Calabria profumata d’Oriente, storia delle gelsominaie di Brancaleone (RC) e di Calabria
Edward Lear, Diario di un viaggio a piedi, 1852
di Maria Lombardo
Quella che racconterò oggi non è una storia molto antica né che affonda le radici in un passato glorioso, ma ritengo che questa attività debba essere raccontata. Ho sempre detto a chi mi conosce di provenire da una famiglia umile fatta di operai e qualche membro della mia gens faceva la gelsominaia negli anni ’40 e ’50 del 1900. Il gelsomino col suo inebriante odore il suo colore eburneo fece capolino nel Reggino la famosa Riviera dei Gelsomini ma anche nelle aree della Piana di Rosarno. Grazie al clima favorevolissimo, si diffuse anche nella vicina Bruzzano Zeffirio, a Bova Marina e negli altri centri della zona circostante, cioè da Palizzi fino a Siderno. In realtà è probabile che il suo sia stato solo un ritorno, perché il gelsomino non fu ignoto alle antiche popolazioni che abitarono queste terre. Questa storia novecentesca che è legata a queste donne di un’età compresa fra i quindici e i cinquanta anni, le gelsominaie dotate di delicatezza staccavano quel fiore destinato a divenire profumo. Un lavoro durissimo fatto da chi era rassegnato che nella vita nulla è dato per scontato. La loro giornata iniziava alle due del mattino, quando in gruppi raggiungevano i terreni di coltura prima che il sole giungesse a rovinare i teneri fiori, a quell’ora nel massimo del loro profumo. Il gesto correva dalla pianta alla grande tasca sul grembiule, che poi veniva svuotata in ceste di canna o vimini con cui si portavano i fiori alla pesatura. Ogni tanto si fermavano per dissetarsi ed allora i filari di gelsomini si popolavano di ragazzini, i portatori d’acqua fra gli otto e i quattordici anni che porgevano gli orci per il refrigerio. Nelle otto ore di lavoro (si terminava alle 10 del mattino) il profumo si mescolava al canto che scandiva il ritmo delle mani su quei piccoli, fragili, fiori. Immagini dell’epoca ma soprattutto interviste a quelle donne che ci mostrano queste donne chine fra i lunghi filari convergenti verso l’orizzonte ancora immerso nelle brume mattutine, disposti parallelamente per circa un centinaio di metri, da cui ogni giorno venivano raccolte grandi quantità di profumatissimi fiori. Un lavoro immane se si pensa che per farne un chilo se ne dovevano raccogliere circa 7300; eppure v’erano donne capaci di raccoglierne fino ad 11 o 12 chili al giorno. Nelle giornate di pioggia la raccolta diventava particolarmente difficoltosa perché i piedi nudi (le donne usavano lavorare scalze) affondavano nel fango rallentando i movimenti. Eppure resistevano: stanche, provate, ma fiere del loro lavoro. Raccolto con cura questo fiore stellato si conduceva sui carretti agli opifici dove si preparava un semi lavorato: il fiore si pestava si riduceva in poltiglia e poi si spediva in Francia per farne profumi. Era come tanti altri, un lavoro sottopagato e sfruttato. Con la coltura del bergamotto e di altri agrumi, i gelsomini hanno caratterizzato la Calabria costituendo una importante risorsa economica per gli abitanti del luogo e per le migliaia di gelsominaie che a frotte arrivano dagli altri paesi per la raccolta. Grazie a queste donne, quella preziosa materia prima e il nome stesso di Brancaleone viaggiarono per decenni in tutta Europa. Sebbene oggi la produzione sia in via di estinzione a causa degli alti costi, esistono ancora nel borgo calabrese le distillerie in cui si lavoravano il gelsomino e il bergamotto, la cui essenza veniva esportata anche all’estero e utilizzata in profumeria, farmacia, gastronomia e nell’artigianato dolciario. Un successo che si dovette soprattutto a quelle donne temprate dalla vita e dal lavoro, emblematico esempio del carattere indomito delle donne di Calabria. Ad esse va il grato ricordo.
Commenti
Posta un commento
Dimmi cosa ne pensi!