Miracoli di Calabria: Il miracolo di San Fortunato
di Maria Lombardo
Verso la metà del mese di aprile del 1777 a Don Aniceto Lentini, nobiluomo di Chiaravalle in provincia di Catanzaro, figlio di Don Michelangelo, di anni 47 circa, comparve sulla gamba destra una fastidiosa erisipela la quale di giorno in giorno andava sempre più malignandosi al punto che la gamba gli si era gonfiata alquanto e la zona colpita dal male, dapprima rosso-violaceo, divenne quasi nera e la vasta lividura gli procurava bruciore e dolori sempre più insopportabili riducendo di parecchio la sua mobilità. Si fece visitare dai medici paesani i quali concordarono che era cosa molto pericolosa e difficile da curare a quel tempo. Evidentemente alcuni trattamenti con le solite erbe mediche o qualche altro rimedio empirico aveva dato risultati vani se non addirittura contrari alla guarigione. Allo stato delle cose sua moglie e le altre persone della sua casa, temendo per la sua vita, si disposero, con
fede, ad intense preghiere facendo voti al glorioso martire san Fortunato, di cui l’ intero corpo esanime si trovava venerato nella Cattedrale di Mileto. Lo stesso Don Aniceto promise di fargli visita e di portagli un cero quale segno di devozione. Ed in fatti, solo pochi giorni dopo dall’espressione del voto, Don Aniceto ottenne la grazia ad intercessione di detto Santo in modo che si ritrovò perfettamente sano nella gamba malata e fu considerato fuori da ogni pericolo. Di tale sua esperienza ne erano stati informati Domenico Dell’Apa, figlio di Michele, di anni 50, e Domenico Catricalà, figlio di Felice, di anni 33, ach’essi di Chiaravalle, i quali si offrirono di accompagnare il miracolato amico a Mileto come fidati testimoni del prodigioso fatto. E così, Don Aniceto, procurato un grosso cero, si mise in viaggio, con i due compagni, diretto a Mileto. E là, nell’antica cattedrale, sostarono, ringraziando, di fronte alla statua del Santo offrendo il cero votivo e visitarono i resti mortali del miracoloso taumaturgo. Seppero essere quegli, un’ ignoto martire cristiano dell’antica Roma, al quale, secondo l’usanza, era stato imposto da Pio VI il nome di Fortunato (a voler significare che fortunati e non altro dovevano essere giudicati coloro che avevano affrontato il martirio in difesa ed a testimonianza della propria fede in Cristo)e che le sue reliquie erano giunte a Mileto proprio il 2 marzo di quello stesso anno, giorno che, da allora, fu votato alla commemorazione della sua traslazione, mentre la festività vera cadeva nella seconda domenica di settembre. I resti di San Fortunato provenivano dall’antico cimitero romano di Santa Ciriaca (o Agro Verano), dove furono rinvenuti, assieme ai corpi di numerosissimi martiri dei primi secoli del cristianesimo. Essi erano venerati da moltissimi fedeli ,non solo miletesi. Le sacre spoglie del Martire Fortunato erano state raccolte in un’arca di cristallo e di legno dorato (la stessa entro la quale furono trasportate a Mileto).La grande urna era contenuta entro un’ edicola fatta con pregevoli marmi colorati situata nella navata sinistra di quel duomo. Il corpo era disteso sul fianco destro, col busto alquanto sollevato ed il capo poggiante sulla mano destra chiusa con le dita serrate; esso era tutto rivestito di preziosi abiti e paramenti ed aveva accanto la spada e la rituale ampolla intinta di sangue; con la sinistra impugnava il simbolo della gloria conseguita, la palma del martirio. Il dono dei resti del Martire Fortunato fu accompagnato da una lettera testimoniale del cardinale Marco Antonio Colonna: essa un tempo era custodita nella medesima arca lignea del Santo, mentre in seguito fu inserita fra i documenti dell’archivio capitolare della chiesa cattedrale. Quindi, Don Aniceto e i suoi due amici con sacro giuramento deposero sull’intervento miracoloso di San Fortunato al Vicario Generale Francesco Lupo che ne stese una breve relazione che il Catricalà confermò apponendo il segno di croce. Era il 12 maggio 1777.Poi se ne tornarono a Chiaravalle dove, Don Aniceto, riprese a vivere una vita normale
fede, ad intense preghiere facendo voti al glorioso martire san Fortunato, di cui l’ intero corpo esanime si trovava venerato nella Cattedrale di Mileto. Lo stesso Don Aniceto promise di fargli visita e di portagli un cero quale segno di devozione. Ed in fatti, solo pochi giorni dopo dall’espressione del voto, Don Aniceto ottenne la grazia ad intercessione di detto Santo in modo che si ritrovò perfettamente sano nella gamba malata e fu considerato fuori da ogni pericolo. Di tale sua esperienza ne erano stati informati Domenico Dell’Apa, figlio di Michele, di anni 50, e Domenico Catricalà, figlio di Felice, di anni 33, ach’essi di Chiaravalle, i quali si offrirono di accompagnare il miracolato amico a Mileto come fidati testimoni del prodigioso fatto. E così, Don Aniceto, procurato un grosso cero, si mise in viaggio, con i due compagni, diretto a Mileto. E là, nell’antica cattedrale, sostarono, ringraziando, di fronte alla statua del Santo offrendo il cero votivo e visitarono i resti mortali del miracoloso taumaturgo. Seppero essere quegli, un’ ignoto martire cristiano dell’antica Roma, al quale, secondo l’usanza, era stato imposto da Pio VI il nome di Fortunato (a voler significare che fortunati e non altro dovevano essere giudicati coloro che avevano affrontato il martirio in difesa ed a testimonianza della propria fede in Cristo)e che le sue reliquie erano giunte a Mileto proprio il 2 marzo di quello stesso anno, giorno che, da allora, fu votato alla commemorazione della sua traslazione, mentre la festività vera cadeva nella seconda domenica di settembre. I resti di San Fortunato provenivano dall’antico cimitero romano di Santa Ciriaca (o Agro Verano), dove furono rinvenuti, assieme ai corpi di numerosissimi martiri dei primi secoli del cristianesimo. Essi erano venerati da moltissimi fedeli ,non solo miletesi. Le sacre spoglie del Martire Fortunato erano state raccolte in un’arca di cristallo e di legno dorato (la stessa entro la quale furono trasportate a Mileto).La grande urna era contenuta entro un’ edicola fatta con pregevoli marmi colorati situata nella navata sinistra di quel duomo. Il corpo era disteso sul fianco destro, col busto alquanto sollevato ed il capo poggiante sulla mano destra chiusa con le dita serrate; esso era tutto rivestito di preziosi abiti e paramenti ed aveva accanto la spada e la rituale ampolla intinta di sangue; con la sinistra impugnava il simbolo della gloria conseguita, la palma del martirio. Il dono dei resti del Martire Fortunato fu accompagnato da una lettera testimoniale del cardinale Marco Antonio Colonna: essa un tempo era custodita nella medesima arca lignea del Santo, mentre in seguito fu inserita fra i documenti dell’archivio capitolare della chiesa cattedrale. Quindi, Don Aniceto e i suoi due amici con sacro giuramento deposero sull’intervento miracoloso di San Fortunato al Vicario Generale Francesco Lupo che ne stese una breve relazione che il Catricalà confermò apponendo il segno di croce. Era il 12 maggio 1777.Poi se ne tornarono a Chiaravalle dove, Don Aniceto, riprese a vivere una vita normale
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