La Ginori di Firenze fin dal 1882 acquistava la pegmatite di Parghelia

di Maria Lombardo
La storia di Parghelia risale al periodo normanno e, a partire dai secoli successivi, si intreccia strettamente con quella di Tropea, di cui Parghelia fu uno dei 23 casali. Ma la società pargheliese, costituita prevalentemente da pescatori, marinai e agricoltori, fu da sempre insofferente alle prepotenze della Tropea nobiliare, insofferenza che sfocerà nel 1647 in un moto popolare che solo l’intervento dell’esercito del Regno riuscirà a sedare. Vari studi concordano nel definire Parghelia come il più grande casato di Tropea a livello militare e il più autorevole a livello culturale. Nel 1799 tre Pargheliesi, Onofrio Colace, Antonio Jerocades e Andrea Mazzitelli, parteciparono alla Rivoluzione Napoletana. Nel 1783 e nel 1905 Parghelia fu colpita da due violenti terremoti: il primo non provocò danni considerevoli, ma il secondo rase completamente al suolo il paese, causando centinaia di morti. Oggi il paese mantiene l’assetto urbanistico della ricostruzione post-sisma (anni ’20) e la sua economia è essenzialmente basata sul turismo. Un tempo specialmente nell’800 l’attività estrattiva della Calabria raggiunse il suo culmine ed interessò anche il comprensorio Briaticese già nel 1837 i materiali estrattivi di questo centro venivano utilizzati per la fabbricazione di stoviglie (artigianato locale e nazionale). I Borbonici furono consci che le cave di Caolino di questa contrada sarebbero state utilizzate per fare ceramiche e porcellane molto rinomate ma dopo un breve periodo abbandonarono il progetto. E’ chiaro che mentre i reali di Napoli non dettero peso a queste cave ci pensò l’ingenier Emilio Cortese capo del Corpo Reale delle miniere d’Italia, nel documentare le ricche geo risorse della Calabria nel XIX secolo. Il noto studioso tra l’altro, scrive: “Nei dintorni di Parghelia, in provincia di Catanzaro, si sviluppano dei grossi filoni di pegmatite, che furono e sono oggetto di una grande industria. La località fu visitata dallo scrivente fin dal 1882, la prima volta, e successivamente egli se ne occupò perché gli pareva assai interessante il materiale nelle sue applicazioni per l’arte vetraria e per la ceramica. Ma pare che questa preziosa materia sia destinata a cader sempre sotto la mano di gente che, o per ignavia, o per cattiva fortuna, non sa trarne tutto il profitto che può dare.” L’industria che il Cortese cita era la Ginori di Firenze che acquistava tutto il ricavato estrattivo per intero ed a prezzi profumatissimi. Il Cortese ci lasciò per i posteri persino il modo in cui il prodotto veniva trasportato dice:”La materia pura è portata a Tropea ed imbarcata su grosse barche a vela. Viene acquistata quasi tutta dal Ginori di Firenze, dopo accurata macinazione. Questa si esegue in Toscana per conto di un intercettatore. Ne vidi, con grande meraviglia, macinare ad un mulino di Val Castello sopra Pietrasanta! Sono filoni entro la grande massa granitica di Monte Poro, e si chiamano pegmatiti per antonomasia, perché realmente si dovrebbero chiamare silici o filoni quarzosi, essendo che di essi ben pochi contengono feldespato.” Era questa la vocazione di Parghelia! Il prodotto varia nel prezzo dal momento che si estrae costa 2 lire a Tropea che viene diviso tra il conduttore delle cave circa 4 lire al quintale. La Ginori invece lo acquista a 6 lire il Cortese chiarisce ogni passaggio con queste parole:”La materia prima si vende a Troppa al prezzo minimo di 2 lire, al massimo di tre lire al quintale, ma costa al conduttore delle cave da 0,70 a 4 lire al quintale. Il trasporto e la macinazione fanno aumentare il prezzo a 6 lire (?) il quintale; è così, mi si disse, che viene a costare allo stabilimento Ginori, o Doccia presso Firenze.” Effettivamente tra i tanti giacimenti disseminati in Italia il colosso della porcellana sceglie proprio le cave di Parghelia dove la materia è straordinariamente pura, specialmente perché scevra di ferro, ed adattissima per le vernici dure di cui la manifattura Ginori fa una sua pregevole specialità. Non tutte le industrie di porcellana a quel tempo era specializzata come la Ginori. Scrive sempre l’ing. Cortese: “Riporto dal mio opuscolo, le analisi di alcuni esemplari, eseguite da me (1859) e dal Dott. G. Giorgis..” E sottolinea :“Se questi giacimenti fossero ben coltivati e i materiali ben preparati sarebbe possibile farne oggetto di una industria fiorente”. Era chiaro che la Calabria si fece sfuggire questa occasione!Nella descrizione del capo del Corpo Reale delle miniere d’Italia non mancano i riferimenti ai fallimenti delle iniziative d’insediamento industriale, ben noti e diffusi nella regione negli ultimi decenni,. Infatti l’ing. Cortese annota: “nel 1891, la Società mineraria per il quarzi e silici d’Italia pareva potesse dare qui, come in altre parti della penisola, largo sviluppo alla produzione e utilizzazione di questi materiali. Travolta anch’essa ai primi del 1893, da una catastrofe bancaria che ha trascinato con sé molte altre cose, i suoi lavori, poco ben piantati, sono rimasti senza frutto”.Nel stesso periodo in cui la Calabria forniva la migliore qualità della materia prima, nello stabilimento della Ginori, venivano realizzati “diversi servizi su ordinazione, di non facile reperibilità oggi sul mercato antiquario, abbastanza simili a quello prodotto su richiesta del re Umberto I nel 1880. Si tratta di una realizzazione di grande raffinatezza, decorata pâte sûr pâte illustrante tralci di piante con fiori e frutta in oro, platino e colori. Questo servizio da dessert per il Re è oggi conservato a Roma nel Palazzo del Quirinale.” Viene dimenticata così questa storia di successo e di futuro migliore. La questione storica è ben diversa quindi da quel che raccontan i neo meridionalisti, dopo l’Unità si continuo a lavorare nel Mezzogiorno, e secondo le tantissime storie rinvenute in Calabria da me. Probabilmente tutta la colpa non fu di Garibaldi.

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