IL BRIGANTAGGIO CALABRO 1861 – 1870

    di Maria Lombardo 


      Il Brigantaggio non è stato certo il padre della ‘ndrangheta che già in Calabria in fase embrionale ma c'era, ma espressione dell’esasperazione delle misere condizioni vitali della classe dei contadini e dei pastori che non avevano opzioni diverse: morire per fame o farsi giustizia con le proprie mani visto che dalle istituzioni nessun progresso veniva somministrato. Le condizioni economiche dei contadini calabresi intorno al 1861 in poi erano terribili. L’uomo della campagna era malamente remunerato, oppresso dalla fatica perenne e dura, maltrattato, roso dall’usura e dall’odio verso il nuovo Stato e quello precedente combattuto con ogni mezzo. In nessun paese del mondo il contadino è tanto povero ed infelice quanto in queste contrade del Mezzogiorno. Chiosa così il Giannotta:” egli è macilento, lacero, sudicio, sfinito, triste e muto: il suo sguardo torvo vi dice i suoi rancori contro i suoi oppressori,( …) vi dicono lo stato di avvilimento e di demoralizzazione nel quale è caduto(1). Di diritto il preambolo spetta invece a Vincenzo Padula:” finora avemmo i briganti. Ora abbiamo il Brigantaggio; e tra l’una e l’altra parola corre grande divario. Vi hanno briganti quando il popolo non li aiuta, quando si ruba per vivere e morire con la pancia piena; e vi ha il brigantaggio quando la causa del brigante è la causa del popolo, allorquando questo lo aiuta, gli assicura gli assalti, la ritirata, il furto e ne divide i guadagni. Ora noi siamo nella condizione del brigantaggio”(2).I Briganti dice ancora Giannotta
commettono azioni di guerriglia, anche atroci, ed i soldati Piemontesi rispondono coi massacri, incendi, saccheggi e rappresaglie (3). Fucilano seduta stante, anche per un semplice sospetto, mozzando le teste e le ficcano ai vertici delle pertiche, squartando i cadaveri, ma lo fecero anche i Borbone. Le forze in campo nel 1862 impiegate in Calabria furono molteplici, ma in tutto il Meridione dalla Campania alla Calabria furono 120.000 uomini divisi in: 52 reggimenti di fanteria, 10 reggimenti di granatieri, 5 reggimenti di cavalleria; 19 battaglioni di bersaglieri. Inoltre agli uomini dell’esercito vanno sommati 7489 carabinieri, 83297 guardie nazionali, in totale le forze impiegate per sedare il brigantaggio furono 211.476 uomini. Tuttavia i guerriglieri meridionali erano 135.000 male armati, divisi in 488 bande scoordinate composta ogni una dai 5 ai 900 guerriglieri. Ad essi vanno aggiunti i contadini che informavano gli uomini in armi, le popolazioni che si sono ribellate in massa ed i parroci che fungevano da portalettere tra famiglia e guerriglieri. Tra il 1862 ed il 1870, ancora per capire, ci furono caduti in combattimento 154.850 uomini meridionali, fucilati o morti in carcere ancora 111,520 uomini numeri da capogiro. Non possono inoltre dimenticare i guerriglieri condannati che in tutto furono alla detenzione 328.637, e all’ergastolo 10.760. Sebbene le cose non migliorarono dopo un processo furono condannati 19.870 briganti dopo un processo ma senza processo il numero esubera in 479.000. I soldati Piemontesi invece ebbero poche perdite conteggiate così : caduti in combattimento 21.120, feriti o morti per malattia 1.073 dispersi o disertori 820. Totale perdite Piemontesi furono 23.170 questa la situazione generale per capire il momento storico e politico nelle Provincie dell’ex Reame Delle Due Sicilie. Riporterò a testimonianza di quanto detto in calce la testimonianza dei carabinieri periti per mano Brigantesca in quel lasso di tempo nella nostra Regione:” il 21 aprile 1863 a Borgia nel Catanzarese cade contro un brigante il carabieniere Laverra mentre il carabinier Bellini rivendica con l’uccisione del brigante, il 28 febbraio 1864 cade a Nicastro il Carabiniere Piermattei ucciso dalla banda del
luogo. Il 26 ottobre dello stesso anno cade la banda Acri alias Pelacci questo il telegramma:”il capobanda Acri cessò così di spargere terrore in queste contrade da 3 anni in bande armate con atti di inaudibile ferocia”. 5 giugno 1866 in prossimità di S.Severina cade il carabiniere Lancillotto ma il brigante fu catturato, inoltre il 31 agosto 1866 viene spedito ennesimo telegramma:” la distruzione del brigantaggio calabrese deve essere considerata opera dei carabinieri e delle guardia Nazionale. Continua la carrellata il 17 settembre 1866 cade a Catanzaro il carabiniere Tallarico ed il brigante Vulcano”.
