Le farse, antico rito del Carnevale calabrese



di Maria Lombardo
Non ho fatto in tempo a vivere questo antico rito lo dico davvero con amarezza perché l’ultima generazione a viverlo a Nicotera è stata quella degli anni’50. Mio padre però a suo modo mi fa immaginare quello che di bello e costruttivo non ho fatto in tempo a sperimentare. Le farse erano delle scenette scherzose che si mettevano in pratica sotto Carnevale, insomma servivano “ u tindi cacci n’cuna da testa”, magari la miseria della vita quotidiana. Era un modo per tenere in vita gli ultimi “botti” di una festa che stava perdendo la sua ilarità a favore del progresso e del consumo, e gli adulti hanno smesso di mascherarsi per portare le farse. Una tradizione che fu sempre documentata in Calabria fin dal’700 e che riuscì a resistere fino agli anni ’50. Che peccato aver perso questo rito! Alcuni studiosi come Vincenzo Dorsa sostengono che la farsa era praticata nel mondo greco-latino, testo a sfondo ironico che si ricollega al teatro popolare napoletano. Le farse sono così espressioni plebee di teatro. Era atteso proprio per questo il Carnevale per mangiare, ridere e fare scherzi senza che nessuno si offendesse. Tutto questo ben di Dio, durava per tutto il mese di febbraio, mese in cui venivano uccisi i maiali. I ricchi e signori del paese che per dire il vero non avevano mai trascurato le famiglie meno abbienti specie i vecchi e i bambini, in questa circostanza si elargiva con maggiore prodigalità. Ecco che in alcune farse sparse per la Calabria, Carnevale muore per eccesso di cibo simboleggia infatti la paura atavica dei Calabresi di morire di fame. Ecco che Carnevale mentre viene visitato dai medici lamenta di voler mangiare e bere ancora. Insomma vuole morire sazio! Il Carnevale Calabrese inoltre è una” contaminatio” con il Carnevale Napoletano ecco che compare Pulcinella, il Capitano, la Vecchia, il Diavolo – sul modello del Carnevale napoletano -, di Giangurgulo, ma per lo più si ricorreva a mascheramenti semplici e fantasiosi. Si usava di tutto per mascherarsi spesso “all’arrembaggio” stracci, carbone per tingersi, indumenti vecchi e non utilizzati, camici dei riti religiosi, vestiti prestati dai signori erano preziosi per mascherarsi. Le farse non erano recitate da comici di mestiere. Recitava il popolino! E spesso usciva la satira più bella, pungente e poco velate, era il momento giusto per parlare. Le farse non risparmiavano nessuno. Mettevano alla berlina un po’ tutti, signorotti compresi, ma per dire il vero anche loro, i signori, assistevano divertiti. I paesi in cui non si facevano le farse si convogliavano nei posti in cui si praticavano e la satira colpiva inesorabilmente anche loro. Anche le farse erano cultura, una forma sana fatta in dialetto e rigorosamente in piazza. I folkloristi hanno documentato anche in Calabria le diverse fasi teatrali e drammatiche del Carnevale: il processo, il testamento, la condanna, il pianto per la morte, l’uccisione del Carnevale. A conclusione della farsa avveniva il bruciamento del fantoccio di Carnevale, e gli studiosi hanno segnalato il carattere propiziatorio ed esorcistico di tali riti. Attorno al fantoccio di paglia, portato in giro per le vie del paese, incendiato, ballavano la tarantella, al suono di strumenti di vario tipo, i mascherati ed altre persone che partecipavano al rito. Gli anni ’50 ed il benessere acquisito con la forma massiccia di emigrazione fecero perdere questo tassello fondamentale della nostra cultura. Morte nel Carnevale vengono ripescate dalla politica. Dice Vito Teti:” I comizi diventavano delle farse; le parate elettorali somigliavano spesso a un corteo carnevalesco. L’opposizione ai ricchi, agli altri, a chi comandava avveniva con un linguaggio più diretto. L’erosione dell’antica metafora significava soprattutto erosione del linguaggio allusivo, scurrile, liberato messo in atto nel Carnevale. C’era una stretta analogia tra cibo ed eros che emergeva attraverso metafore, allusioni, gesti. Esplodeva il riso carnevalesco, liberatorio e rigeneratore. Anche per questi aspetti la letteratura è vasta. Certo, con la fine del Carnevale, dell’universo contadino tradizionale, si trasformavano i rapporti produttivi, sociali, familiari, tra uomo e donna e tra le persone, e scomparivano dall’orizzonte dei paesi anche le metafore alimentari, sociali, sessuali.” Il vecchio Carnevale quello vero ed autentico di Calabria lascia il posto a nuove forme di Carnevale, abili usare il bisogno di festa della gente.

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