Tri Pizzi, il peperoncino piccante calabrese che rischia di scomparire


 di Maria Lombardo


Il peperoncino conosciuto come tri pizzi o minni di vacca per via delle tre protuberanze all’estremità inferiore, è un ecotipo selezionato nel tempo da generazioni di contadini dell’area del Monte Poro.I terreni di Spilinga e dintorni sono terreni scuri e molto fertili e il microclima favorisce un’intensa formazione di rugiada che rende quasi superflua l’irrigazione. E' lui il peperone che arricchisce la‘nduja, il salume spalmabile e molto piccante simbolo della norcineria calabrese. Ma i suoi impieghi sono vari: essiccato e in polvere si miscela all’olio di oliva e un poco di aceto per trattare la superficie del pecorino del Monte Poro, proteggendo naturalmente il formaggio dalle muffe pericolose. Si usa anche per dare colore e sapore agli altri salumi locali, come la soppressata. Le proprietà antiossidanti del peperoncino conservano naturalmente le carni e consentono di produrre salumi senza additivi.
La polpa del tri pizzi è spessa, non si perde nella lavorazione, dà alla ‘nduja un colore rosso vivo, un profumo particolare e un gusto aromatico, piccantino e deciso, ma senza eccessi, e senza coprire i sapori della carne o lasciare il retrogusto amarognolo di molte ‘nduja di scarsa qualità. 
I peperoncini si raccolgono cinque volte l’anno, la prima raccolta avviene alla fine del mese di agosto. Una volta raccolti, sono lavati, privati del picciolo e adagiati su griglie ad asciugare, prestando attenzione a non lasciarli troppo tempo. L’essiccazione avviene a temperatura ambiente, sfruttando il vento e il sole. Successivamente sono tritati (alcuni li fanno bollire) e messi a congelare per essere usati all’occorrenza nei mesi successivi oppure polverizzati.Il valore del tri pizzi è elevato, perché la produzione non è abbondante e non è sufficiente per tutta l’nduja prodotta localmente.


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