Un antico monaco basiliano giunto in Calabria.




di Maria Lombardo



Immaginiamo un antico monaco basiliano che, perseguitato a morte dagli editti imperiali giungeva ,circa 1300 anni or sono, nella nostra terra dal lontano oriente. Era un personaggio umile, guidato da una spiritualità intensa, che aveva scelto la via dell'isolamento e della penitenza per sentirsi vicino all'unico Dio che venerava. Per quel mistico che cercava luoghi solitari e lontani dalle tentazioni umane, i verdi deserti della Calabria furono quanto di meglio potesse aspettarsi dopo le lunghe peregrinazioni da una costa all'altra del Mediterraneo. Egli, sorretto solo dalla fede e da un nodoso bastone da pellegrino, si addentrava tra dirupi scoscesi e grovigli arborei fin quando non trovava una grotta naturale per farci una laura, cioè il suo eremo che per lui era casa e chiesa. L'ideale supremo di quei monaco era la contemplazione nella tranquillità e nel silenzio. Viveva dedicandosi alla preghiera e lavorava la terra per mantenere se stesso e per fare la carità ai più poveri. La sua alimentazione consisteva in bacche e verdure crude e beveva l’acqua fresca di una sorgente vicina. Si immergeva nelle fredde acque del fiume per far penitenza e poi si dedicava allo studio dei testi sacri, rispettando così le regole base imposte dal fondatore del suo ordine, San Basilio. Il suo modello di vita austera venne ben presto seguito da numerosi giovani del territorio che si dedicarono alla vita monastica e che con lui fondarono un piccolo cenobio. Quegli elementi essenziali che caratterizzavano la sua vita quotidiana e cioè contemplazione, preghiera, solitudine e lavoro. furono di esempio anche ai laici che abitavano il territorio e che ritennero lui e i suoi monaci punti di riferimento perché essi insegnavano loro a svolgere meglio il loro mestiere, a coltivare la terra con maggior rendimento e, per di più essi trasmettevano lo studio delle discipline religiose, letterarie e scientifiche. Così quei monaci erano molto ben voluti perché, eccetto i momenti di preghiera comune, vivevano con loro e come loro, zappando o facendo altri umili lavori mentre il loro capo ,detto egumeno, era considerato un sant’uomo in grado anche di compiere piccoli miracoli. Per qualche tempo la lingua parlata dal monaco basiliano fu il grecanico, ma poi imparò ad esprimersi col dialetto locale che avendo radici nella magna grecia aveva assonanze simili. E mentre, dopo la sua morte, le sue spoglie giacevano sepolte nel piccolo cimitero nei pressi del cenobio, i suoi monaci si dedicarono anche prosciugamento delle zone paludose e destinarono le terre incolte alla coltura dell’olivo, della vigna, del grano. Agevolarono la piccola proprietà contadina resero addirittura di uso comune i due contratti di enfiteusi (diritto di godere di un fondo altrui con l’obbligo di apportarvi migliorie e di corrispondere periodicamente un canone). Inoltre fondarono i casali, villaggi, piccoli centri urbani, avendo ottenuto dai Basilei, ovvero dai signori i la facoltà di “conducere homines”,cioè assumere persone nelle terre chieste ed ottenute in concessione. Per loro merito vi fu una vera e propria rinascita caratterizzata anche da una vita sociale autonoma che dette adito all’organizzazione dell’Universitas ossia il Comune, con la figura del Siundicos (Sindaco)  che la rappresentava giuridicamente. Uno di quei monaci, un vero frate, Angelo Calabrò, di origine calabrese, da cui l’appellativo Kalabràq,  cioè Calabrese, inteso anche come cognome, che nella seconda metà del 1400 fu a Messina dove seguì le lezioni ivi impartite, dal 1468 in poi da Costantino Lascaris. In seguito divenne abate del monastero del S.mo Salvatore  di quella città. Siccome si ignorano le date di nascita e di morte  c’è chi tende ad identificarlo con un tal Angelo, vescovo di Martirano in provincia di Cosenza tra il 1463 ed il 1485 il che appare molto improbabile perché non avrebbe potuto seguire le citate lezioni, perchè  a Martirano venivano ascritti vescovi di altre diocesi  e perché i vescovi nominati  li cominciarono ad abitare stabilmente a Martirano  a partire da Gregorio della Croce(1569-1577) e quindi difficilmente  Angelo Calabrò o Calabrese sarebbe risultato iscritto in cronotassi, ammesso che ne fosse stata redatta una.
Di lui rimangono quattro sermoni in lingua greca sul Natale, l'Epifania, le Palme e la Trasfigurazione, che Giovanni Santa Maura rinvenne e trascrisse nel 1573 presso un certo Giambattista Pitia prete greco di San Lorenzo (Reggio Calabria). Di essi esistono copie in vari manoscritti elencati dal Mercati. Angelo Calabrese fu anche autore di un completamento al commento di alcuni fogli aggiunti al manoscritto Add. 36749 del British Museum di Londra. Le sue opere, anche se redatte in greco, rivelano una formazione culturale ormai latina confermando la progressiva latinizzazione dell'elemento greco presente nell'Italia meridionale.

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