Antichi mestieri: Magare calabresi



di Maria Lombardo



Un  tempo complice la scarsa scolarizzazione erano davvero tante le cose in cui si credeva! Dalle sciocchezze legate al ciclo delle stagioni a malocchio e fatture. Con queste ultime si andava invece sul pesante! Una cosa è certa le magare ci sono sempre state, cè chi ne parla bene o male ma oggi come allora si ricorre spesso. Nell immaginario collettivo erano quelle donne che potevano risolvere tutto, aggiungerei io bontà loro, in realtà conoscevano le erbe curavano gli acciacchi con i loro intrugli e conoscevano larte delle magarie. I famosi legami damore fatti con capelli umani o crine di cavallo creando amore con i nodi un nodo per ogni esigenza. “Una particolare fisionomia hanno i riti per far innamorare: pe' 'ttaccari amuri: per far sorgere l'amore in una persona che non vuole corrispondere. Sono i riti della magia di benevolenza: ecco un esempio. «A mezzanotte si va al camposanto e si prende da una fossa, che racchiude le spoglie di un paganeddu (un piccolo pagano, cioè un bambino morto senza essere stato battezzato), un ossicino, che poi si mette nel forno e si polverizza. Di tale polvere se ne mette un pizzico in una pietanza qualunque e si da a mangiare alla persona, cui si vuoi fare la magia. Nel mettere tale polvere nel piatto si devono dire alcune parole magiche e si deve aver cura di far mangiar la pietanza a mezzogiorno. A Tropea, a Briatico e in qualche paese, alla polvere dell'osso di un bambino, si sostituisce un po' del mestruo, che si versa in un po' di vino, di caffè o nei fichi secchi. Vi sono altri riti per fare la magia di affezione o imitativa; si pigliano due o tre confetti, si mettono sotto la tovaglia dell'altare e si lasciano per tre giorni. Poi per mezzo di una persona amica si danno a mangiare o alla sposa o allo sposo in modo che resti una "passione definitiva". Altrove invece dei confetti, si leva un po’ di sangue dal braccio, si porta in chiesa, dove resterà tanto, finché un sacerdote celebrerà una messa. Poi si da a bere alla persona designata, mischiandolo con il vino, con zucchero, mettendolo in una brocca d'acqua.”Queste donne godevano di rispetto e timori reverenziali ed erano appellate zie. Certamente a loro si attribuivano doti inusuali come uscire di notte sotto forma di uccello notturno potevano insidiare i bambini nelle culle e rapire le ragazze trasportandole lontano; avevano il potere di ammaliare le persone con formule e filtri, eccitare l’odio o l'amore, produrre malattie, gettare il malocchio su uomini e animali. La sua vicinanza alle forze della notte, al potere misterioso della luna, la rendeva capace di trasformare gli uomini in lupi e questi disgraziati passavano le notti di luna piena urlando e camminando carponi per le strade intorno ai villaggi. Solo l'uso di scongiuri  poteva preservare da queste influenze e dovevano essere recitate di notte in una chiesa, cercando la vendetta contro !e potenze malefiche. Le donne colpite da emicrania, per liberarsi dal malocchio che le aveva colpite che prendeva la forma di malore, recitavano lo scongiuro; Insomma erano donne mitologiche! Non sempre però queste donne facevano del bene, si entra nella sfera delle streghe e la loro specialità era la fattura. Riporterò un passaggio che aiuterà a capire di cosa parlo:” E questo è fare la fattura, che può essere fatta in tanti altri modi, usando diversi oggetti e particolarmente oggetti appartenenti alla persona da colpire, come, per esempio, un ritaglio di vestiti. A Dasà (Catanzaro, oggi VV) si ficcano “in un panno o in altre cose del genere, spilli e chiodi ed ad ogni spillo o chiodo, che si conficca, si deve nominare la persona che si vuole ammaliare”. A Polistena (RC) la magaria si fa mettendo in una bottiglia della carne spezzettata, mentre si nomina la persona che si vuoi ammaliare; marcisce la carne e marcisce la persona che si vuol colpire. Si pratica anche con una mela: la si toglie dalla pianta all'ora in cui spunta la luna, la si colpisce con spilli ripetendo sempre il nome della persona; poi si sotterra la mela e, come marcisce, la persona affatturata muore. A Polistena si fa pure la magia prendendo un pezzo di carne e conficcandovi molti spilli; il nome della persona sarà pronunziato quando si sotterra la carne per farla marcire. A Vibo Valentia, a San Costantino Calabro si usano la lingua, il fegato, il cuore, il polmone o altri organi per far soffrire maggiormente la persona cui è rivolta la magia; se si usa il fegato, la persona si ammalerà di fegato, se il cuore, di malattia del cuore. In ogni caso sono indispensabili le operazioni degli spilli e del sotterramento in luogo appartato. Come marcirà la cosa sepolta, così morrà la persona affatturata. Vi sono altre pratiche magiche per provocare del male: si prende un limone, un'agata di filo, tre capelli della persona cui si deve fare la magia, si cuciono con l'agata di filo al limone, cui si attacca una pietra e si butta a mare. Il nome della persona si dice soltanto quando si uniscono con l'ago i capelli al limone. Come questo si “infradicisce”, la persona incomincia a deperire lentamente e muore quando il limone e del tutto distrutto.
A Dasà, invece del limone, si prende una pinnella di ficatu (lobo di fegato) di maiale o di altro animale, un pezzo di roba della persona che si vuole fatturare e a questo pezzetto di stoffa si cuce il fegato e mentre si cuce si deve dire il nome della persona. Dopo cucito, si depone o sotto una lapide o presso ad una croce.

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