L’unica Riforma dell’Istruzione nelle Due Sicilie fu fatta dai francesi!


di Maria Lombardo 



Sicuramente tra i neomeridionalisti qualcuno, se non tutti, si indigneranno. Siamo tutti allertati dai loro inutili sproloqui da osteria e sicuramente non hanno la minima idea che a dare il nome di “Due Sicilie” fu proprio Murat e che il buon Borbone mantenne proprio quel nome che i “nemici” attribuirono all’ex Regno di Napoli. La pubblica istruzione fu un settore abbandonato dai Borbone e come scriveva il Celesia in Storia della Pedagogia italiana Milano Carrara parte II pag 136 :” su 170 fanciulli un solo sapea leggere e scrivere”. Fu davvero dura per i francesi scolarizzare il popolo abituato a secoli di ignoranza. Nel 1806 così erano divise le scuole a Napoli due scuole d’arti e mestieri al Carminello al Mercato e San Giuseppe a Chiajia. Delle 29 scuole regie del regno rimanevano chiuse, Chieti, Castellammare, Lucera e Matera sostiene Agresta nel suo testo Istruzione nel Mezzogiorno d’Italia Samperi Messina pag 13 e 14. Continua ancora il prof. Agresta molte cattedre erano vuote ed a L’Aquila era venuto meno l’insegnamento della giurisprudenza,della filosofia,della matematica e della lingua greca. A Capua persino della storia a Lecce di Teologia e medicina così a Cosenza, a Nola,a Reggio,a Salerno a Sulmona a Taranto. Uno stillicidio! In Terra di Lavoro vi erano solo 4 scuole normali due in Calabria Citra, in Otranto e Teramo. Solo 16 scuole in tutto il Regno. Attive solo le scuole nautiche un quadro desolante. Sotto i Napoleonidi la scuola venne prima di tutto ed il riordino venne centrato nelle mani del Ministro dell’Interno, ogni Preside ricevette una missiva per dare informazioni sicure al governo alla quale erano tenuti a rispondere tempestivamente. Le risposte furono tutte sconfortanti a tal punto che il 15 agosto 1806 viene emanato un primo decreto che narra:” terre, ville ed ogni altro luogo abitato” deve mantenere un maestro che insegnasse i primi rudimenti e la dottrina cristiana ai fanciulli ed una maestra “ per far apprendere colle arti donnesche, leggere scrivere e numerica alle fanciulle”. Malgrado l’impegno del Governo Francese gli sforzi furono vani e le scuole popolari non erano frequentate ed inoltre affidati a maestri demotivati e tanto ignoranti. A Napoli la situazione aveva raggiunto l’acme dello sconforto e Giuseppe Bonaparte ordinò l’apertura di 10 scuole gratuite nei conventi un metodo che ottenne buoni risultati e fu esteso a tutto il Regno. Per le ragazze nella Capitale vennero istituite 11 scuole gratuite e il compenso delle maestre a carico della Città di Napoli. Fondamentale fu il riordino dell’Università che era retta da normative antiquate e regolarizzate dagli ufficiali del Re e divisi in lettori primari ossia gli insegnanti possessori di cattedre perpetue e lettori semplici con uno stipendio che variava dai 400 ai 200 ducati. La laurea che non serviva per esercitare era conferita dal Re poi servivano altri esami con altre commissioni solo a quel punto si poteva esercitare il mestiere scelto. Anche l’Università dovette soffrire l’allontanamento per motivi politici dei “professori” che occuparono poi i posti di rilievo nelle Università Italiane. Il Ministro dell’Interno fu costretto alla luce di queste sconfortanti notizie a redigere un’inchiesta, purtroppo nonostante il decreto citato in calce nel quale si obbligava l’apertura di scuole popolari e la nomina di un maestro molti centri rimasero refrattari alle norme e sordi alle richieste,specialmente nelle zone rurali situazione documentata anche dall’intendente Briot riferendosi alla Calabria Citra:” lo stato dei Comuni e l’ignoranza dei loro amministratori,(…)specialmente di quelle che riguardano la pubblica amministrazione fatalmente ignota a queste popolazioni, sono gli ostacoli da non potersi vincere con metodi ordinari”. Motivo per cui nell’insegnamento vennero impiegati i religiosi. Quando subentrò Gioacchino il lavoro di Giuseppe Bonaparte non era ancora solido i Comuni specie nelle periferie non intendevano allinearsi alle norme. Il Re Francese incrementò il lavoro del suo precedessore con l’istituzione della Direzione Generale affidata a Matteo Galdi documentata dalle circolari che il Ministro dell’ Interno inviava agli intendenti. Fondamentale la missiva del 25 ottobre 1808 disponeva che in ogni convento soppresso nascessero scuole “ anche perché da loro era da aspettarsi i più vantaggiosi risultati per le popolazioni”. Altre missive inviate ai Vescovi tutte rintracciabili “ i quali seguivano con impegno le vicende dell’istruzione popolare”. Per i molti increduli neomeridionalisti tratto quella spedita il 2 marzo 1809 dal sottintendente del distretto di Catanzaro al Vicario Vescovile di Santa Severina. Nella lettera si lamentava che il popolo non aveva accettato “ i doni” del Re, che le madri ed i padri dei fanciulli ne erano colpevoli, “ incarico i parroci eccetto le feste che vadano raccogliendo i fanciulli e le fanciulle ella mi dovrà dar conto se produrrà buon esito”. Nelle città si preferiva mandare le figlie presso qualche monaca di casa che sapeva ancora meno delle maestre pubbliche,ed i maschi a studiare latino presso qualche frate. I poveri anche per una questione di soldi non si curavano dell’educazione dei figli preferivano affidargli la cura di tacchini o porci ed abbandonarli nei campi. Drammatica l’educazione femminile meglio la tessitura, la cardatura che la scuola. I forti pregiudizi poi non permettevano alle donne di insegnare nei centri rurali. Questa mancanza era il “passaporto” per la nomina di soggetti non idonei, per esempio nel febbraio 1808 a Zungri in Calabria Ultra fu assunta Margherita Accorinti benché non sapesse ne leggere ne scrivere( ASCZ fondo intendenza busta 251\A,fasc, n 1). Ebbe un buon esempio le scuole primarie aumentarono ma a duro prezzo! Il Re Murat decise di nominare un ‘ulteriore commissione il 27 gennaio 1809 in cui sedevano Melchiorre Delfico, Vincenzo Cuoco, Tito Manzi, Bernardo Della Torre, Giuseppe Capecelatro avevano il compito di redigere un piano nasce il 10 ottobre 1809 il Rapporto del Re Gioacchino Murat per l’organizzazione della scuola pubblica. Spiccò proprio il Cuoco nella relazione stabiliva dei requisiti fondamentali e che bisognava differenziare l’istruzione, l’istruzione del popolo serviva solo a formarlo per poter trarre profitto poi dai sapienti. Ai Napolitani poi certi principi faticarono ad arrivare, solo una minoranza recepì il cambiamento questo perché i baroni non si potevano spossessare i francesi trovarono un popolo umiliato da secoli di schiavitù privi di mezzi e volontà.

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