Il filosofo calabrese Galluppi contro il governo Borbonico: “mi perseguiti pure il governo, purché mi lasci insegnare, ché io insegnando gli fo la maggiore guerra, formo voi altri giovani, che un giorno sarete colti, onesti, generosi e suoi nemici”.




 

di Maria Lombardo 


 

Ho già parlato della vita del filosofo di Tropea e di tutte le peripezie affrontate per insegnare fino alla sua cospirazione contro il regime Borbonico.Nel brano delle Ricordanze dedicato al Galluppi - la storia del coltissimo ma ingenuo e orgoglioso filosofo che, partito dalla natia splendente Tropea, si presenta direttamente al ministro di Polizia di Ferdinando II per reclamare la nomina alla cattedra di Logica e Metafisica nell’università napoletana, ormai priva di titolare da cinque anni - il climax è rappresentato, da un lato, dalla fiera e stizzita replica del Galluppi (riportata dal Settembrini, con compiaciuta e autobiografica competenza, rigorosamente in dialetto calabrese) alle boriose ma legittime obiezioni del ministro borbonico; d’altro canto, dall’effetto che l’avvenimento ebbe sull’ambiente intellettuale partenopeo, nel quale Galluppi era da molti conosciuto e stimato. Certo il filosofo calabrese ebbe davvero da penare! L’Università di Napoli è stata sempre una grande scuola gratuita di studi professionali, dove gli studenti sono liberissimi di entrare e di uscire o di non andarvi affatto; e pochissimi ci vanno. Chiunque si presentava e pagava la tassa, e faceva gli esami,  ed era approvato, aveva il suo diploma. Il governo ebbe sempre paura di radunare in un solo luogo le molte migliaia di giovani, che da tutto il Regno convenivano a Napoli a studiare, e perciò non li obbligava ad assistere ai corsi e  li lasciava sparpagliare nelle scuole private, e teneva l’Università come a pompa, perché c’era stata sempre, e non altro che un’officina da sfornare dottori. Insomma era bella ma non ballava quell’Università! Un gran male i giovani non si conoscevano e poi per insegnare, ci voleva il permesso della Polizia, ma zitto zitto se ne faceva anche senza, per un otto dieci giovani, che non parevano. Questo libero insegnamento  ha salvati dall’ultima servitù, dalla servitù del pensiero molti giovani. Poi quei professori così tartassati  avrebbero onorato ogni università di Europa, come Pasquale Galluppi per fare esempio. Raramente i professori erano scelti per meriti; ordinariamente per concorso, specie di giuoco che non dà mai il migliore. E poi il governo circondato sempre da spie, da adulatori, e da quelli che usano il sapere a tristizie, non conosceva i valori onesti, o se li conosceva li aveva sospetti per politiche opinioni, e li escludeva anche dai concorsi: onde spesse volte le cattedre erano date a sfacciati ciurmadori. Singolare fu il modo in cui il barone Pasquale Galluppi di Tropea, cittadella di Calabria, venne nominato professore. Scrisse un Saggio critico su le conoscenze umane, che stampato in Messina, fu conosciuto poco in Italia, e levò alto il nome del Galluppi in Francia e in Germania. Essendo vacante la cattedra di filosofia nell'università, gli amici lo consigliarono e la sua coscienza lo persuase a chiederla. Venne in Napoli, andò dal ministro dell'interno, gli presentò il libro, e chiese la cattedra. Gli risposero che avrebbe dovuto fare l’esame scrive il Settembrini che il filosofo aggiunse:”E cu c'è a Napoli che po' esaminari Pasquale Galluppi?. Venne beffato dal ministro dicendo che un vecchietto calabrese e mezzo matto era andato a chiedergli la cattedra, e tutto ringalluzzito gli aveva detto non ci essere in Napoli chi potesse esaminarlo. Eppure era  il primo filosofo vivente d'Italia. Sua Eccellenza cadde dalle nuvole: s'informò da altri, udì lo stesso, e lo pregarono desse quest'ornamento all'università di Napoli. Riggirato come un calzino fu trovato pulito ma la polizia in quel caso fu poco scrupolosa. Il filosofo fu arrestato e detenuto a Pizzo per essere