L ‘Abbazia dei tre fratelli a Caccuri una storia di liti tra i frati ortodossi e florensi
di Maria Lombardo
Per ricordare la morte di Gioacchino da Fiore avvenuta il 30 marzo del 1202 voglio farvi “conoscere” una parte della vita del Florense, caratterizzata da lotte per sovrastare il potere dell’abazia dei Tre Fanciulli sita a Caccuri. L’abbazia dei Tre fanciulli di culto greco prende nome dal culto di tre giovani della tribù di Giuda deportati in Babilonia dopo la conquista di Gerusalemme. Trattasi dei compagni di Daniele: Anania, Misaele e Azaria. I giovani divennero personalità in Babilonia ma poiché non adorarono una statua di Nabuccodonosor vennero arsi vivi. Uscirono vivi! In Calabria il monastero a loro dedicato raggiunse l’acme dello splendore, terre e feudi erano di questi monaci. A tal punto che i monaci Florensi entrarono in lite acerrima con i greci proprio per queste terre. L’abate Isaia ed i monaci del monastero dei Tre Fanciulli sollevarono la questione su alcuni loro pascoli e terre a semina, che si trovavano dentro la possessione concessa dall’imperatore al monastero di Fiore. Certo Gioachino li ostacolò in tutti i modi nemmeno l ‘intervento di uomini pii lo placò. Si giunse ad un’ accordo i greci potevano pascolare i loro armenti nei luoghi detti Misocampo e Vulturno mentre per le vacche, le giumente ed i porci diedero il luogo detto Frassineto, pagando però i greci per questi pascoli annualmente quattro solidi d’oro al monastero di Fiore. Gioacchino voleva solo una cosa la latinizzazione dei greci unendoli ad altri monaci del circondario. Si mise nella questione l’arcivescovo di Palermo ma quando convocò i greci nessuno osò presentarsi.La sentenza stabiliva il risarcimento dei danni compiuti dai monaci greci e dagli abitanti di Caccuri e preservava i monaci di Fiore da ulteriori saccheggi ed incursioni. Fino alla morte del Florense vi furono problemi che poi continuarono anche dopo. Ai monaci latini vennero affidati altri declivi e proprio nel ‘400 iniziò il declino dei greci. Con l’introduzione dell’istituto della commenda l’abbazia dell’ordine florense di S. Maria de la Nova, situata fuori le mura di Caccuri, andò ben presto in rovina. I greci la lasciarono deserta e i luoghi sacri si sgretolarono. Le sventure tra i due ordini non finirono e si tentò di ripristinare quel luogo a tutti i costi. I Papi si interessarono a rimettere in piedi il luogo di culto vennero in pochi anni riedificati chiesa ed edifici claustrali. Vennero assegnate alla mensa conventuale la terza parte delle rendite “per il vitto, vestito et altre cose necessarie alli Religiosi”. Intanto l’abbazia divenne dell’ordine cistercense. Però i documenti del’600 si dicono che ivi vivevano due frati che praticavano la povertà. I monumenti per la cronaca erano integri! Fu poi il vescovo di Cariati che ne chiedeva chiusura. La chiesa è destrutta et la casa del Monaco sta mal accomodata, sarebbe forsi bene levar il monaco et trasferire il servo delle messe, che molte volte non se dicono, alla chiesa Matrice della Tra et farle celebrar dalla Comunità de preti, questo temperamento non sarebbe di preiudicio alla Religione, perche l’interesse è di niun momento. Sarebbe di qualche agiuto a questi poveri Preti, si sodisfarebbero le messe et si levarebbe anco qualche nido de Ladri. Sempre lo stesso vescovo ribadirà la richiesta di soppressione dell’abbazia nel 1625 chiedendo al Papa “che il servitio della messa dell’abbadia Paganella di S. Maria Trium Puerorum dell’abate Rodolfo mal servita da un frate di S. Bernardo, si riduchi alla comunità de preti di Caccuri con l’entrata della Mensa, che saranno da trenta ducati lanno incirca, che saria d’utile alla chiesa perché saria servita et di nulla preiuditio all’abbate et si levaria quel nido de ladri”. Dopo il sisma del 1638 venne riparata dall’abate Emanuele Pelusio. Situata a mezzo miglio di distanza dall’abitato, circondato da mura, di Caccuri, “in luogo aperto a canto alla strada Publica”, l’abbazia a metà Seicento era formata dalla chiesa intitolata a Santa Maria della Nova, ricostruita di recente a pianta quadrata di lato palmi 58, con altare maggiore, dove si officiava, e per metà ricoperta da un soffitto a tavole, rifatto dal commendatario. Davanti alla chiesa vi era un ampio cortile circondato da mura dove affacciavano cinque stanze abitabili ed una scoperta, usate per cucina, forno, magazzino e stalla. Al di sopra di queste stavano altre quattro stanze, dove abitavano i monaci ed i la servitù. Accanto, ma fuori delle mura, che circondavano l’abbazia, vi erano tre casette disabitate, costruite “di luto e pietre” ed un terreno che, quando non veniva seminato, serviva ai monaci per il pascolo dei loro animali. Non avendo i requisiti richiesti dalla Costituzione di Innocenzo X il monastero nel 1652 fu soppresso . Rimase la chiesa alla cui manutenzione dovevano pensare gli abati commendatari.
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