzata al tribunale, il Bonomin fece la sua seconda accusa, quella di poligamia. Michele Dalmeras, allora arcivescovo di Philadelphia, dichiarò che il matrimonio contratto con Teodorin da Andro era stato effettivamente celebrato nella sua chiesa circa 14 anni prima e che l'uomo era ancora vivo. A nulla valse la difesa della Malipiero e il processo si chiuse con l'annullamento del matrimonio con Bonomin e la condanna a un anno di carcere per sortilegi, una pena consueta tra quelle comminate dal tribunale dell'Inquisizione di Venezia per questo genere di reati.Tarsia fu coinvolta in un secondo procedimento giudiziario dal 1647, ma per due anni riuscì a rinviare il giudizio con certificati medici e buone mance. Il nuovo processo coinvolse, oltre la madre, altre sei presunte streghe, due frati e un sacerdote. Tarsia fu descritta come una donna grande e con i capelli neri. A quella data era sposata con Andrea Salaron, mercante bolognese, dal quale tuttavia era stata costretta a fuggire intorno al 1640, abbandonando ogni suo avere, dopo anni di liti, violenze e minacce di morte; risiedeva a S. Martino, dove guadagnava dall'affitto di camere e magazzini. Numerose testimonianze confermarono però anche l'intensa attività di guaritrice assieme a sua madre. Sia pure tra accuse reciproche e liti, le due donne collaboravano tra loro: dietro compenso segnavano con oli persone stregate, cacciavano le "male ombre", risolvevano problemi amorosi, aiutavano nel recupero di soldi e oggetti rubati; utilizzavano ossa di giustiziati, fango di ghetto, uova sepolte nel cimitero ebraico, cuore di castrato legato con nastri colorati e riempito di chiodi, allume di rocca e sale buttati nel fuoco; buttavano la cordella per conoscere la sorte. Alle pratiche magiche affiancavano anche simboli religiosi come olio, acqua, ulivo benedetti, procurati con vari espedienti. Le attività della Malipiero le consentivano un discreto tenore di vita: fu l'unica tra gli imputati che poté permettersi le spese di un avvocato e un libello di difesa, nel quale le accuse furono attribuite alla malevolenza di persone nemiche, i medicamenti usati identificati come rimedi naturali e legittimi comprati da speziali, e la sua regolare condotta religiosa fu testimoniata da diversi sacerdoti,probabilmente corrotti. Tuttavia il 7 settembre. 1649 Tarsia,in quanto recidiva, fu condannata a dieci anni di carcere per possesso di carte magiche e per pratiche terapeutiche illegali. Il 17 marzo 1650, il S. Uffizio, considerata la detenzione già scontata e la quasi continua infermità,la liberò con fideiussione, a patto che si astenesse dal commettere i crimini per i quali era stata condannata.Malgrado ciò, il 14 gennaio 1654 il sacerdote A. Cardini, confessando la moglie di un servo di casa Emo, venne a conoscenza di sortilegi compiuti dalla Malipiero e la denunciò al S. Uffizio. Il senatore Angelo Emo, ex provveditore generale in Morea, addolorato per la moglie Marina Contarini che da tre anni era gravemente malata, avendo sperimentato senza frutto ogni sorta di cura, si era rivolto a Tarsia. promettendole una lauta ricompensa. La strega, con una divinazione basata sull'intermediazione di una fanciulla vergine, diagnosticò una fattura: a operare contro l'inferma sarebbero stati i suoi stessi figli di primo letto perché non rimanesse incinta del secondo marito, compromettendo così la disponibilità della dote. In realtà, la megera non aveva utilizzato una vergine, ma aveva istruito la moglie incinta di un servitore degli Emo, la quale confessò l'inganno alla padrona, niente affatto guarita.Così il 30 gennaio. 1654 Tarsia fu di nuovo arrestata.In casa sua furono trovati - oltre ad ampolle d'acqua, oli, candele, cordelle - carte e libri manoscritti di magia, tra cui due copie dell'"empio e pernicioso" Clavicola di re Salomone". Inutilmente l'imputata si difese affermando che i libri erano stati lasciati a casa da uno studente di medicina e un frate minore osservante, che il procuratore di S. Marco Daniele Bragadin aveva fatto alloggiare in casa della sua per tre mesi; aggiunse che non sapeva né leggere né scrivere, ma il possesso era una prova del crimine di magia e, essendo stata già condannata per uso di carte superstiziose, non poté dichiararsi ignara del loro contenuto. Il 3 marzo 1655 la Malipiero fu perciò condannata a dieci anni di carcere, senza alcuna riserva di grazia, e a recitare il rosario due volte la settimana. Il 17 agosto del 1656, estenuata da penosi e continui patimenti, chiese al tribunale la commutazione del carcere in arresto domiciliare. Le fu consentito soltanto di uscire dal carcere nei giorni festivi.Nel giro di pochi anni ulteriori denunce arrivarono al S. Uffizio contro di lei: il 16 dicembre 1660, per arrestarla ancora una volta il capitano M. Cataneus sfondò la porta della sua casa in calle Larga a S. Giorgio de' Forlani. Nel fuggire Tarsia cadde malamente e batté la testa. Trasportata in prigione morì dopo tre giorni, confessata e comunicata, ma con addosso fogli superstiziosi e due cordelle rosse legate al collo.Fu sepolta a S. Giovanni Nono nella sepoltura della Madonna, per ordine di Luca greco, suo agente, e Pietro Bonomin suo figliastro.

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    1. Non ho mai letto una cosa più stupida di questa. Tarsia di Cardeto non centra proprio nulla con la sua Tarsia di Venezia. E a Reggio nel 1635 non giunse l'eco di nulla tranne l'eco di questa gigantesca favola che lei ha scritto. Che non ha nulla di storico. Cosa centra Venezia con Reggio Calabria? Complimenti per la sua fantasia.

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