Le fantasie capricciose gossip ante litteram del Principato di Satriano (CZ)
di Maria Lombardo
A gli inizi del 1710 circolava un volumetto satirico, oggi diremmo di
gossip impertinente, intitolato ”Fantasie Capricciose, ” il cui autore era un
enigmatico Ramigdio Glatesecha. Dietro questo strano pseudonimo, ad anagramma
risolto, si nascondeva appunto il… “marchese di Gagliato”. Probabilmente costui
era un tal Giovanni Sanchez de Luna, nato il 13-2-1642,terzo Marchese di
Gagliato e Patrizio Napoletano, in quanto figlio di Don Giulio e di Donna
Giovanna Carafa di Nocera. Era egli un uomo colto, appassionato dei classici
antichi ed in particolare di quelli latini scritti da Cicerone e Tacito e con
uno spiccato interesse per la cultura del suo tempo pervasa dai primi segnali
del razionalismo illuministico. Disdegnava i Deisti secondo i quali l'uomo non
poteva conoscere il bene e il male e, ammesso che pervenisse ad un minimo di
conoscenza casuale, non era moralmente responsabile delle sue azioni per cui li
definiva apertamente scemi di senno e allucinati d’intelletto. Il bravo
marchese non amava la vita mondana di corte ne la confusione rumorosa della
città. Per tanto rifuggiva dalle mollezze della nobiltà che gli indirizzava
volentieri critiche e rimbrotti per quelle sue stranezze che lo inducevano a
condurre vita appartata e spesso anche riservata. Preferiva, perciò ritirarsi
nella quiete del suo feudo calabrese, governato dai suoi avi fin dal 1627 e
che, successivamente, sarebbe stato ceduto ai Morano. Quì si immergeva, per ore,
nei prediletti studi dei più eruditi scrittori. Lo faceva per ritrovare se
stesso, ed aiutare altri a ritrovare l’identità perduta e mortificata anche dai
colleghi, padroni titolati, che ignoravano il diletto, la serenità di spirito,
la saggezza e i rapporti sinceri con l’umile gente: requisiti necessari per
attuare un buon governo. «Qui vivo in grembo all’innocenza ed osservo
puntualmente i precetti della morale, aspettando la morte e sospirando i
continui infortuni capitatimi in patria», scriveva nei suoi capricci. Tra gli
infortuni subiti di certo vi erano le delusioni delle sue speranze negli
austriaci che si dimostrarono uguali a gli spagnoli, gli assurdi sconvolgimenti
delle guerre di successione, le liti in pendenza con il Principe di Satriano,
Girolamo Ravaschieri, e con il Duca Antonio Marincola di Petrizzi, i quali lo
avevano accusato di complicità con alcuni briganti calabresi. Ad esasperarlo
poi concorse la sofferenza del popolo per le continue vessazioni e gabelle cui
veniva fatto oggetto. Queste ed altre contrarietà minori lo convinsero a
scrivere qualcosa per dare sfogo a tutto ciò che di amaro gli ribolliva in
corpo. La sua fervida mente partorì allora le ” Fantasie Capricciose”, un
libretto dedicato a sua altezza serenissima principe Eugenio, rampollo glorioso
della casa reale dei Savoia, in cui mise alla berlina molti notabili e
nobildonne con l’invenzione di personaggi che ne esaltavano più i molti vizi
nascosti che le rare ed evidenti virtù, mettendo in chiaro gli aspetti più
deleteri degli agi in cui vivevano i ricchi signori. I suoi ironici colpi di
penna condannavano i licenziosi e permissivi comportamenti di certe Dame fatte
per rovinare i loro rispettivi mariti, ferivano il ceto nobiliare che
trascurava il bene della patria per dedicarsi solo ai propri piaceri.
