La società contadina calabrese dell'Ottocento è selvaggia e brutale: femminicidi ancestrali


 

di Maria Lombardo 


Le leggi in vigore, sono quelle della violenza, dell'onore e della vendetta, e soprattutto quella del più forte. Il campagnolo ha sempre con sé una scure e almeno un coltello, e la rissa per futili motivi, talvolta mortale, è all'ordine del giorno. Si può morire per questioni di donne o legate all'agricoltura, ma anche per una parola di troppo o per uno sgarbo, magari dopo aver giocato a carte nelle osterie, da dove gli uomini escono sempre più maneschi e incattiviti. Le donne non sono esenti! La Corte d'Assise di Palmi, nei primi decenni del Regno d'Italia, si è occupata di rei e reati relativi a tutta la provincia di Reggio Calabria, nonché alle attuali province di Catanzaro (Cardinale, Maida, Miglierina, Nicastro, Pianopoli, San Floro, Sersale, Torre di Ruggiero, Vena di Maida, Zagarise) e di Vibo Valentia (Caria di Drapia, Coccorino, Fabrizia, Francica, Mileto, Mongiana, Motta Filocastro, Nicotera, Pizzo, San Costantino, Serra San Bruno, Simbario, Tropea, Vazzano, Zambrone).

Le sentenze emesse tra il 1869 e il 1885, per reati commessi a partire dall'Unità, sono in tutto 699: settantacinque di queste – meno dell'11% del totale – riguardano reati violenti commessi contro donne e ragazze. È poi lecito immaginare che quella evidenziata sia solo una piccola parte dei crimini commessi contro le donne, spesso non denunciati per vergogna o per paura di ritorsioni, come avviene ancora oggi. Gran parte dei delitti – commessi o tentati – cui le sentenze si riferiscono è costituita da stupri, omicidi e pestaggi, ma vi sono anche reati come ratti, rapine e omicidi preterintenzionali. Le violenze sessuali avvengono sovente in campagna o nei boschi, ai margini delle strade che molte donne sono costrette a percorrere, da sole o in gruppo, per lavorare nei campi o andare a far legna. Non sono esenti da tali trattamenti nemmeno le bambine come Giovanna Maria Mazzone, di dieci anni, stuprata a Mammola il 13 marzo 1868, o Fortunata Pulicanò, di soli sette anni, violata da un cinquantottenne a Caulonia nell'ottobre del 1868, o come ancora Carmela Canfora, di nove anni, presa con violenza a Cittanova il 2 marzo 1869: è andata a raccogliere legna con altri ragazzini quando un pastore del luogo, di diciassette anni, prima fa allontanare gli altri con una scusa e quindi abusa di lei. Un altro reato lo stupro di gruppo avviene la notte di capodanno del 1871, a Cittanova, quando Angela Rosa Raso e suo marito vengono assaliti da una banda di malavitosi dediti ai furti e al pascolo abusivo: i delinquenti pestano l'uomo e lo legano con la faccia a terra, per poi abusare a turno della donna; quest'ultima, in seguito, testimonierà contro gli aguzzini, ma sarà assalita e presa a bastonate e ritratterà tutto. La piccola Maria Parato, che non ha ancora compiuto nove anni, il 16 giugno 1882 a Palmi è vittima di un ventenne, che la violenta «contagiandola altresì di male venereo con grave pregiudizio alla salute». Ma poi nelle case succedono le stesse cose. Anna Sgrò è una bambina di Gioia Tauro, che nel luglio del 1869 ha da poco compiuto nove anni, e abitualmente si reca presso un vicino di casa per spidocchiarlo; l'uomo, in passato già sospettato di simili reati, abusa di lei senza nemmeno chiudere la porta dell'abitazione: verrà incastrato dalla sifilide infettata alla vittima. Caterina Crocitti ha otto anni quando, il 5 maggio 1871, la madre la manda in farmacia a Radicena per comprare uno sciroppo. In quel momento però il farmacista è assente, e al suo posto vi è il fratello sacerdote, che porta la bambina nel retrobottega e tenta in modo maldestro di consumare un rapporto con lei: la madre di Caterina, Teresa Surace, denuncia l'accaduto, e le autorità ecclesiastiche sospendono immediatamente il prete.

