Le bellezze storiche ed architettoniche di Motta Filocastro
A pochi minuti da Nicotera costeggiando la strada provinciale che porta a Limbadi, è possibile notare abbarbicato su una collina verdeggiante Motta Filocastro, per noi tutti “a Motta. Uno dei tanti borghi strategici voluti dai Normanni. Effettivamente la lungimiranza Normanna permetteva la scelta “ad hoc”di questi posti in altura, per poter osservare e monitorare il territorio. Non a caso dalla Motta si domina l’intera Valle del Mesima e tutta la Piana di Gioia Tauro senza dimenticare la sconfinata visuale del mare dove le acque calabre incontrano quelle sicule. Di antichissimi natali questo borgo ultramillenario venne rifondato e fortificato dai Normanni. Fu l’arrivo Normanno però cge mutò la situaziome!
Cambiarono le cose fecero, erigere un castello con 12 torri e dei conventi. Mentre le case, di stile antico, sono addossate le une alle altre, secondo una tecnica consueta nel medioevo. Molte abitazioni non hanno fondamenta e poggiano le strutture di base su una dura e compatta roccia di colore rossastro: “pirrera”. Infatti l’assetto voluto dai Normanni è visibile anche oggi. Tutto è rimasto immutato! Ecco che a Motta Filocastro con i Normanni cominciavano a circolare molti funzionari e persino il Papa Urbano II. Stessa situazione, si mantenne con gli Svevi, i quali concessero a Motta enormi privilegi e molta libertà. Motta in quel periodo si organizzò in Repubblica autonoma! Tutto veniva amministrato da 24 « Cavalieri di cappa e spada » che si riunivano per discutere dei problemi importanti nel «Tocco». Con gli Angioini il Meridione tornò alle frammentazioni e dovette intervenire Corradino di Svevia a sanare la situazione. Alla notizia della sua venuta molti paesi della Sicilia e della Calabria insorsero in suo favore. Motta Filocastro e Nicotera si rivoltarono ai funzionari angioini. A capo dei disordini si mise Rinaldo Ipsierò di Nicotera. Nel 1418 Francesco Sforza, Duca di Milano, sposava Polissena Ruffo, vedova di Giacomo Mailly, la quale portava in dote i feudi di Motta Filocastro, Nicotera, Calimera, Policastro, Rossano, Seminara, Briatico e Mesiano, come erede di Ceccarella di San Severino. Questa enorme proprietà rendeva annualmente ventimila ducati di reddito, ma il popolo soffriva la fame. Morta Polissena per mano ignota successe Covella, baronessa di Nicotera, donna di forte carattere. L’economia di Motta Filocastro era basata sul gelso e sulla seta ma fu un breve periodo sotto Re Ferrante. Motta poi passò sotto vari Signorotti locali prima Francesco di San Giorgio di Calimera con « lo feudo de’ Paterniti » poi Giovanni Giacomo Trivulzio, per essersi distinto in battaglia. Nel ‘500 passò a Pignatelli di Monteleone che edificarono Chiese.Alla fine del 1600 Motta doveva avere un nucleo urbano di discrete proporzioni, era dotata di un ospedale che serviva ai poveri e ai pellegrini e aveva giurisdizione sui villaggi. Mura e porta circondavano l’abitato e venivano sbarrate la sera per protezione. « La Motta Filocastro tenia soldatos effectivos no se ha embarcado 16; dui moschetti et quattro archibuggi ».Questo piccolo esercito si distinse nel 1638 quando i Turchi invasero Nicotera. II Mastro di Campo Giovanni Tommaso Blanch per l’occasione ordinò alle terre di Mesiano e Filocastro di andare in aiuto della città di Nicotera. Così scriveva ai responsabili delle Marine di Rosarno e di Gioia:« Benché da noi nell’arrivo in questa Provincia si siano fatte le proviste necessarie per la Guardia e custodia delle Torri e marine di quelle et in particolare per le Torri di Rosarno et Gioia, e Città di Nicotera per il sospetto si teneva di galere di nimici incaricando la custodia della marina di detta Città di Nicotera al Capitano Mauritio Cesareo che lo è della nuova militia a piedi del Dipartimento di quella fin tanto che la S.E. fosse altrimente provisto con ordine sia soccorso dalle Terre di Mesiano et Filocastro come luoghi più convicini havemo ricevuto aviso dal detto Capitan Mauritio che domenica 20 del presente nella marina della detta città di Nicotera siano arrivate quindeci Galere turchesche et disbarcato una quantità di Turchi, quali