L’acrimonia che il Sanchez de Luna usò nei confronti dei nobili, alla cui
classe egli stesso apparteneva, derivava dal fatto che egli faceva parte di
quella esigua schiera di nobili patrizi illuminati che avevano a cuore le buone
sorti della patria e di conseguenza si prodigarono per garantire un futuro
migliore ed un nuovo ordine politico, in cui l’aristocrazia avrebbe dovuto
ricoprire un ruolo prioritario si, ma a beneficio delle comunità che
governavano. I motti satirici del libro raggiungevano anche i rappresentanti
del clero, i medici, per poi ammucchiare, in un unico fascio, magistrati,
avvocati, ecc., fino a coinvolgere l’intera Napoli che egli definiva,
praticamente, senza cervello. Il suo scopo era di risvegliare le coscienze.
Quelle dei nobili dal torpore delle comodità del potere esercitato quasi sempre
a distanza, senza mai mettere piede nei propri possedimenti e quella del popolo
affinchè prendesse si rendesse conto della sudditanza esagerata ed ingiusta
Molti nobili si riconobbero nei personaggi descritti e fecero pressione sulla
corte reale perché quell’offensivo volumetto fosse tolto a tutti i costi dalla
circolazione e, per di più, con una esemplare condanna per il suo irriverente
autore, dando ordine a gli organi di polizia di individuare chi si nascondeva
dietro quel fantomatico Ramigdio. Per la verità il nome era già noto sia al
Viceré, sia a tutti coloro che da più di un anno avevano letto il libro. Tanto
più che lo stesso autore , all’ ultima pagina, aveva rivelato che si trattava
del marchese di Gagliato. Su queste premesse non ci volle molto per
identificare e trarre in arresto il protagonista di quella colossale bravata.
Per prima cosa, pure per evitare che qualcuno con cattive intenzioni, di sua
volontà o come sicario altrui, gli facesse del male , il 14 gennaio 1712,fu
fatto rinchiudere a Castel di Sant’Elmo. Il successivo 25 febbraio venne
emanata la condanna, sicuramente per calunnia ed informati quanti erano stati
oltraggiati di richiederne le opportune riparazioni. Queste giunsero
tempestivamente. Ad esse fecero seguito le formali scuse, chiaramente di
circostanza, di Ramigdio Glatesecha, ovvero di Giovanni Sanchez de Luna che,
dopo qualche mese di prigione, fu rimesso in libertà. Quanto alle Fantasie
Capricciose, il famoso libro che le conteneva, trasportate in sensi politici e
morali da quell’immaginario Accademico dei Fantastici della Veneranda Assemblea
della Verità come riportava il frontespizio, stampa Lipsia e dedicato
all’altezza serenissima Principe Eugenio glorioso rampollo della casa reale dei
Savoja, subito i scontrò con una dura realtà. Infatti, il 3 marzo 1711 il regio
banditore, Luigi Moccia, diede ufficialmente lettura, in Napoli, di un bando
emanato il 25 febbraio precedente. In esso si diceva che essendo stato dato
alle stampe e pubblicato un libello satirico e sedizioso dal titolo “Fantasie
Capricciose” ad opera di un non ben precisato Ramigdio Glatesecha, si ordinava
a chicchessia di non venderlo o ritenerlo con sé, in quanto si era riconosciuto
che conteneva notizie false e temerarie. Le pene per i trasgressori, alcune
delle quali a discrezione dei poteri supremi, erano molto severe: prevedevano
addirittura l’esilio dal Regno, magari col rischio della perdita dei beni, per
le persone di nobile lignaggio; e ben cinque anni di galera o qualche multa
salata per i librai e per tutte le persone non nobili che ne fossero state,
anche momentaneamente, trovate in possesso. Così che chi ce lo aveva sotto mano
se ne liberò al più presto per non incorrere nelle probabili perquisizioni dei
gendarmi, incaricati di sequestrarlo a prima vista. Quanto al Marchese di
Gagliato, è difficile pensare che si sia tolto qualche altro fantastico
capriccio perché si spense a Napoli il 10 aprile del 1714 ed il giorno dopo fu
sepolto, nel sacello di famiglia, nella chiesa dell’Annunziata.
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