 Nel 1872 il padre di Litteria Mazzullo torna a casa. Da subito la ragazzina diviene oggetto delle mire oscene dell'uomo, che la circonviene al punto da farne la sua amante, con tanto di baci e smancerie in pubblico. Tutti nel quartiere conoscono la situazione, ma la sfortunata è sorda a ogni richiamo, e continuerà a difendere il padre anche dopo aver partorito una creatura frutto dei suoi abusi, nel 1873; il suo comportamento non riuscirà a far evitare al mostro una condanna a vent'anni di lavori forzati.Ci sono poi i casi di ratto veri e propri rapimenti seguiti da stupri. La tredicenne Anna Maria Scaramuzzino, rimasta orfana dei genitori, vive a Condofuri in casa della sorella e del cognato. La notte del 3 settembre 1878 viene rapita da sei uomini di San Pantaleone, che irrompono armati nell'abitazione e la portano in un luogo nascosto, dove viene posseduta da uno di loro. Le accuse di ratto e di stupro cadono allorquando la nonna della ragazza acconsente al matrimonio tra quest'ultima e il sequestratore, che viene celebrato il 6 giugno 1880. Analoghe vicende le potrei raccontare a manetta storie tutte sconvolgenti. Nemmeno tra le mura domestiche, come si è visto, una donna è al riparo da insidie letali. La sera di Natale del 1869, a Reggio, Caterina Griso viene uccisa dal marito, assieme al presunto amante, a colpi di revolver e stilettate; il 24 agosto 1870 a Galatro a morire è Caterina Migliorese, avvelenata dal coniuge poi condannato alla pena di morte. Concetta Reitano ha sedici anni e vive a Gioia Tauro, quando la sera del 23 giugno 1871 bussa alla porta di casa un amico di famiglia, nonché suo pretendente, insistendo per consegnarle delle uova che lei però rifiuta. L'uomo allora le si avventa contro con un fucile, inseguendola e facendo fuoco più volte: la giovane sopravvive solo perché l'attentatore è ubriaco e non riesce a ferirla mortalmente. Sei giorni dopo, a Cinquefrondi, Giuseppa Albanese riceve una pistolettata esplosa a breve distanza da suo figlio, che la insulta e la minaccia, ma tuttavia non riesce a ucciderla. E il 21 ottobre dello stesso anno, a Giffone, Rosaria Mandaglio viene gettata a terra e presa a calci dal fratello, morendo il giorno successivo per queste ennesime percosse: i suoi fratelli la pestavano di continuo per costringerla a vendere un terreno. Ad Anoia Inferiore, Teresa Napoli viene spesso insultata e malmenata dal figlio ubriaco il quale, nel novembre del 1878, la colpisce con un piatto e le fa perdere un occhio, «solo perché la madre sua non si era curata di fargli cuocere due tordi per cena». Nello stesso mese e anno, a Drosi, Raffaela Raso viene avvelenata dal marito che le fa ingerire dell'acido solforico: lei morirà il successivo 10 dicembre dopo atroci sofferenze, lui rimedierà una condanna a morte. Miglior fortuna tocca a Elisabetta Di Paola, che il 28 agosto 1882, a Sant'Agata del Bianco, sopravvive a un tentativo di veneficio commesso dal proprio coniuge, che le ha versato dell'arsenico in una zuppa di cicerchie. Marianna Pepè, invece, presa a colpi di accetta dal marito il 15 marzo 1883 ad Anoia Superiore, spira dopo quasi un mese di agonia, e Caterina De Maria viene accoltellata dal suo uomo il 14 dicembre 1884 a Messignadi, morendo dopo due settimane.La violenza non risparmia le donne calabresi neanche quando si tratta di delitti di altro genere, come rapine o vendette personali. La notte del 20 giugno 1867 Maria Specchio si trova in casa a Giffone, quando quattro uomini fanno irruzione per derubarla, le usano