Le Palme di Bova: Le Pupazze

di Maria Lombardo
Siamo nella Bovesia la zona meridionale della Calabria, l’area Grecanica aspromontana tanto per intenderci. Qui da secoli si svolge per la domenica delle Palme un rito antico e per alcuni versi sconosciuto: il rito delle Pupazze. Tuttavia mentre tutta la Calabria si allinea alla tradizionale benedizione di palme e ulivi, Bova pratica questo rito carico di fascino e curiosità. A partecipare a questo rito è tutta la collettività che carica di identità culturale rievoca con orgoglio e condivide questo sapere antico. Le pupazze di Bova non sono altro che figure femminili intrecciate di canne e foglie di ulivo adornate di fiori e frutti. La si decora con nastri colorati, merletti, rami di mimosa e margherite bianche e gialle e altri fiori spontanei e poi frutta in abbondanza. Alcune figure sono abbellite da orecchini a forma di minuscolo paniere o altri monili. Ci sono figure molto grandi e altre più piccole, che vengono definite “madri” e “figlie”, nel segno dell’evocazione del mito greco (Demetra e Kore-Persefone) e, durante la processione, il sacerdote introduce l’evento con una riflessione. Queste creazioni folkloristiche della Bovesia vengono portate in processione per le vie del Borgo ed una volta giunti a San Leo, vengono offerte ai fedeli che li smembrano. Anche il rito dello smembramento è antico, ogni fedele fa a gara ad aggiudicarsi un pezzetto di pupazza da portare come buon augurio o nella propria casa o nella masseria. Una zona ancestrale ma anche molto attrattiva quella di Bova in tutto il suo sapere antico tramandato probabilmente dai Greci ci porta a ritrovare queste pupazze smembrate utilizzate per “sfumicari”, cioè togliere il malocchio dalla casa, compresi i suoi abitanti. Questo rito si celebra ponendo su una brace ardente tre grani di sale e quattro foglioline benedette, disposte a croce. Il fumo che si innalza dalla brace incensa l’ambiente, accompagnato dalla recita della seguente preghiera: “A menza a quattru cantuneri nci fu l’Arcangelu Gabrieli, du occhi ti docchiaru, tri ti sanaru. Lu Patri, lu Figghiu, lu Spiritu Santu. Tutti li mali mi vannu a mari e lu beni mi veni ccani. Lu nomu di San Petru e lu nomu di San Pascali, lu mali mi vai a mari lu beni mi veni ccani”. I ramoscelli benedetti, anche se vecchi di un anno, conservano intatta la loro sacralità, pertanto per disfarsene non vengono buttati nella spazzatura ma vengono inceneriti nel fuoco. La curiosità però mi spinge a indagare a scavare nel remotissimo passato di queste contrade, ricordo però con esattezza che anche i preistorici evocavano la “Madre Terra” (“Mana Ji” nel greco di Bova) con riti propiziatori delle messi e della fertilità: in tutta la cultura contadina del Sud Italia ancora affiorano tracce di simili culti ancestrali. Ma il rito che si ripete annualmente a Bova è speciale perchè le figure femminili, spesso giunoniche, ci ricordano il mito greco di Persephone e di sua madre Demetra, dee che presiedevano all’agricoltura. Una manifestazione che non ha eguali e che attira fior fiore di studiosi proprio per la singolarità dell’evento. Bova diventa un paese laboratorio in cui il mito diventa rito. Poche famiglie alimentano con orgoglio il percorso millennario delle Persefoni, tre generazioni intente da giorni a raccogliere, sfrondare, intrecciare, abbinare colori e forme, definire i dettagli e ammirare l’effetto. La processione delle Persefoni rappresenta il passaggio dalla morte alla vita, dal silenzio alla voce, dall’oblio alla memoria. Che l’Unesco si ricordi al più presto di annoverarla nei Patrimoni Immateriali dell’Umanità.

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