     Di questi tempi calamitosi, si affermò quindi in Calabria il fenomeno dei “fuorilegge”: il brigantaggio calabrese. Il brigante in un momento difficile della sua storia, acquistò un alone leggendario e un potere di riscatto e di difesa per quella categoria sociale, umile ed oppressa, che nel tempo, da sempre aveva subito grossi torti. Poter proteggere il focolare domestico, la famiglia, difendere l’onore delle donne e della Patria, fu una forte necessità. Il rigore delle forca, anziché assottigliare le file dei briganti le ingrossò, per disperazione si sottoposero volontariamente alla forca e alla fucilazione. Dalla posizione infelice, creata dai feudatari dice Raffaella Di Capua, della povera gente ne scaturì empatia e reazione contro di loro, per fargli pagare in altro modo (4).
     I poveri desideravano vendicarsi dalle umiliazioni, subite dai ricchi e talvolta diventavano briganti per sfidarli e piombargli addosso, ricattandoli per avere qualcosa delle proprie ricchezze. Era una guerra dichiarata. Tuttavia nella provincie della Calabria il brigantaggio cronicizza la Di Capua:”non vestiva colore politico”(5). Dopo l’impresa garibaldina, il filoborbonismo, fu una realtà esistente e dilagante, perchè la reazione trovò alimento non solo, nella propaganda svolta dai nuovi padroni ma anche dai problemi scaturiti dalla sottovalutazione dei problemi storici della Calabria. Nell’ estate infuocata del 1861, il 16 di luglio, il capo brigante Luigi Maruca alza un grido disperato attraverso un proclama:” Catanzaresi, alle promesse lusinghiere, successe il disinganno, alla ricchezza la povertà alla libertà la schiavitù”. Tuttavia è Domenico Ficarra a raccontare la situazione con dovizia:” Al disinganno il dolore, solo chi è cieco non vede dove ci hanno condotto i liberali che, portando un cencio rosso, cercarono la pagnotta e l’ebbero, ma fecero il loro scotto. Ci fu il plebiscito ma, nacque il malcontento per la brusca imposizione della legislazione piemontese. La Regione calabrese non ebbe nulla in comune col Piemonte. (…) ,se si analizzano attentamente i programmi ministeriali di Italiano e Storia, relativi all’insegnamento nelle scuole statali notiamo molte carenze e lacune”(11). La repressione del fenomeno brigantesco si inasprirono fino a provocare delle stragi senza eguali, clero e nobiltà filoborbonica furono colpiti: 71 sedi abbandonate, fuggirono principi marchesi perchè il
malcontento divenne guerra. Il Piromalli nella Cronaca del Brigantaggio afferma così:”l’ Italia Meridionale produce frumento nelle pianure, olio nelle valli e briganti nelle montagne”(12). Effettivamente sia la Sila che l’Aspromonte divennero i covi delle “primule rosse”,circondati da impenetrabili foreste, dirupi inaccessibili, la mancanza di strade favoriva poi il tutto. Altro monte caratteristico è la Sila “asilo inviolabile” per i briganti
senza villaggi ma solo foreste. Insomma una terra libera covo di lupi e di avventurieri. Inoltre le parole della Di Capua illuminano la realtà in cui il popolo era caduto:”Il popolo vide nel Piemontese il suo nemico e lo combattè, Garibaldi vi ha promesso carne e pane ma vi tradì, Vittorio Emanuele disse di farvi felice e non mantenne la parola, così furono messi nel disordine (13)”. Il quadro che ne viene fuori dalla consultazione di documenti ed articoli vari, nonché di lettere, pubblicate sui quotidiani, è inquietante per i lettori di oggi. Così come dovette esserlo per gli uomini di allora che subirono tali gesta. Ma la realtà è costituita da una sequela di incredibile di assassini, stupri, rapimenti, furti di bestiame ricatti e riscatti e centri dati al rogo: Strongoli, Zagarise, San Giovanni in Fiore ma molti si salvarono tra la popolazione scappando.
