Quella storia raccontata male dai neomeridionalisti del piroscafo Ercole che trasportava l’oro di Garibaldi.


 

di Maria Lombardo 


Mancavano pochi giorni alla proclamazione della nuova Italia e nelle acque tra la Calabria e Napoli affondò  il piroscafo “Ercole”. La storia dell’unità d’Italia iniziò con un mistero ma solo per i neomeridionalisti. I garibaldini imbarcati erano guidati da Ippolito Nievo con loro una cassa avevano il compito di portare a Torino la documentazione economica relativa alla spedizione militare dei Mille.  Ecco che dalla voce di Giuseppe Addessi apprendo:” Ma c’era chi aveva interesse, per opposte ragioni, ad impedire che quella cassa arrivasse a Torino, dove era in atto uno scontro tra due fazioni: da un lato i cavouriani che intendevano gettare discredito sulla spedizione garibaldina, tentando di dimostrare una gestione truffaldina dei fondi; dall’altro lato la sinistra , che sosteneva il contrario. Ma, soprattutto, tutti avevano interesse a tenere nascosto un finanziamento di 10mila piastre turche ( paragonabili a circa 15milioni di euro attuali) che era arrivato a Garibaldi dalla massoneria inglese. La sparizione di quei documenti faceva quindi comodo a tutti. Quel rendiconto non doveva vedere la luce perché avrebbe rivelato la pesante ingerenza del governo di Londra e dei circoli massonici inglesi nella caduta del Regno delle Due Sicilie. Quei soldi, in piastre d’oro turche, erano serviti per favorire l’arrendevolezza di gran parte degli ufficiali borbonici. Una inspiegabile inefficienza che aveva paralizzato l’esercito e, soprattutto, la marina borbonica”. Attenzione nel blog in tempi non sospetti ho parlato di come fu finanziata la Spedizione dei Mille! Ecco quanto dice un documento dell’Archivio di Stato di Napoli:” Comunicazione, indirizzata al maggiore generale dell'esercito napoletano dal ministro della Guerra Giosuè Ritucci, a proposito della costituzione, a Livorno, di un comitato garibaldino per la raccolta di fondi destinati all'acquisto di vapori e imbarcazioni, allo scopo di effettuare sbarchi in vari punti delle coste continentali del Regno delle Due Sicilie, “presso qualche duna delle località di Tropea, Paola, Belvedere, Cirella, Cetrano [sic, ma Cetraro], Monopoli e Pescara” (Napoli, 9 luglio 1860) (Archivio di Stato di Napoli, Ministero della guerra, busta 2542). Questa missiva Francesco ll la conosceva e con essa  le intenzioni e le mosse di Garibaldi ma non ha allertato il suo esercito e la sua marina. Inoltre che Garibaldi non aveva bisogno di casse di "lire turche" come dicono i suoi detrattori. Le sue campagne erano finanziate con le collette dei patrioti. Spero finalmente di essere stata chiara ma lo sono stata anche negli articoli precedenti. Torniamo al piroscafo “Ercole”la mattina del 4 marzo 1861, l’Ercole lasciava quindi il porto di Palermo con destinazione Napoli. Nievo, seguito dai suoi, era salito a bordo senza ascoltare i consigli del console Hennequin, che gli aveva stranamente suggerito di partire con l’”Elettrico”, vapore che avrebbe lasciato gli ormeggi tre giorni dopo. La nave, appartenente alla compagnia Calabro-Sicula, partì quindi alle ore 13 con 18 uomini di equipaggio, napoletani e calabresi, al comando del capitano Michele Mancino, e 40-60 passeggeri. Ed ecco che il piroscafo si inabbissò solo pochi   giorni dopo, da Napoli partì il Generoso a perlustrare l’ampio tratto di mare tra le Eolie e Capri. Sul suo inabbissamento solo una serie di ipotesi chiara appare la relazione  del capitano Paynter, del vascello inglese Exmouth, testimone: avvistato il relitto a 140-150 miglia da Palermo, sulle coste della Calabria. Contrariamente alle altre relazioni, che davano l’Ercole affondato vicino a Capri, il comandante della nave inglese, ultima ad aver avvistato il vapore che trasportava Nievo e i suoi documenti, non parlava di affondamento ed afferma di aver avvistato il relitto sulle coste calabresi. Difficile dubitare che potesse aver sbagliato, in quanto gli inglesi registrarono tutto ciò che accadde in quell’avventura.Il piroscafo non arrivò mai a Napoli e la cosa ancora più strana fu quella del mancato ritrovamento di vittime, superstiti, oggetti o fasciame della nave. Niente, tutto misteriosamente inghiottito dal mare.A distanza di quasi 160 anni dal primo mistero della storia italiana, un giovane di Amantea, appassionato di meccanica  e di storia, Maurizio Raia, durante un’immersione di fronte alla foce del torrente Catocastro di Amantea, si accorge che, a pochissimi metri dalla riva, giace sommersa una caldaia a vapore e inoltre nota che, a volte, riaffiora anche il maestoso scheletro del telaio che si trova in prossimità della caldaia. Ricollega il ritrovamento ad un articolo letto tempo fa su questa testata in cui veniva affacciata l’ipotesi che l’Ercole fosse naufragato sulle coste calabresi e, dopo aver calcolato  la distanza in miglia tra Palermo e Amantea, si accorge, con stupore misto ad emozione, che corrisponde proprio a 140 miglia, come relazionato dal capitano inglese nel suo giornale di bordo.


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