violenza e poi la finiscono strangolandola. Il successivo 2 agosto, Caterina Mesiti e Rosa Prestia vengono pestate e rapinate da due uomini armati nelle campagne di San Giorgio Morgeto. Anche a casa di Maria Timpano, a Cittanova, la notte del 16 gennaio 1872 piombano quattro delinquenti armati, ma la donna si salva grazie alla prontezza del marito, che dopo una iniziale colluttazione riesce a metterli in fuga. Il 9 febbraio 1878, a Francica, un tizio di Mileto esplode un colpo di revolver a bruciapelo contro Fortunata Catroppa, ferendola al petto senza però riuscire a toglierle la vita. La notte del 22 aprile 1879 Maria Antonia Garcea è in viaggio lungo la strada per Reggio, portando con sé dei formaggi da vendere l'indomani; all'altezza di Laureana  di Borrello viene intercettata da tre uomini, che la malmenano e le rubano denaro e mercanzie. Anche Concetta Nostro subisce una rapina nottetempo: il 6 aprile 1881, a Scilla, due banditi la depredano solo di alcune stoffe, ma per non lasciare testimoni la sgozzano senza pietà. A Oppido Mamertina, durante la vigilia di Natale del 1883, Anna Foti riceve una fucilata esplosa a brevissima distanza, ma l'attentatore sbaglia mira e la ferisce al braccio. Per una rissa a Iatrinoli muore invece Nicoletta Foti, colpita da un uomo il 22 aprile 1881 con una coltellata che le perfora un polmone. Le campagne reggine, soprattutto quelle della Piana, sono un crocevia di gente in continuo movimento tra il Reggino e il Vibonese, nonché di una miriade di contadini che si spostano tra i vari paesi per lavorare nel mondo agricolo. Ed è proprio lì, tra campi e uliveti, che oltre alle violenze sessuali si consumano brutalità di ogni genere contro donne indifese, non di rado per futili motivi. Nel luglio del 1865, nell'agro di Laureana di Borrello, un uomo di Bagnara pesta ferocemente Rosa Fedele alla testa e in tutto il corpo, causandone la morte dopo giorni di agonia. Nello stesso territorio, nel settembre del 1867, Carmela Bartolotta viene ridotta in fin di vita a coltellate da un assassino che le ha appena ucciso il compagno. Le scene di violenza e degrado qui illustrate sono solo una parte dei simili delitti commessi nella Calabria di quegli anni. E se è vero che omicidi, attentati e pestaggi riguardano soprattutto vittime maschili, sono d'altronde i reati brutali contro persone indifese, e la facilità ai limiti della naturalezza con cui vengono commessi, a rivelare il grado di civiltà di un popolo. Non dimentichiamoci poi dell'aborto clandestino, che le ragazze gravide si procuravano con l'aiuto di donne più esperte, spesso senza altro fine che quello di salvarsi dalla furia omicida dei fratelli, in un Ottocento in cui il termine "cornuto" non si riferiva solo ai consorti traditi ma anche ai parenti di una ragazza considerata disonorata, e in un contesto in cui per un'ingiuria si poteva morire. Per ironia della sorte, si usa un neologismo – femminicidio – per indicare una forma di violenza antica, benché ancora in voga. La possibilità di scegliere il proprio partner appare oggi un diritto scontato, ma in passato non lo era affatto: parlare di prevenzione è sempre difficile, nondimeno, posto che quelle efferatezze si riscontrano per lo più in ambiente domestico o vengono commesse appunto da partner attuali o precedenti, mantenere alta l'attenzione è la prima arma che si ha a disposizione, in una battaglia civile che deve accomunare uomini e donne e non ammette posizioni attendiste.

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