      Ad agire, sono spesso, bande organizzate dalla consistenza anche minima fino al brigante solitario, tre, quattro o cinque persone costituiscono una banda e fanno giuramenti sacrosanti. Tuttavia la classe dirigente calabrese volle l’Unità per sé ma a soffrire doppiamente fu il popolo ed i deboli. Inoltre i briganti sono una piaga da estirpare con ogni mezzo, dall’intervento militare, all’illegalità. Il brigantaggio è una serpe e bisogna estirpare la sua pericolosità. “ I fuorilegge” si camuffano, indossando divise militari per non farsi riconoscere ed agire indisturbati. Fra il 1861 ed il 1866 venne emanata la legge Pica che spazzò via il fenomeno. Tuttavia dopo tale data il dissenso armato restò diffuso e preoccupante, conobbe pericolose impennate fino al 1870 nella nostra terra. Un teatro affollatissimo quello Calabrese tra il’61 ed il ’70 i legittimisti calabresi riuscirono a resistere alla grande, trovando le loro prede nei ricchi che attraversavano l’unica strada calabrese: la Carrozzabile delle Calabrie che da Cosenza giungeva direttamente a Villa San Giovanni. Nella Calabria, la provincia più infestata era Cosenza, il circondario tra Rossano e Longobucco ritenuto luogo di fucina dei briganti. Qui agivano briganti di fama e spesso li si ospitava nei monasteri. Tra i briganti famosi spiccò in Calabria Citra Domenico Straface detto il Palma, di Rossano, operava nel Longobucchese ed era lui il vero re della montagna. Morì povero pur avendo estorto migliaia di ducati con i sequestri. Fu diverso da tutti gli altri briganti incarnava la figura dell’eroe romantico: generoso coi poveri spietato con le spie. Mentre ad arricchirsi furono i suoi manutengoli i suoi informatori tanto è vero che morì per mano di un suo compare il 12 luglio 1869:” lo scannò mentre gli radeva la barba”. Infine lo decapitò per non essere accusato e divise la grossa taglia con i guardiani di un proprietario terriero del luogo. Insidiavano il territorio silano bande, con a capo uomini audaci ed intraprendenti, i quali si sostenevano con forza, inoltre, si distingueva dal comune assassino perchè non aggrediva il viandante per strada. I suoi principi vivere in campagna e sfuggire alla giustizia; d’inverno stava nel suo nascondiglio ma d’estate circolava di più(14). A conti fatti al danno risultò la
beffa, e nelle località tra Cosenza e Catanzaro cronicizza la Di Capua con tali parole:” furono installati tribunali speciali di guerra, i quali in brevissimo tempo e in poche ore giudicavano e condannavano i colpevoli”(15). Rimasero alla storia inoltre capi brigante, conosciuti con i soprannomi: Ferdinando Mittiga detto “Caci” presente nell’abitato di Platì Rc, Domenico Carbone anch’esso di Platì, Benincasa di Rogliano; Paolo Mancuso alias Parafante di Scagliano; Nicola Gualtieri alias Panedigrano di Scigliano; Francatrippa di Rogliano; Pasquale Lisanti alias Quagliarella; Ed infine l’ultimo brigante calabrese Vincenzo Macrini arrestato nel 1872 dai Carabinieri. Ancora oggi sulla sua figura è stato scritto poco, facendo aleggiare un fitto mistero(16). Queste cose narrano le fonti storiche tendenti alla verità storiografica, nel 1868 Giacinto De’Sivo afferma:” i Piemontesi incendiarono non una casa, ma interi paesi, lasciando intere famiglie nella desolazione ,(…) « Briganti noi combattenti in casa nostra, difendendo i tetti paterni, e galantuomini voi venuti qui a depredar l’altrui? Il padrone di casa è brigante, e non voi piuttosto venuti a saccheggiare la casa? » (17)”.
 1. G.Giannotta Da brigante a emigrante: tutta un’altra storia. SBO edizioni pag 174.
2. Vincenzo Padula Il Brigantaggio in Calabria (1864-1865) C. M Padula Editore 1981.
3. G.Giannotta…..opera citata pag 184-85
4. Raffaella Di Capua. I Briganti della Calabria , Passaggio del brigante per Nicotera Edizioni Mapograf V.V. PAG 75.
10. Raffaella Di Capua……opera citata pag 75.
11. Domenico Ficarra, Linee di Storia della Calabria. Edizioni Logos .Conquista sabauda.
12. Vincenzo Padula, Cronache del brigantaggio in Calabria 1864-65 a cura di Antonio Piromalli e Domenico Scafoglio, Athena, Napoli, 1974
13. Raffaella di Capua ivi pag 80.
14. Calabria Letteraria N. 10 11 12 1990 Banditismo e società di Giovanni Pistoia, Calabria letteraria n. 7 8 9 1998 .Questione silana di Mario Pezzi, Ulderico Nisticò, Briganti ed eroi, Calabria Letteraria n 4 5 6, 1980.
15. Raffaella Di Capua Ibidem pag 84. Giacinto De’Sivo Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861 .Napoli 1964.
16. Sitografia www.marialombardo2.tk brano Vincenzo Macrini l’Ultimo Brigante Calabrese.
17.Ibidem.

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