Don Luigi Nicoletti, prete cosentino che sfidò i nazisti
di Maria Lombardo
Attaccare i nazisti in pieno fascismo. C’era chi lo faceva
ad alta voce dalle pagine di un giornale calabrese. Tra coloro (in verità assai
pochi) che, con coraggio e determinazione, non si sono fermati davanti a nulla,
continuando a ragionare con la propria testa senza farsi plagiare dal potere
politico, emerge la figura di don Luigi Nicoletti. Noto per aver ricoperto
importanti incarichi ecclesiali e politici, diviene poi parroco nel 1909,
all’età di ventotto anni, e si mostra subito un abile oratore, capace di farsi
ascoltare, e apprezzare, anche da chi non ne condivide le posizioni sociopolitiche.
Diviene soprattutto un deciso antifascista, già nel 1924, subito dopo
l’omicidio di Giacomo Matteotti. Dal 1935 al 1938, periodo in cui riveste la
carica di direttore del giornale Parola di Vita, periodico diocesano conosciuto
dalla popolazione calabrese e non. In questo periodo intraprende una vera e
propria campagna contro il razzismo, posto in essere, in primis, da Hitler in
Germania, la cui eco era forte anche nel resto dell’Europa. I suoi nemici
dichiarati erano tutti i tipi di regime totalitario, dal nazismo fino al
comunismo che stava dilagando in Russia e in altri paesi dell’est Europa, quali
Ucraina, Armenia, Estonia, Georgia, Lituania, Bielorussia, ecc. per lui non
c’era differenza, in quanto entrambi si fondavano sull’odio, lontano da i
precetti del Cristianesimo. Non era, sia chiaro, un prete rivoluzionario; dai
suoi scritti emergeva un forte tratto conservatore, in merito al ruolo della
Chiesa cattolica nella società e nei rapporti con la politica. Una delle accuse
principali che egli rivolgeva ai regimi dittatoriali era il tentativo di
estromettere l’ambito ecclesiastico dal tessuto sociale, raggirando l’opinione
pubblica con la calunnia. Armato di penna, in un momento storico nel quale la
censura e il controllo della stampa, erano tutelati dalle leggi dei regimi, la
cui violazione veniva spesso punita con la morte. Nulla impedì a don Luigi
Nicoletti di fermarsi, nessuna paura fu più forte della voglia di condannare
violenza e razzismo in difesa soprattutto di chi le subiva in prima persona. Fu un crescendo di dura avversione e condanna;
se nel 1935 i pezzi avevano, se vogliamo, un’impronta più “religiosa”, tanto
che l’ideologia nazista era quasi accostata a una sorta di “neopaganesimo”,
negli anni successivi, la critica alle politiche poste in essere dal regime
hitleriano si fece molto più accentuata, anche di fronte, purtroppo, a un
quadro europeo che divenne sempre più cupo: dalla annessione dell’Austria, un
anno e mezzo prima dell’inizio del Secondo conflitto mondiale fino alla
“soluzione finale” degli ebrei. Egli divenne il simbolo dei tanti preti che,
spinti dalla convinzione che razzismo e intolleranza non avessero alcuna radice
scientifica ma erano soltanto frutto di menti malate, si mostrarono solidali
con il popolo ebraico, il quale stava vivendo sulla propria pelle un dramma
senza precedenti. Un impegno costante, fatto di passione e abnegazione, fino a
al 30 novembre 1938, giorno in cui don Nicoletti annuncia il cambio alla
direzione del giornale. Non mancavano nemmeno le ironiche provocazioni, come il
richiamo a Wagner, uno degli autori preferiti dai nazisti, che Nicoletti citò
in merito alla violazione dei Trattati stipulati dopo la fine del Primo
conflitto mondiale e, in primis , il “Trattato di Versailles”, che prevedeva
limiti alla consistenza e alla potenza delle forze armate tedesche, riportando
il passo «Difendi la fede dei trattati, ciò che tu sei, non lo sei che per i
trattati». Da buon cronista, inoltre, non esitò a recarsi in terra tedesca, nel
1937, al fine di raccogliere più informazioni possibili su ciò che lui stesso
stava aspramente condannando, fino a rendersi conto che la situazione fosse
ancora più grave rispetto a quanto si sapesse in Italia. Nel 1938, gli articoli
pubblicati dalla rivista iniziarono a essere, strettamente, monitorati dalla
polizia fascista; oltre ad essere attacchi diretti alla Germania nazista, non
mancavano dure critiche, dirette o indirette, anche al regime guidato da
Mussolini, che nello stesso anno emanava leggi di stampo fortemente razziale e
si mostrava sempre più vicino alle politiche di Hitler. Articoli che sfidavano
apertamente il governo fascista, senza smettere di attaccare Hitler e le sue
mire espansionistiche; il 30 settembre 1938 don Nicoletti irride il concetto di
razza ariana, definendola una pura invenzione di poeti, quindi solo frutto
della fantasia di altre menti l’ articolo non tarda a suscitare le ire della
Federazione fascista di Cosenza, che, mediante il periodico Calabria fascista
inizia a lanciare accuse al parroco, tacciandolo di antifascismo –
un’affermazione grave in un paese nel quale vigevano accordi precisi tra Chiesa
cattolica e regime fascista dopo i Patti lateranensi. Nelle pagine del giornale del regime si
leggeva «alla direzione di un giornale cattolico (…) un uomo a tutti noto per
il suo passato di avversario del Fascismo» e concludendo «Parola di vita, un
settore da ripulire con spirito cattolico e fascista» Mentalità antifascista,
da “Calabria fascista”, 8 ottobre 1938, 1; a questo ne seguirono altri con le
medesime accuse: Come prima peggio di prima, da “Calabria fascista”, 15 ottobre
1938, 1,Neo-pipismo, da “Calabria fascista”, 15 ottobre 1938, 3, in riferimento
al Partito popolare nato nel 1919, di cui don Nicoletti era stato segretario
provinciale. Una campagna mediatica forte che provocò il suo trasferimento
forzato dal liceo classico di Cosenza quello di Galatina, in provincia di Lecce.
Il parroco fu obbligato a dimettersi, annunciando anche il cambio di direzione
del giornale, con una nota scritta il 30 novembre 1938: «lascio la direzione di
Parola di Vita, con la coscienza di aver compiuto sempre umilmente il mio
dovere di sacerdote (…)». Parola di Vita con spirito originale e con un forte
impatto emotivo sfidava contemporaneamente il fascismo, locale e nazionale, e
il clero più conservatore e i suoi eccessivi nazionalistici, che appoggiava
ogni decisione posta in essere da regime, anche le guerre. Proprio in occasione
della guerra d’Etiopia, a questi ultimi, don Nicoletti, con un duro monito
diceva “La Chiesa c’insegna che la guerra è un gran flagello (…) Sappiamo,
d’altra parte, che quando i poteri costituiti la dichiarano, noi dobbiamo
ubbidire e fare tutto il nostro dovere. Ebbene, che c’entra tutto questo col
presentare ai fedeli un Gesù guerrafondaio e spietato”. Parole provocatorie
verso un sistema fondato, paradossalmente, sull’odio e sulle diseguaglianze,
dette verso coloro i quali, usavano i precetti religiose per coinvolgere la
popolazione ma altro non erano che una costola di una dittatura.
Da Pellegrini Editore "Don Luigi Nicoletti e la polemica contro il razzismo negli anni Trenta a Cosenza" di Luigi Intrieri
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