Renoir a Capistrano nelle Serre Vibonesi



di Maria Lombardo


Che alcuni antichi affreschi nella chiesa  matrice di Capistrano, intitolata a San  Nicola di Mira, siano stati attribuiti al restauro effettuato dal grande Pierre-Auguste Renoir, anche da critici d’arte eminenti come Federico Zeri e Vittorio Sgarbi  è cosa ormai nota. Ma come ci finì il famoso pittore nell’oscuro paesino delle  serre vibonesi  circa 135 anni fa? La  nonna materna di Andrea Camilleri, padre del mitico Commissario Montalbano, era nata proprio a Capistrano nel 1874, figlia di un muratore. Quindi aveva 7 anni quando nel 1881 vi arrivò il noto Maestro, esponente dell’impressionismo francese . Nella sua memoria di bambina era rimasta impressa la figura di un pittore francese, che lei chiamava il signor Renuà, come lo chiamavano tutti del resto in paese, il quale, visto che gli affreschi della chiesa locale, probabilmente risalenti a  circa 400 anni prima, si stavano distruggendo a causa dell’umidità e dell’incuria, decise in qualche modo d’arrestarne la rovina definitiva operando una sorta non di restauro, come si è sempre sostenuto, ma di un vero e proprio rifacimento. Per far ciò, si servì di normalissimi colori usati dai muratori per dipingere le pareti o le facciate delle case e a fornirglierli fu proprio il padre della piccola. Nel libro che Jean Renoir, figlio dell’artista nonché a sua volta celeberrimo cineasta, ha dedicato alla memoria del padre, si parla fra l’altro proprio del viaggio in Italia compiuto dal grande pittore, all’epoca 40enne e già pienamente partecipe dell’estetica impressionista, e in particolare di una sua spedizione nella Calabria sconosciuta ai più. Era  dunque il 1881 quando il pittore si trovava a Napoli. Già reduce dalla prima mostra degli impressionisti nello studio di Nadar nel 1874, l’artista viaggiava per il Bel Paese in cerca di nuove fonti di ispirazione. Nella città del Golfo, in una taverna frequentata soprattutto da chierici, chiacchierava con un prete calabrese, tale Giacomo Rizzuto, originario di Capistrano ma residente a Napoli dove svolgeva mansioni di precettore presso una famiglia aristocratica, il quale non faceva altro che inneggiare alle straordinarie bellezze della sua terra: le descrizioni del religioso dettero a Renoir il desiderio di visitarla. E Partì, munito di una lettera di raccomandazione del vescovo, procuratagli  da quell’ amico. A quell’epoca le ferrovie e le strade erano rare in Calabria. Renoir perciò fece il viaggio parte su una barca di pescatori passando da un porticciolo all’altro e parte su carrozze trainate da muli;quindi a piedi e trasportato persino a braccia da alcune contadine per attraversare un fiume ingrossato dalle piogge invernali,  raggiunse Capistrano, come detto, nel dicembre del 1881. Qui egli trascorse un periodo di “villeggiatura” dipingendo in estemporanea paesaggi, lavandaie, contadini e fanciulle. Aveva allora alle spalle tre mostre degli impressionisti e alcune esposizioni al Salon, ma al di fuori di Parigi era ancora un perfetto sconosciuto. Colpito e grato per la generosa ospitalità dei capistranesi, decise di ricambiare le loro gentilezze acconsentendo alla richiesta del sindaco di intervenire per recuperare gli affreschi della chiesa, che l’umidità stava danneggiando irrimediabilmente. Pur non essendo molto esperto di pittura a fresco o murale, sebbene vi si fosse già cimentato in passato decorando le pareti di svariati caffè parigini (lavori dei quali però non si è conservata traccia), egli si recò da quel un muratore del paese, chiese in prestito impalcature e polveri colorate e si accinse al rifacimento dei dipinti deteriorati. Da un’analisi delle parti “ricostruite” ancora oggi osservabili,  emerge innanzitutto il fatto che Renoir dovette intervenire in maniera massiccia in alcune zone, rifacendo completamente certe figure, come quella del Cristo al centro dell’affresco del Battesimo o quella della Maddalena nel Noli me tangere, mentre in altri momenti preferì sovrapporre alle parti più deteriorate elementi di sua invenzione, come la tunica rossa drappeggiata intorno al corpo del Battista. Inoltre si può facilmente registrare la presenza di alcuni stilemi tipici della pittura impressionista, come l’abbandono del chiaroscuro e l’utilizzo dei colori per la resa delle ombre.La lettera del vescovo gli apriva le porte di tutti i presbiteri per cui fu accolto bene dal parroco di Capistrano, onorato della sua presenza  gli  offri ricetto nel piccolo borgo. E’ toccante apprendere come il “Signor Renuà” fosse rimasto positivamente impressionato dalla gente di Calabria, di cui apprezzò la grande generosità: “Tutti i calabresi che ho incontrato erano generosi e così allegri nella loro miseria!” ebbe poi a dire sorridendo e sostenendo che si sentiva a tutti gli effetti uno di loro, al punto da far capire al figlio che avrebbe tanto voluto rivedere i nostri luoghi prima di morire.  Pare che in un sito riferito a Capistrano  in ricordo del pittore Pierre Auguste Renoir si dica che nel 1881 dopo essere stato in Algeria per curarsi, Renoir sia tornato a Capistrano alla fine di aprile, come aveva promesso a don Francesco Bongiorno, per rifare gli affreschi nella chiesa matrice. Molto probabilmente, Renoir aveva preparato già nel suo studio lo schema compositivo dell'opera, ma il suo ritorno a Capistrano non avvenne mai. Renoir venne una sola volta a Capistrano come risulta dagli studi storici su di lui e come confermato dal suo   stesso pronipote Jacques Renoir venuto di recente a Capistrano (per merito della dott.ssa Maria Stella Francolino, presidente della Pro Loco), ricevendo dal sindaco di Capistrano, dott. Marco Martino, la cittadinanza onoraria.

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