stato giacobino.Tutti i giovani poi andarono a udire la sua prolusione, e poi le lezioni che egli appollaiato su la cattedra dettava con l'accento tagliente del suo dialetto! I napoletani dicevano che era  barbaro nel parlare; ma in quel parlare era una forza di verità nuove, ma l'ingegno era grande, e il cuore quanto l'ingegno.Aveva contestato l’istituzione sotto il nuovo governo della censura preventiva sui libri religiosi e il divieto di farne entrare nel regno di contrari al cattolicesimo: “nuove catene”, le definì allora, legittimamente, il filosofo tropeano, come tali incompatibili col nuovo regime di libertà. Ci fu un periodo dove il tropeano vedendo l’operato di Ferdinando II si era rasserenato, ma durò poco Ferdinando dopo cinque anni si uniformò ai suoi precedessori. Ecco che la parte più retriva della cultura napoletana riuscì a organizzare una vera e propria campagna diffamatoria contro la nomina del barone tropeano all’università partenopea, fino alla pubblicazione di un libello in cui si definiva la sua filosofia “perniciosissima, soporifera, mortale”; evidentemente fu proprio l’influenza di “tutte le colte persone”, come le ha definite Settembrini, e la volontà di mostrare moderazione da parte del governo dell’appena insediato Ferdinando II, che infine consentirono al filosofo calabrese di ottenere la desiderata cattedra - dove un tempo aveva insegnato Antonio Genovesi - e di poter dunque tornare nella capitale.  E così nel 1831, a sessantuno anni, ma per chiara fama, Pasquale Galluppi fu nominato docente di Logica e Metafisica in quell’ateneo dove aveva studiato da ragazzo. Di quei primi anni napoletani, del pensatore tropeano abbiamo anche numerosi interventi su giornali e riviste, che allora in gran numero erano nate e si pubblicavano in città. Dovere cui perciò è tenuto chiunque - e forse in parte discostandosi da una certa sua tesi giovanile che l’aveva visto accusato di giansenismo in Calabria – anche il pagano, l’agnostico o il non credente; poiché esso “è invariabile; la sua universalità è assoluta”: non solo un’etica utilitaristica, ma anche una morale disinteressata “eziandio a spese del tuo benessere, e della tua felicità,” “può stabilirsi colla sola considerazione dell’umana natura”. Allo stesso modo di come aveva proclamato nel suo discorso su Alfonso Maria de’ Liguori, a Tropea: “uomini, svegliatevi dal sonno de’ sensi, se questi non presentano che apparenze riguardo alla verità… Riflettete sulla natura spirituale ed indissolubile del vostro spirito; fissate la vostra felicità non mica nel tempo, ma nell’eternità”.Tra vita mondana e grandi meriti ottenuti in Europa. A quei tempi anche Ferdinando II - non volendo sembrare da meno di quel suo bislacco zio, roi-citoyen et ami sincère des Institutions constitutionelles – concesse a Galluppi una decorazione, quella dell’Ordine di Francesco I, da lui stesso creata. Rinchiusosi nell’isolamento dei suoi studi, tornò invece ancora una volta sul quel grumo teorico composto da ragione naturale e verità, su cui si sono interrogati da sempre tutti i teorici e teologi anche del diritto e della morale; e dunque a quel suo problematico pessimismo antropologico, che pure in gioventù gli era costato una specie di processo ecclesiastico in Calabria, come si è detto, con l’accusa di giansenismo. In quegli ultimi tempi, il vecchio pensatore, assecondando anche la sua vena di didatta e di storiografo, progettò la stesura di una imponente Storia della Filosofia, da realizzarsi in dodici volumi, che avrebbe dovuto rappresentare la sua summa di tutto il pensiero occidentale. Ma come la stessa Filosofia della volontà, anche la monumentale Storia della filosofia rimase incompiuta, fu pubblicato solo il primo volume: perché Pasquale Galluppi, in quella sua casa napoletana ad angolo tra via Toledo e la strada che oggi porta il suo nome, morì, il 13 dicembre del 1846.


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