Sapete che San Bruno è considerato il santo guaritore degli “spiriti maligni”? Lo scopriamo nell’iconografia presente nelle chiese di Serra San Bruno (VV).

   


di Maria Lombardo 


Oggi per Viviamo la Calabria torniamo a Serra San Bruno nel Vibonese per osservare l’iconografia di San Bruno di Colonia. Siamo agli inizi del XVII secolo,  quando Bruno di Colonia viene riconosciuto in maniera abbastanza diffusa e precisa come il santo che guarisce dagli “spiriti maligni”. Ne rende esplicita testimonianza, nella sua opera postuma Della Calabria illustrata, Padre Giovanni Fiore laddove scrive: «Questo santissimo patriarca [...] volatosene al Cielo l’anno 1101, a 6 di ottobre, lasciò in terra il suo prezioso Corpo, che risplende con molti, e continui miracoli, quali maggiormente si ammirano nel giorno, in cui celebrasi la sua festività, ch’è il primo Lunedì di Pentecoste, nel quale la statua con dentro la testa del Santo si porta processionalmente nella Chiesa di S. Maria, e nel seguente giorno si restituisce al pristino Santuario, concedendo in tali occasioni molte grazie a coloro, che implorano il di lui patrocinio. L’istesse grazie miracolose ancora dispensa un’altra Statua di pietra del medesimo Santo, posta più addentro del bosco in mezzo ad un laghetto di acqua vicino a quel luogo, dove l’istesso Santo fu scoverto dal Conte Rogiero, che menava sua vita in beata solitudine, e penitenza; alla quale vi concorrono gl’Infermi di ogni genere per conseguir la salute, e specialmente gli ossessi da’ spiriti maligni, contro de’ quali ha una virtù maravigliosa per metterli subito in fuga». «Specialmente gli ossessi da’ spiriti maligni», scrive Fiore: San Bruno è il taumaturgo della possessione diabolica, colui che guarisce gli spirdàti, uomini e donne posseduti dal diavolo e dagli spiriti non pacificati dei morti di morte violenta. Le parole del Fiore trovano un importante riscontro in una fonte iconografica collocata attualmente nella Chiesa Matrice di Serra San Bruno nella parte destra del Coro, ma appartenuta alla Certosa di S. Stefano, forse ispiratrice anche degli elementi compositivi dell’opera. Si tratta del quadro SS. Trinità con Santi Certosini dipinto da Francesco Caivano, secondo quanto attesta la firma in basso a destra, nel 1633. La tela è suddivisa in due metà: nella parte alta stanno la Trinità, circondata dal coro degli angeli, la Madonna (alla destra del Figlio), San Giovanni Battista (alla sinistra del Padre); nella parte bassa San Bruno e sei certosini, probabile allusione ai sei compagni che furono con Bruno nel cammino verso la prima Certosa. Bruno, in piedi, occupa il centro della scena, ha il capo circonfuso da un’aureola e rivolge lo sguardo estatico verso il cielo. Poggiato sulla mano sinistra tiene aperto un libro, nella destra un ramoscello d’ulivo. Alla destra e alla sinistra di Bruno stanno due gruppi, ciascuno di tre persone. Due “santi” per parte sono in piedi, indossano la mitria e sorreggono il pastorale; inginocchiati vediamo, invece, due monaci certosini: uno viene colto nell’atto di scrivere qualcosa sopra un libro, l’altro, le mani giunte sopra il petto, in atteggiamento di assorta preghiera. Completano la scena un cigno, che si affaccia dal margine sinistro del quadro, e un piccolo demonio con le ali di pipistrello, posto ai piedi del patriarca certosino. Il contesto e la committenza “locale” dell’opera, soprattutto se inserite nelle specifiche modalità dell’agiografia di “ispirazione” calabrese, fanno decisamente propendere per il collegamento del pipistrello-demonio con San Bruno: la presenza del maligno con ali di pipistrello sembra attendibilmente da interpretare come un’allusione a San Bruno guaritore degli ossessi, che, grazie alle sue virtù taumaturgiche, realizza la sconfitta delle potenze demoniache. Pochi anni dopo, nel 1645, sotto il priorato di Dom Tommaso Cantina, sarebbe stato costruito il laghetto di S. Maria del Bosco, che tanta parte avrebbe avuto – lo ricordava già Padre Giovanni Fiore – nelle guarigioni di indemoniati, immersi nelle sue acque, a imitazione dei duri esercizi ascetici del santo, perché il contatto con l’elemento miracoloso favorisse l’espulsione degli spiriti.


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