battessero danneggiato detta città senza se li fosse fatta resistenza veruna dalli Terrazzani di essa havendo atteso a salvare le loro donne figlioli et robe… ».Inoltre per avere riscontro di quanto narrano le fonti storiche in calce, basta visitare il borgo e comprenderne i toponimi. Ecco che esiste una Via Castello ossia la strada che un tempo portava al maniero. La Judeca dove nel XII sec. dimoravano gli ebrei. Giardino della corte e fontana vecchia era l’unica fonte che riforniva di acqua il paesello. Vi è la porta dell’Olmo e la pietra di Fabio che raccontano alcuni avvenimenti del passato. Entrando nel piccolo borgo la storia può essere “toccata con mano” ed al gentile visitatore è possibile scrutare meraviglie immutate nel tempo. Si può iniziare l’excursus breve ed intenso nei luoghi cultuali come la Chiesa di Maria SS. Della Romania, costruita tra il 1628 e il 1748 in stile barocco, non a caso il luogo scelto è quello visto in sogno dai fedeli. L’Interno a due navate è di una bellezza incantevole tra fregi e stucchi e resa particolare dalla statua della Madonna di Romania, raro esempio di Vergine nera. All’interno della chiesa troviamo un antico fonte battesimale.Santuario della S. Croce. Importante è la Chiesa dei Sacri Cuori di Gesù e Maria in stile barocco dove è gelosamente custodita la Sacra effige dei Santi Cosma e Damiano opera di una scuola napoletana. Chiesa semplice con una sola navata sono conservati una tela del Russo pittore Nicoterese e un dipinto del Mantagnese sul soffitto in legno. Fuori il piccolo centro c’è la chiesa di monte di S. Croce prende il nome dal colle sul quale sorge e dove anticamente vennero reperiti una croce e dei ruderi sacri. La facciata della chiesa è semplicissima con portale inserito in una struttura muraria leggermente aggettante. Sull’altare è stato sistemato un crocefisso portato intorno alla metà del XX sec. Da Madre Giovanna F.sca Ferrari, fondatrice dell’ordine francescane del verbo incarnato. In località Braghò immersi in una fitta vegetazione vi sono i resti del Monastero di San Giovanni edificato dai monaci basiliani intorno al IX sec., nelle vicinanze si trova una grotta scavata nella pietra che probabilmente è stata l’abitazione del primo monaco vissuto da eremita due secoli prima, le rovine dell’impianto del convento evidenziano grosse e fortificate mura realizzate con pezzi di pietra calcarea e mattoni d’argilla, materiale assai abbondante in zona.
Cambiarono le cose fecero, erigere un castello con 12 torri e dei conventi. Mentre le case, di stile antico, sono addossate le une alle altre, secondo una tecnica consueta nel medioevo. Molte abitazioni non hanno fondamenta e poggiano le strutture di base su una dura e compatta roccia di colore rossastro: “pirrera”. Infatti l’assetto voluto dai Normanni è visibile anche oggi. Tutto è rimasto immutato! Ecco che a Motta Filocastro con i Normanni cominciavano a circolare molti funzionari e persino il Papa Urbano II. Stessa situazione, si mantenne con gli Svevi, i quali concessero a Motta enormi privilegi e molta libertà. Motta in quel periodo si organizzò in Repubblica autonoma! Tutto veniva amministrato da 24 « Cavalieri di cappa e spada » che si riunivano per discutere dei problemi importanti nel «Tocco». Con gli Angioini il Meridione tornò alle frammentazioni e dovette intervenire Corradino di Svevia a sanare la situazione. Alla notizia della sua venuta molti paesi della Sicilia e della Calabria insorsero in suo favore. Motta Filocastro e Nicotera si rivoltarono ai funzionari angioini. A capo dei disordini si mise Rinaldo Ipsierò di Nicotera. Nel 1418 Francesco Sforza, Duca di Milano, sposava Polissena Ruffo, vedova di Giacomo Mailly, la quale portava in dote i feudi di Motta Filocastro, Nicotera, Calimera, Policastro, Rossano, Seminara, Briatico e Mesiano, come erede di Ceccarella di San Severino. Questa enorme proprietà rendeva annualmente ventimila ducati di reddito, ma il popolo soffriva la fame. Morta Polissena per mano ignota successe Covella, baronessa di Nicotera, donna di forte carattere. L’economia di Motta Filocastro era basata sul gelso e sulla seta ma fu un breve periodo sotto Re