Lo Scalpello di Antonello e la “Pietà” di Soverato

di Maria Lombardo
Lo spettro immaginario delll’usurato scalpello di Antonello Gagini, scultore molto noto in Calabria ,sermbra fornirci qualche notizia su di lui, sulla sua famiglia ed in particolare sulla sua famosa “Deposizione”, di Soverato quì detta “Pietà” frutto, principalmente, della sua abilità tecnica. Antonello, era figlio di Domenico Gagini ,figlio di Pietro e bravo scultore anche lui, il quale era originario di Bissone, nella zona di Lugano, nel canton Ticino, perciò, in Svizzera. Costui sposò, in seconde nozze, una certa Caterina con la quale generò appunto Antonello. Sull’onda della diffusione dell’arte rinascimentale, Domenico arrivò a Palermo nel 1459 dove aprì una bottega proprio con Antonello, e dove si stabilì definitivamente, dal 1463, rimanendovi fino alla morte e guadagnandosi l’appellativo dialettale e confidenziale di “MastruDuminicu ù marmuraru”. Per l’ onore acquisito in vita fu sepolto nella Cappella della Corporazione dei Marmorai -scultori, della Chiesa di San Francesco d’Assisi della stessa città. La Bottega e la sua eredità artistica fu ripresa, come d’uso, da suo figlio Antonello, ai primi di ottobre del 1492.Nel 1498 acquisì il titolo di maestro ed a firmare le sue opere con l’iscrizione:”Opera di Antonello Gagini” vergata, però in latino,forse per emulare gli autori classici. Padre, a sua volta di Giacomo e fratello di Giovanni ,figlio però di primo letto di Domenico, Antonello appartenne, dunque, ai Gagini, una delle maggiori famiglie di scultori operanti in Italia dalla metà del XV secolo a tutto il XVI. Antonello lavorò soprattutto in Sicilia, in Calabria e a Genova. Tra le sue opere giovanili, che risentono dell’influsso di Francesco Laurana, nella cui cerchia di artisti si era inserito anche il padre, si ricorda La Madonna della Scala (Duomo di Palermo). Tra il 1504 e il 1506 fu a Roma, dove collaborò con la bottega di Michelangelo alla tomba di Giulio II. Tornato a Siracusa, realizzò nel 1507 il monumento Cardinas e a Palermo la tribuna del duomo. Tra il 1517 e il 1526 a Palermo mise mano ai mausolei della chiesa di Santa Zita, mentre tra il 1519 e il 1526 realizzò l’altare di San Giorgio per la cappella dei Genovesi nella chiesa di San Francesco. Nel 1529 scolpì la Madonna della Neve per il santuario di Santa Lucia del Mela. Alcune sue opere oggi si possono ammirare presso la Galleria Regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis a Palermo. Anche in Calabria ci sono altre sue opere anche se meno conosciute: la Madonna con Bambino nella bella Chiesa di San Marco a Seminara, la statua della Madonna del Pilar a Sinopoli Superiore e soprattutto il massimo capolavoro calabrese dell’artista la tomba di Jacopo Carafa nella chiesa matrice di Caulonia Superiore, della quale si era previsto il restauro. Appena ventenne a Messina scolpì l’opera in marmo bianco detta la Vergine delle Grazie di incantevole bellezza ed oggi perfettamente conservata nella Cattedrale di Nicotera a destra del presbiterio. Opera sua fu anche il complesso marmoreo della” Pietà”,che è attualmente esposto nella chiesa Matrice Maria Santissima Addolorata di Soverato Superiore in provincia di Catanzaro. Logorato anche dall’intensa attività, Antonello morì a Palermo nel 1536, soli 58 anni,là dove era nato nel 1478. Quanto alla statua della “Pietà” fu ordinata da Padre Francesco Marini da Zumpano, supportato dalla nobile famiglia D’aquino, forse da Don Ladislao, per la chiesa del nuovo Convento agostiniano di S. Maria della Pietà, (i cui ruderi oggi ricadono nel territorio di Petrizzi ma allora era a Soverato) e fu realizzata nel 1521.Anche se non mi si dicevano certe cose io suppongo che il blocco di marmo se lo fece venire da Carrara in cambio di una cospicua derrata alimentare. Di fatti l’arte scultorea non fu solo l’unica fonte di sostentamento economico per i Gagini; ma, anche il commercio e il traffico di prodotti isolani: contratti stipulati fin dal 1468 attestano che Domenico Gagini faceva incetta di zucchero e suoi derivati in quantità da magazzino per taluni committenti nell’ambito dell’ampia cerchia di conoscenze;attività in seguito intrapresa ed allargata col figlio per favorire lo sviluppo di una fitta rete commerciale che prevedeva ingenti flussi di grano, formaggi ed altri generi come il panno ed altre stoffe da rivendere in calabria ed anche al nord, nella riviera di Genova e in lombardia e nella zona dia Carrara, da dove per converso, provenivano i marmi per importarli nell’isola e trarne nuovo guadagno. Questo permetteva di mantenere i familiari e i discepoli, con una vita abbastanza agiata nella terra del sud che li aveva benignamente accolti. Per tanto al povero frate Francesco la statua sarà sicuramente costata come si suol dire “un occhio della testa”. Non perché ho collaborato largamente anch’io ma era una scultura veramente bella, un vero capolavoro insomma: • Il capo della Madre dolcemente reclinato e gli occhi e le labbra sono chiuse; • Nello sguardo della Madre, rivolto verso il Figlio, un composto dolore; • La mano al petto come a custodire i misteri divini e l’amore filiale; • Il Figlio appoggiato sul cuore della Madre; • Il corpo di Cristo non è straziato; • Gesù pare che dorma col capo chino all’indietro, l’occhio velato, le labbra chiuse ma non serrate, le membra rilassate; • Il corpo di Cristo e della Madre scolpiti secondo i canoni classici in un armonico sviluppo delle misure: in altezza, la Vergine (seduta) di m.1,35; il Cristo, obliquamente disteso sulle ginocchia materne, m. 1,65 .E che dire degli originali effetti cromatici? -Un leggero colorito, quasi sfumato per le carni e per gli occhi; -Il manto della Vergine i colore blu con stelle dorate all’esterno, azzurro all’interno; ¬-La barba e i capelli di Gesù, dorati e le ferite contrassegnate da rossicce tracce a mo’ di sangue appena sgorgante; un Capolavoro, insomma. Purtroppo, gravemente mutilata dal terremoto del 1783, onde evitare ulteriori danneggiamenti fu poi trasferita nella chiesa della vicina Soverato dove, ancora oggi la si può ammirare. Fu restaurata nel 1968 nelL’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. Il restauro, secondo me, mal riuscito, ha pure cancellato ogni traccia di cromatismo. La delicatezza e l’eleganza delle parti originali si pongono, così in evidente contrasto con le parti ricostruite, come, ad esempio, il braccio sinistro del Cristo, rigido e privo di grazia. I pezzi ricostruiti furono realizzati con marmi variamente colorati che, ad un povero, vecchio scalpello da marmo come me danno l’impressione di un estetico pataracchio non certo degno di Antonello Gagini, famoso maestro marmoraro ed artista del rinascimento, anche calabrese.

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