Venerdì 8 settembre del 1905: 326 paesi colpiti dal terremoto in Calabria.
di Maria Lombardo
Alle 2:43, dal mare a nord di Vibo Valentia, si scatenò un nuovo ed intenso
evento sismico che produsse effetti devastanti sui paesi compresi tra la costa
tirrenica vibonese ed il massiccio del Monte Poro. Parghelia, Briatico,
Piscopio, Sant'Onofrio e molte località limitrofe furono completamente rase al
suolo. Un rumore sordo ed un boato sconquassarono la zona citata in calce ib
Baratta nel 1906 così annota:”Un rombo cupo, assai intenso, spaventevole
precedette di poco l'inizio del movimento sismico e continuò con energia
crescente e con vari rinforzi, per tutta la durata del medesimo. Fu paragonato,
a detta di tutti, al rumore di un pesante treno che entra in una galleria ferroviaria".
Questa da tempi immemori è una terra poverissima! Tutta la povertà del popolo
si poteva notare nella scadente edilizia e nella
completa assenza di infrastrutture. Le case erette con mezzi di recupero tali: pietrame,
legno, fango e tutto ciò di cui si necessitava, servendosi di quello che la
natura del luogo offriva. Il re Vittorio Emanuele III, in visita a
Sant'Onofrio, nel constatare la fragilità delle costruzioni, disse: "Erano
casupole che non potevano resistere a tanto urto". Quei 326 paesi vennero
distrutti imorti 557 e i senzatetto
300000. Tanti furono anche i feriti che vennero soccorsi dai punti medici di
primo intervento, allestiti dalla Croce Rossa Italiana nei vicini Piscopio e
Stefanaconi. L'impatto su Acquaro, Limpidi e i paesi circostanti non fu
catastrofico come per i paesi prossimi alla costa . Ma non mancarono danni agli
edifici: molte case, come anche la chiesa matrice, subirono gravissime lesioni.
La macchina dei soccorsi si mosse lentamente vista l’atavica mancanza di strade,
Luigi Barzini, inviato del “Corriere della sera", dopo aver visitato i
luoghi colpiti dal sisma, scrisse: "Qui intorno si muore di fame e di
sete: i soccorsi, per quanto alacremente portati, non bastano; manca il pane ai
sani, la carne ai feriti, manca l'acqua, manca il ricovero ai morenti. Intorno
ai paesi una lugubre folla dolente si accascia; vi sono ventimila persone che
perdono tutto,che non hanno neppure i recipienti per andare alle fonti per
attingervi; sono silenziose moltitudini che non possono staccarsi dalle rovine
delle loro case, dove i cari morirono e che, stordite, aspettano senza forza
quegli aiuti che non arrivano mai". In tutto il territorio colpito, coloro
che rimasero senza abitazione vennero sistemati, nell'immediatezza, in tende.
Scrisse Oddino Morgari sull'"Avanti": "Le tende sono di due
tipi: quelle militari, di tela bruna a due pioventi, fornite dalla truppa; e
quelle raffazzonate dai cittadini con lenzuola e coperte di cento tinte, piene
di buchi, piatte anteriormente e a un dipresso cubiche". Per ordine dello
steso re, fu disposto che per i meno abbienti venissero costruite delle
baracche di legno, stabilendo, allo stesso tempo, che non fosse dato
gratuitamente il legname a chi poteva disporre di denaro per acquistarlo.
Questa decisione fu presa in conseguenza del fatto che alcuni, seppure
benestanti, provarono ad appropriarsene. Ma alcuni non si limitarono solo a
questo. Il Barzini, sempre sulle pagine del "Corriere della Sera"
denunciò altri loro ignobili atteggiamenti: "Reggio inviò un soccorso di
indumenti e furono le meno bisognose famiglie che s'impossessarono del più e
del meglio. Vi sono possidenti che avrebbero mezzi di farsi venire pane a loro
spese da Reggio e che invece prendono le razioni destinate ai poveri,
lasciandone privi degli affamati che come ho visto io stesso non hanno nemmeno
forza di protestare e si seggono in terra piangendo, il volto nascosto fra le
mani, le spalle scosse dai singhiozzi".Notevoli furono anche gli effetti
sull'ambiente: si registrò dappertutto un incremento della portata e della
temperatura dei fiumi e l'intorpidimento delle loro acque. Scriveva il Rizzo, nel 1907, a proposito del
fiume Metramo che, come l'Amello, nasce e scorre nelle montagne delle Serre
calabresi: “Ora la portata di queste sorgenti, dopo il terremoto, si trovò
considerevolmente aumentata e crebbe anche la temperatura da 34 a 37
gradi". In seguito furono adottati alcuni provvedimenti speciali, tra cui
l'esonero totale delle imposte fondiarie fino alla fine del 1906. Ma si è
trattato di iniziative finalizzate a produrre degli effetti solo nel breve
termine. Prevalsero gli interessi delle classi dirigenti locali, aiutate dall'indifferenza
del governo centrale ed, in particolare, degli stessi politici meridionali.
Prima che si avviassero i lavori di ricostruzione, si provvide alla conta dei
danni, necessaria per definire i finanziamenti da elargire ai vari paesi. Per
questo compito fu incaricato, nel circondario di Vibo Valentia, il professor
Giuseppe Teti, ordinario di Geografia alla Reale Università di Napoli. La
ricostruzione, una volta iniziata, procedette lentamente a causa delle scarse
risorse economiche che, tra l'altro, complice la mancanza di controllo, vennero
in parte dilapidate a favore di coloro che, privi di scrupoli e di rispetto
verso chi rimase senza niente, se ne approfittarono per arricchirsi. Tutto
questo costrinse molti, trovatisi in condizioni ancora più misere dopo il
terremoto, a dover emigrare, in particolare verso gli Stati Uniti e
l'Argentina. Scrisse Cesare Nava per conto del Comitato milanese di soccorso:
“Il ricordo più forte e più doloroso che io porto nell'anima, dalla mia visita
laggiù, non mi è dato dalla desolazione causata dal terremoto in quelle belle
contrade; ma dal contrasto tra la esuberante ricchezza della natura e la
miseria del lavoratore; […] in una regione ricca d'acqua e di sole, è costretto
onde potersi sfamare, di emigrare nella lontana America". Alcuni, tra
coloro che emigrarono, messi da parte un po' di soldi, ritornarono al proprio
paese per acquistare e coltivare delle terre.
Commenti
Posta un commento
Dimmi cosa ne pensi!