La Signora della Lacina : leggende calabresi.



di Maria Lombardo



Aroccato su un acrocoro, che dominava la vallata diradante nei boschi della Lacina, svettava un piccolo maniero, ormai diruto ed abbandonato. Un ambiente arcano, permeato dal fascino misterioso, tipico dei luoghi quasi fuori dal tempo, denominato appunto, “Lacina” poiché circondato da fitti boschi. Poche e frammentarie le notizie che circondano le vicende di quel castello edificato, probabilmente, sui ruderi di un tempietto dedicato alla dea Hera Lacinia, a sua volta, eretto dai dagli antichi boscaioli che fornivano di legname le colonie della Magna Grecia e dal cui culto la zona prese il nome. Evidentemente, nei piani della Lacina, dove c’era una rigogliosa radura, sorgeva un  insediamento greco-romano di una certa importanza. Ai primi del 1500 al suo posto vi era un villaggio che, sorto per favorire lo sfruttamento forestale, fu poi fortificato  da un muro di pietra e, a sua difesa, fu schierata una piccola guarnigione di soldati. In quel sito, detto “Chianu da Jannara” poi ricadente nel comune di Cardinale, sorse quindi, verso il 1580, il Castello, per permettere alla baronessa di allora, Ernestina Scoppa, di trascorrere le vacanze estive. L’ultima proprietaria  pare sia stata una tale Maria Enrichetta Scoppa, baronessa di Badolato, nata a Sant’Andrea  nel 1831, che
.elesse il castelletto  della Lacina a propria dimora in gran parte estiva fino al 1912, anno della sua dipartita. Ella era descritta come donna di profondi sentimenti religiosi. Non tanto santarella pare sia stata, invece, un’altra sua lontana antenata, anche lei nobildonna, e certo baronessa pure lei, che diede origine ad una leggenda che, in passato, ha certamente suscitato non poco i pensieri pruriginosi degli uomini e le critiche invidiose delle donne delle comunità limitrofe, dedite queste alle attività agricole e pastorali in particolare che dai luoghi erbosi e legnosi della Lacina  traevano profitto. Fino a qualche decennio addietro, infatti, si narrava che la bella Signora della Lacina, sempre alla ricerca di facili, ma segrete avventure amorose, fosse solita ospitare, nella sua isolata magione, aitanti uomini, al più giovanotti, dei paesi vicini che, spinti dal curioso desiderio vi si avventuravano, ma che erano destinati, però, dopo aver goduto, con lei, dei piaceri della carne, a scomparire nelle paludi circostanti. I vecchi pastori narravano che in quella estesa e lacunosa torbiera era possibile che una coppia di buoi sparisse rapidamente senza più essere vista. A quell’antica residenza, era anche associata una chiesetta, di cui si è persa ogni traccia ,e della quale, molto probabilmente, quella focosa baronessa si serviva come esca per i suoi incauti amanti. Un primo innocente incontro nella cappella, poi un piacevole soggiorno al castello per alcuni giorni e dopo tre o quattro notti di fuoco il mal capitato di turno, dopo essere stato per così dire addormentato con qualche pozione poco salutare, finiva per spegnere per sempre i suoi bollenti spiriti in un gorgo di sabbie mobili o forse in qualche fossa improvvisata nel bosco, col povero corpo  esanime alla mercè dei lupi affamati. Oggi, gli imponenti ruderi di quel piccolo maniero non evocano più leggendarie memorie di amore e morte, ma gli imperiosi resti delle caratteristiche torri angolari incutono un certo timore a chi ha ancora il coraggio di avventurarsi sull’impervio sentiero, che conduce lassù, da dove si può ammirare il laghetto sottostante, detto Alaco, e sulla quieta superfice del quale sembra specchiarsi, nell’ombra, l’ennesimo pezzo di storia perduta.         

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