Ferrante. Motta poi passò sotto vari Signorotti locali prima Francesco di San Giorgio di Calimera con « lo feudo de’ Paterniti » poi Giovanni Giacomo Trivulzio, per essersi distinto in battaglia. Nel ‘500 passò a Pignatelli di Monteleone che edificarono Chiese.Alla fine del 1600 Motta doveva avere un nucleo urbano di discrete proporzioni, era dotata di un ospedale che serviva ai poveri e ai pellegrini e aveva giurisdizione sui villaggi. Mura e porta circondavano l’abitato e venivano sbarrate la sera per protezione. « La Motta Filocastro tenia soldatos effectivos no se ha embarcado 16; dui moschetti et quattro archibuggi ».Questo piccolo esercito si distinse nel 1638 quando i Turchi invasero Nicotera. II Mastro di Campo Giovanni Tommaso Blanch per l’occasione ordinò alle terre di Mesiano e Filocastro di andare in aiuto della città di Nicotera. Così scriveva ai responsabili delle Marine di Rosarno e di Gioia:« Benché da noi nell’arrivo in questa Provincia si siano fatte le proviste necessarie per la Guardia e custodia delle Torri e marine di quelle et in particolare per le Torri di Rosarno et Gioia, e Città di Nicotera per il sospetto si teneva di galere di nimici incaricando la custodia della marina di detta Città di Nicotera al Capitano Mauritio Cesareo che lo è della nuova militia a piedi del Dipartimento di quella fin tanto che la S.E. fosse altrimente provisto con ordine sia soccorso dalle Terre di Mesiano et Filocastro come luoghi più convicini havemo ricevuto aviso dal detto Capitan Mauritio che domenica 20 del presente nella marina della detta città di Nicotera siano arrivate quindeci Galere turchesche et disbarcato una quantità di Turchi, quali battessero danneggiato detta città senza se li fosse fatta resistenza veruna dalli Terrazzani di essa havendo atteso a salvare le loro donne figlioli et robe… ».Inoltre per avere riscontro di quanto narrano le fonti storiche in calce, basta visitare il borgo e comprenderne i toponimi. Ecco che esiste una Via Castello ossia la strada che un tempo portava al maniero. La Judeca dove nel XII sec. dimoravano gli ebrei. Giardino della corte e fontana vecchia era l’unica fonte che riforniva di acqua il paesello. Vi è la porta dell’Olmo e la pietra di Fabio che raccontano alcuni avvenimenti del passato. Entrando nel piccolo borgo la storia può essere “toccata con mano” ed al gentile visitatore è possibile scrutare meraviglie immutate nel tempo. Si può iniziare l’excursus breve ed intenso nei luoghi cultuali come la Chiesa di Maria SS. Della Romania, costruita tra il 1628 e il 1748 in stile barocco, non a caso il luogo scelto è quello visto in sogno dai fedeli. L’Interno a due navate è di una bellezza incantevole tra fregi e stucchi e resa particolare dalla statua della Madonna di Romania, raro esempio di Vergine nera. All’interno della chiesa troviamo un antico fonte battesimale.Santuario della S. Croce. Importante è la Chiesa dei Sacri Cuori di Gesù e Maria in stile barocco dove è gelosamente custodita la Sacra effige dei Santi Cosma e Damiano opera di una scuola napoletana. Chiesa semplice con una sola navata sono conservati una tela del Russo pittore Nicoterese e un dipinto del Mantagnese sul soffitto in legno. Fuori il piccolo centro c’è la chiesa di monte di S. Croce prende il nome dal colle sul quale sorge e dove anticamente vennero reperiti una croce e dei ruderi sacri. La facciata della chiesa è semplicissima con portale inserito in una struttura muraria leggermente aggettante. Sull’altare è stato sistemato un crocefisso portato intorno alla metà del XX sec. Da Madre Giovanna F.sca Ferrari, fondatrice dell’ordine francescane del verbo incarnato. In località Braghò immersi in una fitta vegetazione vi sono i resti del Monastero di San Giovanni edificato dai monaci basiliani intorno al IX sec., nelle vicinanze si trova una grotta scavata nella pietra che probabilmente è stata l’abitazione del primo monaco vissuto da eremita due secoli prima, le rovine dell’impianto del convento evidenziano grosse e fortificate mura realizzate con pezzi di pietra calcarea e mattoni d’argilla, materiale assai abbondante in zona.
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