Il coraggio calabrese di Cecilia Faragò: l’ultimo processo di stregoneria nella Calabria Borbonica






di Maria Lombardo
Non è una storia da 8 marzo quella che oggi voglio raccontarvi ma storie di donne fiere caparbie e calabresi. Ho deciso di raccontarla proprio oggi perchè tra qualche ora si celebrerà la notte delle streghe. Questa storia deve fare riflettere! Donne figlie di una terra fiera che hanno avuto il potere di cambiare la storia. La difesa della libertà è un requisito fondamentale per certe donne, che decidono di opporsi ad un contesto difficile, fatto di pregiudizi, di obbedienza cieca a regole prestabilite e di rassegnazione. Una Calabria che per alcuni versi somiglia a quella di oggi e di cui voglio farmi portavoce attraverso la vita ed il sacrificio di donne come Cecilia perchè anche io mi sento “disobbediente” ad alcune regole che tendono a limitare la libertà. Siamo nel 1770 nella zona tra Simeri Crichi e Zagarise nel Catanzarese. La Calabria Ultra era la regione più povera del Regno di Napoli e la sua economia era basata essenzialmente sull’agricoltura e sulla pastorizia, oltre che su forme residuali di manifattura, come quella della seta e della lana. Gli uomini vestivano di pilusedda (orbace), calzavano i cioci e portavano il tipico cappello a cono. Il numero degli ecclesiastici era esorbitante e rappresentava una concentrazione patrimoniale grandiosa, addirittura più cospicua di quella feudale. Cecilia venne accusata di stregoneria e prima di questo visse il lutto del marito Lorenzo e del figlio. Un vortice di cocenti delusioni e problemi da cui Cecilia ne uscì vincitrice. Cecilia tanto per puntualizzare fu l’ultima donna tacciata di stregoneria e poi processata sotto il Regno di Napoli. Questa donna è solo una contadina legata ai suoi averi una misera fattoria e forse l’uso delle erbe che ogni donna calabrese conosceva. Una donna disposta a non cedere i suoi beni alla Chiesa. La giustizia si era appigliata a queste misere notizie per farne un processo. La storia di Cecilia fece breccia nel cuore di Giuseppe Raffaeli giovane avvocato di Catanzaro che leggendo le memorie della sua assistita riuscì a farla assolvere perchè innocente ed inoltre annullò prove fittizie sostenendo che il suo era un sapere “folkloristico”. Fu un vero successo che carpì l’attenzione del Re Ferdinando IV e del primo ministro Tanucci ad abolire il reato di “Maleficium” nel suo Regno. Un successo tutto targato Calabria Ultra e di cui si parlò a lungo. Da questa storia si può intuire come si doveva vivere al tempo e come la condizione delle donne fosse di sottomissione e privazioni. Torniamo alla storia di Cecilia l’Inquisizione era molto in uso nel periodo in cui visse chiunque intralciasse la chiesa nel suo cammino di conquista del potere o di possedimenti, veniva eliminato. Anche una donna che osò sfidare il potere era un motivo da temere, non fu affatto difficile accusarla di essere una strega e farla incarcerare incolpandola anche di omicidio. Furono due prelati ad incastrarla Don Vecchitti e Don Biamonte per aver ucciso con una malia il parroco Ferrajolo nulla valsero le posizioni del figlio Sebastiano monaco francescano, Cecilia venne incolpata da due loschi figuri di sortilegi da una prostituta ed un “sampaularo” e dalla sua casa sequestrata qualche erba usata da tutti. Una storia davvero incredibile una contadina calabrese riesce a far ravvedere il Re di Napoli, una storia che meritava un mio racconto dopo che altri artisti ne hanno parlato.

Commenti

  1. La vicenda di Cecilia Faragò si svolse interamente a Soveria Simeri.

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