A proposito della sepoltura di Gioacchino Murat nella Chiesa Matrice di Pizzo Calabro.


di Maria Lombardo



Tommaso Antonio Masdea canonico decano dell’insigne Collegiata di Pizzo e confessore del morituro Sovrano, nel racconto pubblicato nel libro di G. Romano Ricordi Murattiani afferma «Il cadavere di Gioacchino Murat riposto in un baule foderato di taffetà nera, fu sepolto nella Chiesa Matrice da lui beneficata». Antonino Condoleo, che assistette alla sepoltura, così la descrive nella sua Narrazione pubblicata da E. Capialbi:L’insanguinato cadavere fu subito messo in una rozza cassa di abete e fu portata da dodici soldati nella Chiesa Matrice. Nel deporla a terra, per l’urto ricevuto o perché mal connessa, la cassa si aprì negli spigoli. Oh, visione incancellabile di quel volto pallido, sfigurato da una pallottola che aveva orribilmente solcata la sua gota destra, di quegli occhi spenti, di quella bocca socchiusa, che pareva volesse terminare qualche incominciata parola, di quell’aria guerriera che la stessa morte non aveva potuto cancellare dal suo sembiante! Rattoppata alla meglio la cassa, con tutta sollecitudine, fu gettata nella fossa comune.Il Condoleo è più prolisso del Masdea, ma i due racconti, tranne che per alcuni particolari marginali, concordano nell’indicare come luogo di sepoltura la Chiesa Matrice di Pizzo. D’altronde il luogo di sepoltura è chiaramente indicato nello stesso atto di morte esistente nel libro dei defunti dell’anno 1815 custodito nell’Archivio Parrocchiale della Chiesa Matrice di San Giorgio Martire che testualmente trascrivo:Anno Domini 1815 — die vero decimo tertio Octobris – Pitii – Joachinus Murat Gallus ex rex civitatis, aetatis suae annorum quadraginta quinque circiter, SS. Sacramento poenitentiae cxpiatus, a Commissione militari damnatus, mortem appetiit, et fuit ejus corpus in hac insigni collegiali ecclesia sepultum.
Non c’è ombra di dubbio sul posto della sepoltura di Re Giocchino, si trovano probabilmentee nella Chiesa Madre del borgo Tirrenico secondo i documenti storici. Ironia della sorte il cadavere del Francese  posto nella fossa comune nella stessa chiesa che il 25 maggio 1810 ricevette proprio dal Re una sovvenzione di duemila ducati per portare a termine i lavori fermi. Un solo cadavere col Re detto “Cimminà” poi la tomba venne sigillata  con spranghe di ferro fino al 1860. Sul finire del 1899 i parenti di Murat iniziarono a cercarlo per portare le sue spoglie nella Cerosa di Bologna. Presero parte alle ricerche la Contessa Letizia e il conte Giulio Rasponi, nipoti diretti di Murat, il conte Ercole Estense Mosti, il conte Ettore Capialbi, , il marchese Gagliardi con alcuni suoi familiari, l’onorevole Raffaele De Cesare illustre storico e le autorità civili e militari del tempo. Lo storico Raffaele De Cesare pubblicò, in un opuscoletto intitolato Museo di espiazione al Castello di Pizzo, una sua lettura tenuta al Circolo Filologico di Napoli il 10 Maggio 1911. Letizia Rasponi  figlia di Luisa Murat conoscendo la tradizione locale si mosse verso Pizzo dopo 84 anni:”il corpo di Gioacchino Murat fosse stato sepolto nella nuova Chiesa Matrice dedicata a San Giorgio Martire, e precisamente nella terza fossa… e che in questa avesse avuta sepoltura un pezzente notissimo di Pizzo; e non più nessuno. Facile dunque ricercare le ossa del Re, che aveva statura di gigante, copiosa e folta capigliatura, e denti bellissimi. Aveva 48 anni ed era nel vigore della vita. Era stato fucilato indossando una giubba coi bottoni di metallo, e calzando stivali, cui erano attaccati gli speroni”.  La Rasponi ginse a Pizzo il 22 aprile 1899, grande folla vi era in città per l’evento. La sepoltura venne benedetta prima di essere aperta ma ci volle tempo e forza. I Napitini erano molto commossi! Ecco però che la tomba si presentò piena di ossa, effettivamente durante il colera del 1837 i morti furono gettati nella fossa e si riempì ogni spazio ma tale evento non venne mai menzionato. Cosa nemmeno nota ai Borbone diversamente, non avrebbero consentito l’apertura della tomba dopo l’inumazione in essa di Murat. Dai registri custoditi nell’Archivio Parrocchiale della Chiesa Matrice risulta che nei giorni successivi alla inumazione di Murat, altre salme furono seppellite, nell’unica fossa comune esistente nella Chiesa e tali inumazioni continuarono negli anni seguenti sino all’ultima avvenuta il giorno undici Dicembre dell’anno 1837. Si  smise di cercare quelle ossa fino al 1976 quando si iniziò a restaurare il pavimento della Chiesa, si potè fare un foro per guardare nella terza botola ed era inoltre un’opportunità da sfruttare. Infatti la sera del 6 ottobre venne aperto un foro di 30 cm ma per l’ennesima volta si trovarono ossa ricoperte di calce bianca.Dopo circa un’ora di attenta osservazione il foro fu rinchiuso con del cemento. Guardando le foto fatte si scorse  uno stivale di foggia napoleonica con un qualcosa che sembrava uno sperone situato nella giusta posizione, chiaramente visibili. Quel foro venne riaperto e aleggiava un gran ottimismo. Ma anche questa volta l’operazione non portò a nulla era un gioco di ombre! Un segno premonitore dello spirito di Gioacchino Murat che, a distanza di 161 anni dalla fucilazione, implora almeno una più degna sepoltura?Il  30 marzo mattina del 2016. A Pizzo arriveranno i carabinieri del Ris di Messina e preleveranno la bara con i resti che vi sono contenuti. «Vi sarà una comparazione con il Dna degli eredi di Murat, che vivono in Francia. Il problema da risolvere è, scendendo attraverso una scala da creare partendo dalla prima lastra di marmo, come superare le montagnelle di ossa ammassate nella cripta»



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